Consigli per una vita di coppia felice e per una singlitudine serena, senza troppi sensi di colpa.

sabato 26 agosto 2017

Chi ha paura del “coso”?


Prendo spunto da un articolo uscito un paio di giorni fa sul Fatto Quotidiano, dal titolo: Sex Toys, la prima volta dell’Italia. Storico spot in onda su Mediaset e
La 7.

Dico subito che sono rimasta senza parole. Ma quello non era il giornale degli scandali politici sbattuti in prima pagina e dei racconti delle serate eleganti ad Arcore? A quanto pare anche loro si sono evoluti, e si sono addirittura sintonizzati sulle frequenze di Radio Stoccolma International. E se Il Fatto Quotidiano sdogana l’utilizzo di oggettistica erotica in Italia, beh allora stiamo davvero evolvendo e ormai si può tranquillamente parlare di sesso al femminile. Dunque il prossimo passo che mi aspetto sia compiuto dal sistema dei media nazionale è la richiesta d’avvio di un bel programma di apprendimento della lingua svedese fin dalle elementari (per non parlare del distributore di preservativi nei bagni della scuola superiore).

Insomma, anche l’Italia, paese di santi, navigatori ed eroi, sta scoprendo come esistano donne che non vogliono essere più considerate solo in quanto madri. E il fatto che la sveglia sia stata suonata dalla pubblicità televisiva, vero e proprio altare laico dei nostri tempi, mi appare altamente significativo: anche nel paese dei campanelli, dunque, è giunta l’ora di affrontare il tema della sessualità femminile, senza tabù o pruderie. Perché – mi raccomando, care amiche, non mentite a voi stesse – siamo in molte a tenere nel comodino, ben nascosto dietro i santini della Cresima e i braccialetti del battesimo, laggiù in fondo in fondo, un bel gioco erotico.

Le storie sono spesso uguali tra loro.

Alcune di noi lo hanno ricevuto come regalo dall’amica mattacchiona e disinibita; in genere dopo una storia finita. Anche perché si tratta di un antichissimo simbolo di buon augurio; e, lo dice anche Alberto Angela, proprio quei sapientoni degli antichi romani erano soliti esporre ben attrezzati Priapi nelle loro dimore: servivano a portare fortuna, oltre evidentemente che come attaccapanni un po’ freak per appendere il mantello bagnato.
Altre di noi sono state omaggiate dal coniuge (perché in fondo il “coso” costa sempre meno di un brillante; e, a differenza dell’anello, si può sempre condividere ….).

Altre ancora l’hanno invece acquistato in autonomia. E come dare loro torto? Il “coso” anzitutto di notte non russa; dopo l’uso lo si può riporre senza soffermarci troppo in noiose coccole postcoito. In più pare non sia neppure geloso nel caso si decidesse di sostituirlo con un altro modello (magari di quelli più attivi nel corso del rapporto, capace di prendere anche un paio di decisioni in autonomia).

Last but not least, se il “coso” è un oggettino di marca può allora può diventare addirittura très chic sfoggiarlo. Che so, magari ad una cena tra amiche. Come simbolo certificatore di una libertà finalmente riconquistata.

