Consigli per una vita di coppia felice e per una singlitudine serena, senza troppi sensi di colpa.

sabato 2 settembre 2017

Libri e lenzuola. Non parlare con la bocca piena, di Chiara Francini


L’albero di Natale rappresentava l’esatta idea che Chiara aveva della bellezza, e lei la vita l’amava bella.

È questo, per caso, un romanzo che ci invita ad essere felici, sempre e comunque; foss'anche adattandoci alle codificate leggi imposte dalla nostra ferrea società?

Non necessariamente.

Quel che è certo è che abbiamo a che fare con un romanzo che sorride alla vita, dall'allegria sbilenca e tenera (come è in fondo quella che ci dona un albero di Natale, con le piccole lucette tutte amorevolmente accese nei giorni di festa); un romanzo che ci racconta della vita di Chiara, una Amélie dei nostri giorni, ferocemente convinta che al bicchiere si debba guardare come se questi fosse sempre mezzo pieno. 
Oddio, non che Chiara si ponga il problema di quale sia la metà del bicchiere da considerare: per lei l’albero di Natale non può che rimanere acceso, per l'intero l’anno senza mai nemmeno immaginare che possa essere riposto in una scatola.     
Dolce e malinconico come Il vizietto, struggente come il monologo di Huma in Tutto su mia madre, il libro di Chiara Francini possiede la dote rara, e perciò oltremodo preziosa, di portare il lettore all'interno di un ecosistema fatto di battute intelligenti, a tratto capaci di divenire spezzoni di poesia. Scambi leggeri, eppure sempre immuni dal tremendo virus della banalità. 
Sono insomma pagine che sanno arrivare al cuore di noi ragazze sbarazzine, abituate a metter su la faccia cattiva ma in cuor nostro in fondo sempre desiderose di cedere alla romantica emozione.

Dunque, mea culpa, mea culpa, mea grandissima culpa…

Improvvisa conversione di Spocchiosamente Ilare al cattolicesimo di Santa Romana Chiesa? No care amiche, non ho ancora deciso di indossare il cilicio (anche se…, potrebbe non essere poi tanto male…). 
Se ho ripreso la nota formula chiesastica è perché devo confessare il mio peccato di superbia. 
Appena ho avuto tra le mani il volume di Chiara Francini ho infatti pensato, un po' perplessa, al rischio di trasformarmi in complice dell'ennesimo crimine nei confronti dell’ambiente. 
Mi ripetevo insomma che, anche per colpa mia, assai poco avveduta e consapevole consumatrice, si sarebbe nuovamente legittimato lo scempio dell'abbattimento di chissà quanti alberi: tutti sacrificati per placare l'ansia d'eternità di un qualche personaggio televisivo, invariabilmente desideroso di ripercorrere il cammino di letteraria gloria di Fabio Volo. 
E invece, fin dalla prima pagina, ho capito il mio errore; ed ho compreso di avere perso la partita che avevo iniziato a giocare, armata di matita blu e occhialino da professoressa, con Chiara. Dunque facciamola finita subito, e datemi la carta su cui firmare l’atto della resa incondizionata; perché questo romanzo ha sconfitto tutti, davvero tutti, i miei spocchiosi pregiudizi!

Senza cedere alla tentazione di spoilerare la trama (ma che brutta parola, perché non tornare ad una più antica e rotonda “anticipazione”), possiamo dire che si tratta di un romanzo di formazione

La protagonista, adulta ma non troppo (come noi del resto, sempre splendidamente ancorate alla soglia dei 35 anni), si molla col fidanzato perfetto, quello cioè con cui si è fantasticata una vita da principessa delle fiabe. Il colpo è duro, ma Chiara se ne fa una ragione e si rimette in cammino. In questo percorso di conquista della dote della resilienza viene sorretta, aiutata e coccolata da una famiglia d’eccezione. Un nucleo intimo di affetti che poggia su due padri amorevoli: Angelo, stimato oculista, convinto che il caffè sia da antidoto ad ogni male, e Giancarlo, docente universitario, che “ammaliante come una entraineuse di punta in un postribolo di tono”, sempre l’accoglie citando Shakespeare. 
Sono loro a dettare i ritmi di un vero e proprio girotondo di buoni sentimenti, popolato da una folla di personaggi positivi che contribuiscono a rimettere sui giusti binari la vita di Chiara. Attenzione: non sono macchiette o pagliacci da circo; al contrario, gli amici dei genitori sono persone reali, straordinariamente ricche di positività, persone a volte portate alla languida malinconia, ma sempre ben decise a utilizzare il racconto delle proprie esperienze per confortare e aiutare la protagonista. Soprattutto, sono persone che hanno imparato a guardare alla parola “compromesso” con gratitudine. 
Esattamente come Angelo e Giancarlo, esattamente come il «vivido gruppo di froci» allegramente riunito nelle “Supreme”. 
Sono tutti loro a proteggere, dai pregiudizi e dai luoghi comuni, come corazzieri armati di profumata leggerezza, questa sempiterna bambina dolce, allevata nell’amore dell’arte e della cultura.