Insomma, grazie a MysecretCase – la prima azienda a lanciare uno spot sulle reti televisive – ho dunque scoperto come il vibratore sia un prodotto molto richiesto, al nord come al sud. Potevo lasciarmi sfuggire allora l’occasione di vedere questo benedetto, innovativo e sbarazzino spot?  
L’inserzione pubblicitaria è passata prima su “Cielo”, su “Real Time”, su “Dimax” e sulla “Nove”; poi, qualche giorno fa, anche sulle reti Mediaset e su “La 7” di Cairo editore. Dunque siamo a buon punto, perché la rivoluzione sta avvicinandosi alla presa del palazzo d’Inverno di RAI 1; e non vedo l’ora di ammirare Francesco Giorgino che introduce (ops… ho sbagliato verbo) lo spot del “coso”…, magari subito dopo un bel servizio su papa Bergoglio.
Il plot narrativo è certo accattivante, studiato per farci sentire tutte protagoniste: al contrario di quel di solito accade, non abbiamo infatti a che fare con una testimonial ventenne, bensì con una signora che viaggia, con grande dignità, sul crinale della cinquantina. Fiera della tinta appena rifatta dal parrucchiere, la signora, vestita davvero come la mia vicina di casa, brandisce con gioia e naturalezza un bel dildo rosso. Ammetto che, a quel punto, è partita la mia personalissima “Ola”. Ho infatti esultato come ad un gol della nazionale (solo della nazionale, perché a me del calcio non frega assolutamente nulla; quando gioca la nazionale fingo invece partecipazione… un po’ come certe notti in cui il sonno supera altri desideri…). E ho pensato: finalmente un messaggio che suona come un’epocale rivoluzione; una specie di ‘68 del sesso al femminile! Credo di avere in quel momento udito in sottofondo i Frankie Goes to Hollywood intenti a cantare, solo per noi MILF, il ritornello di The power of love; ed ammetto pure di avere intravisto in un angolo Eva Lagoria che dava il cinque a tutte le italiche desperate housewives
Suggerirei tuttavia all’azienda di lavorare sullo slogan, perché quel Vogliamo un mondo in cui le donne non sono oggetti sessuali, ma possono averli tutti mi pare un non troppo riuscito mix tra la retorica barricadera degli anni Settanta e l’ammiccamento alla consumatrice seriale. E se da una parte applaudiamo quindi a quell’esibita autonomia del piacere, dall’altra ci adombriamo per l’ambiguità di quel “possono averli tutti”. Chi vuole cosa? Gli oggetti o gli uomini? Non si rischia di perdersi nell’autoerotismo, magari impostando la relazione reale sullo stigma del possesso?
Rimanendo con questo dubbio, a cui non credo che Mysecret Case darà mai risposta, mi congedo raccontandovi della mia iniziazione agli acquisti online su siti che commercializzano tale categoria merceologica.
Iniziamo col dire che si tratta di una storia piuttosto recente, raccontatami da un’amica, su www.ohhh.it (un sito molto carino gestito da due coniugi con tre figli…., marito, tre figli?... cosa mi ricorda?... boh, tiriamo innanzi…). Sono allora andata sul sito, ho letto attentamente, e devo dire che la loro vicenda, oltre che la loro idea di prodotto, mi ha convinta. Prima di questo viaggetto in rete ero sempre stata molto scettica, un po’ per pigrizia, ma soprattutto perché assolutamente contraria all’idea di assumere all’interno del mio corpo qualsiasi sostanza non biodegradabile. Da ex vegana, vegetariana e sensibile al messaggio karmico, preferisco infatti, sempre e comunque, il naturale e l’ecocompatibile.
Se però quella stessa amica m’incalza, magari dicendomi che l’oggettistica è di design, e pure costruita con materiali Iso 9000 (insomma non solo non sono state costrette a tristi prestazioni le brave zucchine dell’orto, ma neppure ci si è piegati alla banalità del calco in lattice del primo pornodivo che passa), vuoi che non faccia una prova? Vuoi proprio essere l’unica tra le amiche dell’aperitivo serale a non sapere come si usa la modalità “velocità alternata”? E se poi dovessi stancarmene? Nessun problema, nel caso il coniglietto vibrante lo si ricicla come segnaposto pasquale assieme alle uova dipinte.
Così mi sono fatta convincere, ho raggiunto il sito (www.ohhh.it) e ho inserito il codice della mia carta di credito. Mi sono fatta quindi travolgere dalle offerte; rigorosamente offerte: perché, parliamone laicamente, gli oggetti proposti sono davvero belli ma certo non per tutte le tasche. Il vino però aveva assolto alla sua porca funzione di sblocco dei freni inibitori (tanto colla carta di credito ci penseremo poi…), e quindi, pensando al colore della mia biancheria, mi sono concessa un vibratore rosso magenta a più velocità. Visto che c’ero, vuoi non mettere nel carrello anche un paio di manette? Che, per la foggia particolarmente elegante, ho subito pensato avrebbero anche potuto essere esibite, all’occorrenza, come braccialetto alternativo. Proprie queste ultime ho dimenticato nel bagaglio a mano durante l’ultimo viaggio in Grecia; così, al momento dell’imbarco a Salonicco, quando ti controllano pure la dentiera, la sottoscritta ha iniziato a suonare come la sirena dell’allarme antiaereo.
Ragazze, ripensandoci a posteriori il momento è stato davvero esilarante: non tanto per l’imbarazzo dei presenti nel veder rotolare assorbenti di ogni tipo, interni ed esterni, inframmezzati a slip di pizzo e reggiseni a balconcino, quanto per la faccia dei poliziotti quando hanno trovato le “manette-braccialetto”. Vi lascio immaginare la scena di me che prova, in un inglese a dir poco maccheronico, a spiegare, ad una poliziotta più imbarazzata di me, quale fosse la funzione di quell’oggetto “pericoloso”.
Morale della favola, il vibratore rosso magenta riposa ora nel cassetto del comodino, privo di caricabatteria (sottratto da un qualche figlio desideroso di ricaricare il proprio telefono). Le manette? Non so, ma dicono di averle viste al polso di una la simpatica poliziotta greca.

E mentre noto come in Italia sembrino affacciarsi epocali cambiamenti, capaci di fare sentire le donne un po’ meno casalinghe, o mamme o sante o modelle, in spiaggia una bambina, figlia della mia vicina di ombrellone, passeggia avanti e indietro sfoggiando la busta di tela bianca con sopra stampigliato il logo Ohhh.
Che non sia stata l’unica signorina per bene a fare acquisti?          

   

venerdì 25 agosto 2017

Siamo tutti alla ricerca dell’amore


In una notte di pizzica, quando la taranta morde le fanciulle, rendendole folli e ribelli, ho incontrato due nuovi amici che mi hanno regalato la loro storia.
Un amore da poco sbocciato, una favola d’altri tempi.
All’inizio ho percepito poche parole: “farfalla”, “mare”, “spiaggia”; ovvero, esili orme da seguire, per andare alla caccia di un favoloso tesoro. Così ho deciso di approfondire, per poi raccontare.
Ubaldo parla tanto, da attore navigato quale è; affascinante e superbo, con occhi che ti scrutano dentro e ti studiano l’anima.
Vincenza è bellissima. I suoi occhi paiono quelli di una bambina, che balla sulle punte al suono di una melodia antica di tamburelli.
Entrambi sembrano camminare nel mondo con leggerezza e disincanto, con fantasia e coerenza; perché entrambi hanno mangiato il pane insipido della delusione.
Ubaldo per amore si è trovato a “non provare più amore”, nell’età in cui le persone avviano il bilancio della propria vita; nel momento in cui ci si chiede cosa si è sbagliato, quale esperienza non si è colpevolmente vissuta. Vincenza, innocente e geniale nella sua semplicità, ha invece imparato a cogliere sempre il lato positivo delle piccole cose.

di Anna Agati
Una farfalla, grande e nera, dalle sfumature dorate, un giorno si è posata, come d’incanto, mentre passeggiava sulla spiaggia, tra le sue mani. Con quella tra le dita, chiuse a conchiglia per proteggere l’esile respiro, si avvicina allora a questo signore. Lui è perso nella sua malinconia, ma la forza del sorriso di lei rompe gli argini e conquista. È un cataclisma. Lo strappa dal torpore vischioso di un qualche ricordo sbiadito, riportandolo alla vita con una semplice domanda: “scusi, secondo lei sopravvivrà questa farfalla? Gliela affido, non la faccia morire!”.
Non è un racconto magnifico, tremendamente surreale?
Credo che un quadro di Mirò non avrebbe saputo esprimere meglio l’anima naif di questa donna, profumata di sud e di magia. Del resto, entrambi leggono i segni: perché cos’è l’amore se non carte da decifrare?
Ubaldo, stranito e improvvisamente investito dalla luce, si lascia trasportare da tanta semplicità. Allora ritrova le sensazioni dimenticate, e il cuore ritorna a battere forte. Inizia anche ad avvertire un bisogno prepotente: rivedere quella donna, il giorno dopo.
Questa è una storia che sembra uscita da un’opera teatrale, di quelle a lieto fine, dove un Amleto distratto incontra un’Ofelia incantata, dove una farfalla galeotta vola in un Sogno di mezza estate, dove una Tempesta di emozioni porta all’isola che non c’è.
Non è un caso, quindi, che il prosieguo coinvolga un teatro; perché, in fondo, i primi passi di un amore sono sempre movimenti di un’innocente finzione: tra parole sommesse, personalità dismesse e fantasmi che, piano piano, diventano migliori, fino a sparire. Dove altro i due protagonisti potevano quindi darsi il loro primo appuntamento?
Così di scena in scena, il nuovo avanza sulle punte assieme a Vincenza, che la pizzica non la sa ballare (ma ce l’ha nel sangue).
Mentre l’amore nasce nel cuore di Ubaldo, che ha visto tanto del mondo (ma solo quando mi parla di Napoli ha gli occhi che brillano).

Mentre loro mi raccontano il resto del loro amore, seduti al tavolino di un bar del centro, alzo allora gli occhi; in cielo vedo una nuvola a forma di cuore. Per chi conosce l’arte della divinazione nulla è scontato: quel vapore acqueo addensato si fa dunque anticipazione. Diventa prolessi in nuovo romanzo.

P.S. si ringrazia la gentile collaborazione dell'artista ravennate Anna Agati per l'illustrazione.

mercoledì 23 agosto 2017

Sesso tantrico? Si grazie; e da assumere prima, durante e dopo i pasti


Ho incontrato oggi un nuovo amico, Gabriele, che mi ha offerto un caffè per illustrarmi con calma il significato più vero di un magico magico sintagma: il sesso tantrico.
A cuccia!!!! Non drizzate le orecchie, non agitate la coda (ok, ho sbagliato metafora… ne convengo): con questo nuovo amico ho infatti solo discusso, senza arrivare alla fase della dimostrazione pratica. Dovete comprendermi, purtroppo sono una donna molto curiosa e sapere che tra i miei conoscenti v’è anche un novello emulo di Sting mi ha convinta a domandargli di raccontare. No, la somiglianza con Sting non è fisica (seppure Gabriele sia un uomo bellissimo); e neppure il mio nuovo amico canta sul palco come la popstar inglese. Piuttosto lo possiamo accomunare a Sting per la caratteristica che maggiormente interessa le donne; ovvero, per l’assidua sua pratica dello yoga e del sesso tantrico.
Dopo avere indagato su frustini e manette, sciroppandomi classici dell’erotismo BDSM, non vedevo l’ora di approfondire un modello totalmente differente di rapporto. Così ho chiesto, facendo pure le dovute ricerche, e ho scoperto che la pratica ha cambiato la vita di molte coppie. Alcune si sono riavvicinate dopo anni, passati macinando rapporti sporadici e poco soddisfacenti; altri hanno iniziato per dare una svolta piacevole alla relazione e per provare qualcosa di nuovo (che non fosse uno scambio di coppia, un gioco di ruolo o la classica manetta ai polsi). Altri ancora hanno appeso in camera il poster di Sting accanto a quello di Sai Baba, a cui recitano l’OM tra un amplesso e l’altro.
Tralasciando l’ironia, la prima caratteristica che mi ha colpito di tale esercizio è la condivisione.
Non credo infatti sia possibile farlo in compagnia di partner occasionali, quelli per intenderci “usa e getta”, arruolati per soddisfare rapidamente quella “piccola voglia di buono”; al contrario, il tantra impone una certa assiduità, che prevede anche di volere attraverso il sesso consolidare l’intensità e l’armonia di un rapporto amoroso. Certo, come precondizione suggerirei anche l’iscrizione ad un corso yoga di base (giusto per evitare imbarazzate corse al pronto soccorso, con annessa la necessità di giustificare la ragione della paresi e della rigidità di determinati muscoli). Dunque allenatevi a tenere a lungo la posizione del fiore di loto, perché la lentezza dei movimenti aiuta la sintonia della coppia e risveglia in entrambi la sessualità. E se il Tantra si tramanda dal 400 a.C., arrivando tranquillo e felice ai giorni nostri, probabilmente un motivo esiste. Ed ha a parecchio a che fare con il piacere della donna, oltre che dell’uomo.
Il secondo aspetto che mi ha letteralmente entusiasmata – grandi questi santoni indiani, olé olé olé… – è nell’assoluta centralità della donna, a cui il compagno deve dedicarsi totalmente. Intendiamoci: non che i poveri maschietti debbano rinunciare al proprio piacere, sottomettendosi ad un castrante protagonismo femminile; perché entrambi trarranno grande soddisfazione dal rapporto, tuttavia quest’ultimo sarà completamente ribaltato per quel che riguarda l’idea del ruolo della virilità (troppo superficialmente e automaticamente identificata con l’erezione). L’importante è che, col sesso tantrico, ci si libera una volta per tutte dello stereotipo dell’uomo “che non deve chiedere mai”. E questo non solo ci permetterà di sintonizzare il suo ritmo al nostro, ma ci insegnerà a comunicarci meglio, reciprocamente, le nostre emozioni ed i nostri desideri. Perché, diciamocelo pure, ma quanto è triste sentirsi come un attrezzo ginnico a disposizione del nostro lui? E quanto è avvilente capire che il compagno scambia il nostro gemito – in realtà un terribile crampo alla natica, dovuto ad una scomoda posizione – per un brivido di intenso piacere.
Col sesso tantrico tutto cambia: il corpo femminile è infatti protagonista assoluto, a partire dal suo fantastico orgasmo clitorideo (e la penetrazione, questa divinità millenaria, in fondo non pare poi così fondamentale). Care signore, possiamo tirare finalmente un bel sospiro di sollievo collettivo!
Nel sesso tantrico si parla infatti di “orgasmo di valle”, da raggiugere grazie alla percezione dei profumi, del calore del corpo, della morbidezza della pelle o semplicemente entrando in reale connessione. Si riscopre poi lo scambio d’energia tra maschile e femminile, come se si venisse trasportati all’origine del tempo e al big bang dell’universo. La parola d’ordine, l’unica che possa spiegare tale complessità, è quindi una sola: armonia, con il partner e con la forza primordiale che riempie il cosmo.
L’ultima avvertenza è che non bisogna avere fretta di imparare, perché il sesso tantrico non si acquista in edicola assieme all’ultimo numero di Novella 3000. Per accedere al favoloso mondo di delizie e sapori occorre tempo, adeguata preparazione dell’ambiente e dell’atmosfera. E perché no? Magari qualche delicato massaggio con olii profumati, perché così si ritorna anche un po’ bambini. Come quando la conoscenza passava attraverso l’esperienza fornita dalle mani e dalla bocca. Così i nostri corpi diventano luoghi sconosciuti da esplorare, dove perdersi per poi ritrovarsi.