Si tratta insomma di una storia come tante, una storia tipica della quotidianità fatta di mille colori del nostro presente; una storia che Chiara Francini ha saputo raccontare con grazia e semplicità, miscelando con cura da alchimista l’ingrediente del sentimento con quello dell’ironia. 
Il risultato è esplosivo, capace di metterci davanti agli occhi figure vivaci e dinamiche; personaggi che entrano immediatamente a far parte anche della nostra famiglia.           

Volete un esempio? Prendete la protagonista.

Chiara potrebbe essere una delle mie tante amiche, per il coraggio con cui affronta la vita e per l’assoluta disponibilità a farsi travolgere dalla tempesta delle emozioni. 
Lei non si nasconde, accetta ciò che la vita le porta e combatte per trasformarla in bellezza; è una tipa tosta, che non si lamenta per le lacrime versate ed i cuscini stropicciati. 
E neppure si dispiace troppo per le insufficienti prestazioni del “chiodo scaccia chiodo” di turno. 
Chiara non ha bisogno di sperare nel prossimo principe azzurro, perché conosce la formula magica per fare stare bene una donna. 

Quale? 

Mais mon petit chou, è semplice: avere a portata di mano un’amica, che ti ricordi come il sesso si attua e mai si subisce; che ti faccia salire in macchina e si metta a cantare assieme a te canzoni terribilmente stonate. 
Ma siamo così sicuri che si possa fare a meno del principe azzurro? Dipende dallo spessore di ciò che Azzurro porta sotto la calzamaglia, diranno le più smaliziate di voi..
Vero!
Dipende però anche dal tipo di rapporto umano che Azzurro ci propone, nella consapevolezza che “il vissero per sempre felici e contenti” non esiste, e che laddove la fiaba finisce la vita invece comincia. 
E così sono due uomini, i due genitori di Chiara, Angelo e Giancarlo, a cui nessuno aveva insegnato loro come amarsi e così si erano arredati la vita proprio come avevano fatto col salotto: una vecchia coppia ancien Régime che involontariamente faceva avanguardia, a fungere da esempio dell’essenza dell’amore: un manufatto sempre in lavorazione, mai finito e sempre da riprendere.

Se però dovessi dire qual'è l'elemento centrale di questo romanzo non avrei dubbio alcuno: tutto ruota attorno alle galatine
Sono infatti loro, queste piccole meraviglie zuccherate, che sanno dei sapori dell'infanzia, ad offrirci l’immagine più immediata di cosa sia la dolcezza, l’educazione e la gentilezza. 
Le galatine sono la personale “coperta di Linus” di Chiara, il rimedio all’infelicità, il mezzo per non dover dare troppe inutile spiegazioni. 
Non parlare con la bocca piena si trasforma così in qualcosa che va molto al di là della semplice regola di buona educazione, impartita dai padri alla loro bambina; Non parlare colla bocca piena diventa anche un passpartout per sfuggire alle domande stupide ed imbarazzanti della gente. 
Perché forse Chiara non ha letto l’Elogio della fuga di Laborit, ma di certo ha imparato negli anni a metterne in atto gli insegnamenti.

Si tratta di un romanzo a lieto fine, lo si percepisce fin dalla prima pagina. E l'autrice non ha del resto alcuna intenzione di depistare i nostri convincimenti.  Eppure il sapere come finirà, e che finirà “bene”, non distoglie nemmeno per un secondo dall’assaporare la prosa leggera, le trovate dei personaggi, il ritmo della scrittura. Ma se vogliamo un motivo definitivo, unico e assoluto, per consigliare la lettura di questo libro potremmo dire: Non parlare con la bocca piena va letto, perché si tratta di una storia divertente. 

Ebbene sì, una lettura finalmente allegra, impegnata e intelligente.        

        

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