Ps: un grazie di cuore al dott. Gabriele Gardella che ha speso un po’ del suo tempo per me.

lunedì 21 agosto 2017

Libri e lenzuola. Consigli di lettura per letto a due piazze: L'Histoire d'O, di Pauline Réage


Non è semplice scrivere di “O” per una signorina qual sono io, orridamente schifata dalla violenza ed irriducibilmente contraria ad ogni tipo di sottomissione (di qualunque genere, forma e colore; a qualsiasi latitudine… soprattutto se richiesta ad una donna, all’anima sua e al suo corpo). 
La recensione di un “classico” dell’erotismo s’ha però da fare, dunque armiamoci di coraggio e partiamo…


Prima considerazione:
per combattere il senso di nausea, che sale rapido su per l’esofago, occorre premunirsi di tonnellate di Maalox; anzi, forse più di un farmaco anti-rigurgito sarebbe necessario, col susseguirsi delle scene di sodomizzazione, acquistare tubetti e tubetti di “Preparazione H” (non si sa mai, si vis pacem para bellum dicevano gli antichi...). Ammetto che, ad un certo punto, forse per associazione d’idee, mi sono persa a pensare ai NOTAV (e alla povera e maltrattata Val di Susa, naturalmente).

Seconda considerazione:
per leggere l’Histoire d’O è necessario dimenticarsi della nostra storia personale, di quello che siamo faticosamente divenute dopo un passato vissuto al fianco di madri femministe; ed occorre convincersi per il tempo della lettura che sia necessario accettare la violenza, magari come “una laica e libertina benedizione”. Il rischio è altrimenti quello d’inquinare la lettura con immediati giudizi, facendosi prendere dalla stizza e dallo sdegno. Solo in questo modo si può comprendere il perché l’Histoire d’O non sia un semplice romanzo BDSM.

Ultima raccomandazione finale: ricordatevi di fare un salto alla sezione “ippica” della Decathlon, perché il frustino da cavallerizza che lì trovate è assai più funzionale e pratico di quello acquistato al sexy-shop sotto casa (almeno non si spezza alla prima nerbata). Anche in questo caso vale il motto latino di prima: si vis pacem para bellum...

Iniziamo col dire che, come tutte le cose proibite, anche Histoire d’O produce assuefazione, nonostante le già citate "esagerazioni" da boudoirLeggi quelle pagine e, quasi inevitabilmente, finisci per immaginarti tra le mura del castello di Roissy. E ti chiedi se non sia il caso di iniziare a portarti appresso, in borsetta, il corsetto nero di velluto col reggicalze abbinato. Per ogni occasione, per non farsi trovare impreparate. Dal momento che sappiamo bene come la lettura stimoli la fantasia, è infatti necessario avere tutto sotto controllo perché potrebbe anche essere che la serata deragli dall'abituale schema pizza, cinemino e dopocena al buio in camera da letto.
Il romanzo viene pubblicato, nel 1954, da Pauline Reage, pseudonimo di Dominque Aury (nome che trovo dolcissimo, e che associo assai più alle romantiche passeggiate lungo i viali del Jardin des plantes che al caos di un’affollata dark room). La sua trama è invero assai semplice: una donna, affascinante e graziosa, indicata solamente dall’iniziale del nome (come se non fosse neppure degna di possedere un’identità), viene condotta dall’amante René a Roissy. Qui, ospitata in un favoloso castello – oh…, mai che sia un posto cencioso… che so, un appartamento di 70 mq a Quarto Oggiaro oppure una villetta scalcagnata nella banlieue di Saint-Denis –, viene dal compagno offerta alla brama di altri uomini-padroni. Che faranno di lei un oggetto, dedito al compito di soddisfare tutte le voglie. Segue un crescendo di depravazione, al punto da rendere difficile il seguitare a leggere. Ciò nonostante “O” non si ribella mai, ma proprio mai; e accetta tutto, ma proprio tutto. Viene così frustata, sodomizzata e riempita come un tacchino per il pranzo del Ringraziamento.
Come sappiamo le cose belle purtroppo finiscono, sempre troppo presto; e così dopo un po’ i due amanti, abbandonato il cuoio e il ferro, tornano mesti mesti a Parigi.
A questo punto tutte noi, lettrici appassionate e sdegnate, ci aspetteremmo un moto di ribellione in “O”. Trepidiamo nell'attesa che la ragazza mandi finalmente a quel paese il generoso fidanzato (generoso con gli amici, ovvio), trovandosi un bravo analista per "giustificare a se stessa" il turbolento passato. E che rinasca, magari facendo coppia con un esperto proctologo (che la rifornisca di lenitivi e provvidenziali unguenti). Invece no, dal momento che a noi donne gli “stronzi” piacciono davvero tanto, "O" non solo persevera nella fosca relazione col bel Renè, ma acconsente pure a diventare la schiava del di lui fratellastro.
Ancora una volta all'autrice piace vincere facile: perché mica il fratellastro lavora come commesso ai grandi magazzini; no… non sia mai! Il fratellastro è infatti niente po’ po’ di meno che Sir Stephan, uomo naturalmente ricchissimo e come al solito estremamente fascinoso. E dunque, davanti a un tale diamante grezzo, cosa vuoi che sia tornare all'abitudine antica che ti porta ad accettare felice un paio di scudisciate, una scarnificazione, il sadomaso a colazione ed una bella marchiatura a caldo? 
Così mentre noi ci preoccupiamo di mostrare la nostra nuova Balenciaga alle amiche invidiose, “O” si può permettere di sfoggiare orgogliosa due piercing sulle grandi labbra (comodi comodi per consentire al compagno di portarti a passeggio, tenendoti al guinzaglio come un simpatico barboncino).

Ora capite, vero, con quale difficoltà io abbia portato a termine questa bella lettura?

Tuttavia il romanzo ha un pregio vero, che va al di là del tetro contenuto. E questo valore aggiunto è nella scrittura: dura e fredda, quasi scientifica; uno stile che non nasconde nulla, descrivendo senza reticenza i baci così come le ferite inferte dalle pratiche estreme; insomma una sorta di manuale Ikea della perversione, dove per montare la combinazione desiderata abbandoni la brugola e ti affidi al divaricatore. Ciò nonostante – pare incredibile – tra uno stupro di gruppo e un’impersonale ammucchiata riesce infine ad affiorare il sentimento, neanche che il bacio di cui ad un certo punto si parla avesse le fattezze della famosa ginestra abbarbicata sull’arida schiena della desolazione.
E così, mentre cerco i fiori nel letame, il bello nell’orrido e la poesia nel martirio, a me sovvengono le immagini delle sante che, cantando l’Osanna, accettano felici la damnatio ad bestias.

Dunque cosa è “O”? È davvero solo una folle pervertita?

L’unica risposta che sono riuscita a darmi è che “O” si muove seguendo una sua logica, rispondendo ad un suo peculiare desiderio di libertà. Forse stravagante, probabilmente discutibile. Perché ci appare strano associare le parole libertà e schiavo; eppure “O” ci dimostra come, se ce ne fosse ancora bisogno, l’amore segua percorsi oscuri e tortuosi, offrendo tante volte risposte che tali non sembrano (anche un bustino con stecche di balena può diventare una soluzione alla carenza d’amore, perché no?).

Intendiamoci: nulla di nuovo si muove sotto il sole della letteratura. Basterebbe rileggere qualche lettera di Abeladro ed Eloisa, e si comprenderebbe come sia sempre sottile il discrimine tra piacere e dolore. Oppure, sarebbe sufficiente guardare a tante sante barocche: e così come faceva Teresa d’Avila, che accettava la mortificazione del suo corpo, procurandosi ferite e arrivando a morire d’inedia dopo aver mangiato merda e vomito degli ammalati, allo stesso modo si comporta “O”.
Come una mistica d’altri tempi anch’essa si libera infatti del peso del proprio corpo, del suo essere una donna dei nostri tempi; e il mezzo per realizzare quest'abbandono è la fustigazione e l’autodistruzione.

Allora torniamo alla domanda iniziale: perché leggere oggi Histoire d’O?

A mio parere la storia di “O” può costituire una sorta di vaccino contro le mille immagini stereotipate dell’amore, quelle che invariabilmente fanno rima con “cuore” e con “saranno felici per sempre”. 

Perché non è vero che le favole sono sempre a lieto a fine; non è vero che Cappuccetto Rosso abbia paura del lupo cattivo (in realtà, il testo originale di Perrault parlava di una fanciulla vestita in latex, che prendeva allegramente il lupo a scudisciate). Mentre sicuramente è vero che Biancaneve gangbangava con tutti i sette nani! 
Felicemente, pure…


Ps. Come semplice comunicazione di servizio: almeno per quel che mi riguarda, l’agitare il frustino davanti agli occhi del compagno ha come unico scopo quello di risvegliare il “master” sopito in lui (non certo quello di farmi riempire di botte… o invitarlo a stuccare tutti i buchi del mio corpo). 

giovedì 17 agosto 2017

Incontri astrali

Tempo d’estate, tempo di Vanity Fair da leggere sotto l’ombrellone.

Annuncio urbi et orbi che la mia rubrica preferita, ma anche da molte amiche, è quella celata nell’ultima pagina. Quale? Ma è ovvio… la rubrica degli oroscopi estivi. Il tutto per rispondere alla domanda di sempre: con quale segno scatterà l’amore? Quale di questi ti ribalterà come un calzino? Con quale ti conviene scappare, per consumare una rovente vacanza?

Lo so, sono perfettamente a conoscenza di come spesso il nulla si nasconda dietro a questi articoli, e come la rubrica sia il più delle volte affidata a giornalisti annoiati, che si divertono a giocare con le parole neanche scrivessero le frasi nascoste nei biscotti della fortuna che ti affibbiano al ristorante cinese…

È che noi ragazze desideriamo fortemente crederci, ed essere rassicurate sul fatto che potremo, ancora una volta, provare le farfalle nella pancia (sempre che non si tratti delle conseguenze del suddetto ristorante cinese…); perché in fin dei conti siamo in vacanza, siamo assai più che carine e sentiamo il bisogno di sognare il principe azzurro che arriva in pattino a portarci via. 

E lo cerchiamo attorno a noi. 

Che sia il tipo asciutto e abbronzato che s’ammazza di beach volley? Magari è invece l’aitante bagnino tatuato, dal costumino rosso che è tutto un programma? No, no…, sicuramente si tratta del barista galante, quello che ti passa ammiccante lo spritz e ti guarda con l’occhietto vispo! 

In tutti questi casi vuoi non domandarti quale sia il suo segno zodiacale? E se le stelle confermano la necessità di approfondire la conoscenza?
Attenzione, qui non si gioca più! 
Perché noi ragazze siamo alquanto selettive quando si parla di costellazioni e non tutti i segni ci sono compatibili. Non parliamo poi del trattato che scatta se sotto mano ci ritroviamo l’amica esperta di astri e tarocchi, quella appena tornata da un viaggio in India, con annessa permanenza in una Comune femminista. 
Se ciò dovesse accadere allora potete mettervi comodi: le ore trascorse a tracciare mappe celesti, incrociando trigoni e colori dell’aurea, non si conteranno. A questo proposito si racconta, e le fonti documentali non mentono mai, che il povero Nostradamus sia morto dandosi fuoco durante una serata organizzata dalla moglie, con tanto di amiche e palla di cristallo. 
Insomma, l’importante è capire, rigorosamente prima che le ferie si concludano, quanto il bel tenebroso, conosciuto ieri sera per caso durante un’indianata a base di gin tonic, sia compatibile con la nostra voglia di vacanza e leggerezza.

Per quanto mi riguarda ammetto d’essere un osso duro: sono una Bilancia e, nonostante l’apparente dolcezza, la familiarità con tutti (anche troppa, a parere del coniuge), posso diventare una vera carogna; riesco infatti a trovare il pelo nell’uovo ovunque, facendo perdere la pazienza anche ai santi. In compenso mantengo una memoria sopraffina, e posso oggi permettermi di stilare una ragionata classificazione delle caratteristiche dei segni zodiacali (in base alle date di nascita degli ex fidanzati).

E allora iniziamo.

Togliamoci il dente e diciamo subito che non vado per nulla d’accordo con i Pesci, lo Scorpione, il Leone e la Bilancia; con dei distinguo però: se i Pesci li detesto (troppo bizzosi di carattere, incostanti e umorali… io sono sufficiente per entrambi! Non voglio competitors …), con l’arrogante Scorpione ho evidenti difficoltà di dialogo. Il Leone mi sta invece antipatico a prescindere, troppo assertivo e vanitoso (vale quel che ho detto prima, basto io per entrambi…). Con l’uomo Bilancia rischierei infine di contendermi lo specchio, magari qualche abito e perché no forse un amante.

Poi ci sono quelli che è meglio tenere a debita distanza, per evitare le contusioni e le ossa rotte, con un occhio nero ed il cuore infranto. 
Avete già capito chi sono? 
Ma certo, ecco a voi l’Ariete e il Toro. Questi sì che sono segno capaci di farmi tremare le vene, e piegare le ginocchia. Il dialogo con loro? Ma che dialogo e dialogo… con questi qui si va direttamente di Kamasutra, e via andare!

Quanto al Cancro, ai Gemelli e al Sagittario: mi spiace per loro, ma rientrano nella categoria dell’usato sicuro. Insomma, gli amici post-coito e quelli che chiami quando vuoi uscire a bere una birra, per un fine settimana divertente e magari - se proprio gira loro bene - per un giro di giostra senza impegno. Quelli che sai che ti ospiteranno presto: non appena l’Ariete, o il Toro, o entrambi, ti avranno cioè mollata per sposare la scout che, oltre ad essere maestra d’asilo, ricorda tanto l'innata dolcezza della loro mamma.

Cosa manca? Ah sì, il Capricorno e la Vergine
Ma tanto con loro m’ignoro cordialmente: io per loro non esisto, e loro idem per me.

L’ultimo segno rimasto? Il mitico Acquario; ovvero il fidanzato ideale: quello libero, indipendente, idealista ed artista, viaggiatore e musicista. Quello che ha un unico difetto, che ci ritroveremmo a discutere per ore su come salvare le balene, davanti a una birra invece che dopo avere lasciato le nostre indelebili impronte sulle lenzuola di un letto.            

Vi avevo avvertito… Non sono una facile con cui andare d’accordo.

Ps:   non ci sarebbe un Acquario appena rientrato dall’Artico? È che il marito Cancro mi ha appena chiuso fuori di casa, senza nemmeno dirmi perché... Che se la sia presa?

        



                

mercoledì 16 agosto 2017

Non si pretende mica la luna, ma le mutande candide si!


“Ci accomodammo a un tavolino del caffè, con un quarto di vino bianco per me e una birra per lui. Portava un paio di sandali indiani e aveva le dita dei piedi lerce. Non sembrava affatto uno strizzacervelli”
(da paura di volare di Erica Jong)

Uomo curato o no? A noi donne cosa piace? Il damerino sempre perfettino oppure il tipo svagato, quello che indossa sempre giacche di una taglia più grande e porta scarpe scalcagnate?
Detto che, dismessi i panni delle freak (stile Woodstock, per intenderci), quando anche noi portavamo gonnelloni e i capelli erano colorati come ad un Gay Pride, al momento, io e le mie amiche, apprezziamo i delicati profumi dei dopobarba e l’abitudine maschile al deodorante.
E che dire dell’abbigliamento?
Parbleu!
La Caporetto del gusto è davanti ai nostri occhi, quotidianamente! Sarà per la temperatura estiva che aumenta implacabilmente, sarà che vivo in una località poco distante dal mare, ma il gusto maschile lascia alquanto a desiderare: noi jolies filles non possiamo proprio accettare l’infradito in gomma indossato da un uomo!

Il bermuda con sandalo? Solo se hai meno di trent’anni, oltre che un munifico contratto alla Salgado con il National Geographic. Altrimenti il pantalone estivo lungo, con camicia bianca, ci appare perfetto per mascherare i chili di troppo (per non parlare dell’effetto benefico sull’altezza). I pantaloni lunghi, meglio se di morbido lino, sfilano e rievocano le atmosfere di Tè nel deserto.   
Per un look originale, con quel po’ di retrò che a noi ragazze un po’ agées piace sempre, valutate infine – cari maschietti – l’opportunità di dotarvi di cappello. Magari un po’ preppy, come se foste appena sbarcati dalle pagine di un romanzo di D.H. Lawrence. 
Non cerchiamo la perfezione, ma la cura della persona sì: trattasi di un requisito imprescindibile per il primo, secondo e terzo appuntamento; così come nella quotidianità. di sicuro la cura nella scelta delle mutande al primo appunta
mento.
Vogliamo mettere il dito nella piaga, a proposito? Alcune donne lamentano infatti la tendenza dei loro compagni a lasciarsi andare dopo il matrimonio. Qualcuno si è un po’ troppo rilassato, concedendosi un deprecabile surplus di divano e di televisione. Qualcuno ha preso a girare con le mutande di Fantozzi, qualcun altro indossa disinvoltamente calzini bucati o magliette stinte.
Perché, mi chiedo, un po’ tutti gli uomini, una volta accasati, accettano di lasciarsi così andare? Eppure a noi donne piace mostrare il nostro uomo. Siamo pure orgogliose se qualche amica si azzarda ad esprimere un giudizio positivo su di lui, magari apprezzandone la prestanza fisica o il gusto nel vivere. Care amiche: è vero che l’abito non fa il monaco, ma senza dubbio aiuta a sentirsi bene con se stessi (oltre che con il resto del mondo). Del resto, anche i pavoni sfoggiano le loro code per fare colpo; e ciò non è un male, perché si tratta di un gioco delle parti utile ad allontanare l’abitudine. Per non lasciare morire un rapporto, per non trasformarsi in due estranei che a mala pena si danno la buona notte.  
Infine, care amiche, se noi soffriamo con le cerette totali, accettiamo gli sguardi impietosi delle commesse ventenni di Zara e arriviamo a fine mese con la carta di credito a zero ma con l’ennesimo vestito nell’armadio per sentirci belle, non vedo perché accettare le crocs ai piedi di lui.   
         




domenica 13 agosto 2017

Libri e lenzuola: consigli di lettura per letto a due piazze:Le età di Lulu, di Almudena Grandes

Sono convinta che, per scrivere qualche riga sensata di commento a questo libro, discontinuo e urticante come pochi altri, occorra bere; ma bere molto molto: birra o vino, a seconda dei gusti personali (anche se io preferisco il vino e confido che, con due bicchieri di Franciacorta in circolo, ci si possa forse riuscire).
La prima parola che mi viene in mente è “wow “, anzi “doppio wow”!
Perché si tratta di un’opera che mi ha letteralmente lasciata senza respiro, dalla prima all’ultima pagina. 
Le età di Lulù, regia di Bigas Luna (1990)
E questo nonostante l’ostentazione dei sentimenti di misoginia e misantropia, cosa che solitamente produce nella sottoscritta un’immediata reazione di rigetto. Allora cos’è che mi ha tenuta avvinta, impedendomi di sbattere immediatamente a terra – ops, sorry… sulla sabbia arroventata dal sole – il povero supporto cartaceo? Forse il fatto che si tratti di una storia piena di chiaroscuri, continuamente sospesa tra passato e presente; soprattutto, una trama assolutamente incapace di offrire una risposta rispetto a ciò che una risposta non ha: cosa sia lecito e cosa non lo sia all’interno di una dinamica sessuale. E poi il fatto che questa incapacità di scegliere e di giudicare sia raccontata da una scrittrice, perché solamente una donna poteva affrontare, in modo tanto crudo (e, a suo modo, anche epico), il coacervo di pulsioni irriverenti e irritanti che si agitano nel corpo di una ragazza. Lulù è infatti carnefice di se stessa, almeno quanto risulta vittima della perfidia e del sadismo altrui.
Contrariamente a quel che molti pensano Le età di Lulù non è un romanzo pornografico, da leggere di nascosto, nel chiuso della propria cameretta quando le luci della casa si spengono e i genitori vanno a dormire: Le età di Lulù è una struggente, anomala e crudele storia d’amore; talmente intensa da produrre un fiume di lacrime quando si arriva all’ultima pagina e all’inevitabile “e così vissero, felici e contenti, con le loro manette e collezione di frustini”.
Altro che 50 sfumature di grigio… In Le età di Lulù la sessualità si veste dell’intero pantone di colori!
Sullo sfondo aleggia un’atmosfera di spesso pessimismo, che si fa habitus naturale di una donna ben decisa, fin dall’adolescenza, ad evitare la maschera straniante della castità e dell’ordinarietà; dietro l’apparente goffaggine, fin dalle prime pagine troviamo una Lulù che progetta accoppiamenti irrituali, sognando orgasmi multipli e mettendo in campo ogni strategia funzionale alla conquista dell’uomo che ama. La protagonista non è quindi un’innocente vittima della perfidia altrui, e non desidera in alcun modo essere redenta dal peccato in cui è consapevolmente caduta. Tutti sono peccatori, dal primo all’ultimo personaggio. Attorno a lei si muove infatti una pletora di comprimari, invariabilmente in bilico tra perversa razionalità e lucida follia, che il lettore non riesce mai bene a inquadrare, perché sempre incerto nel valutarne l’essenza (sono cioè veri e propri demoni o insulsi poveracci). Solo Lulù se ne distacca, perché la ragazza costituisce l’unica “alienata” ben conscia di sé e della sua condizione; al punto che, una volta oltrepassato il confine dell’inferno, non esita a proseguire, anche da sola, senza bisogno di farsi guidare da un pigmalione, lungo il cammino che si è scelta. Dunque scordatevi l’immagine di una Lulù ingenua e manipolata; perché lei è una tipa tosta, che accetta volontariamente il ruolo di “donna-bambina” nelle mani di un illuso di nome Pablo.
E Pablo chi è? A mio parere siamo alle prese con l’Humbert dei poveri (leggasi alla voce Lolita di Nabokov); perché se è vero che alcune sue caratteristiche non ci lasciano indifferenti (in virtù del sempiterno fascino bohèmien del protagonista maschile: più grande di lei, uomo di poche parole, dissidente politico, poeta e ricercatore universitario… e pure figo), è pure esatto dire che uno come Pablo non lo si può augurare neppure alla mia peggior nemica. Mi sono poi anche chiesta quale sia l’errore più grande compiuto da questo Belzebù in sedicesimo. E mi sono dato una risposta: soprassedendo allo schifo di una violenza anale imposta, alla costruzione di un gioco incestuoso e alla masochistica tendenza a concedere le grazie della compagna a cani e porci (sì insomma, per capirci si faccia riferimento alla categoria del cuckhold del sito pornhub), il suo errore più imperdonabile è senza dubbio imporre a Lulù una depilazione brasiliana – della vagina, così per i meno esperti – con la lametta.
Orrore!
Horribile dictu et horribile facto!
A tutto c’è un limite!
Perché noi donne sappiamo bene come la lametta sia uno strumento barbaro e dannoso, assolutamente inadatto alla nostra pelle delicata (tra l’altro i peli poi crescono più rigogliosi e più ardui da disboscare). Il che mi porta, in un rapsodico fluire, a parlare della Spagna; di un paese che usciva a rilento dall’opprimente cultura del regime franchista e che, evidentemente, non conosceva ancora la civiltà del perizoma e della ceretta dall’estetista! Per inciso, quanto materiale per gli storici!!!!
In quello stesso 1990, anno di pubblicazione del libro, usciva pure il brano Vogue di Madonna. Voi a questo punto direte: “cosa diavolo c’entra adesso Madonna? E come si collega al romanzo di Almudena Grandes?”.
Probabilmente nulla; però dovete abituarvi al fatto che non sono del tutto normale, quindi adoro andare alla ricerca di collegamenti spericolati.
E allora vediamo perché vi parlo di Madonna: partiamo dal titolo della canzone – Like a Virgin –, che sono sicura sarebbe piaciuto moltissimo a Pablo; poi proseguiamo col rilevare l’implicito legame esistente tra i testi della cantante americana e la fascinazione – tema centrale del libro della Grandes – rispetto all’universo gay. Avete presente il brano Vogue? Quello in cui Madonna recupera icone di stile (come Tamara de Lempicka o Marlene Dietrich, famose anche per la loro ambiguità), svelando le atmosfere conturbanti dei locali gayfriendly: ecco, anche Almudena Grandes ci parla del mondo omosessuale; ma lo fa dandoci un’immagine molto più violenta, accompagnandoci tra i vicoli e i bar malfamati dove i ragazzi si prostituiscono. Senza gioia, senza lustrini e senza reti di protezione.   
Si parla tanto di uomini in questo libro, i quali a dire il vero non fanno una bella figura. Non a caso l’unico maschio che dimostri una qualche umanità finisce per essere un Trans (Ely). È infatti quest’ultima la sola persona in grado di comprendere, accudire e accettare Lulù. Nonostante la sua dolente imperfezione, proprio per il suo dolore imperfetto.
E così facendo Ely pare indicare anche agli altri, a Pablo prima di tutti, l’unica strada per la salvezza: uscire dalla gabbia di finzioni, costruita sull’obbligo di essere sempre e solamente uguali a quel che si deve essere, rifiutando i ruoli che ci vengono imposti fin dalla nascita ma anche quelli che noi stessi ci costruiamo.




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giovedì 10 agosto 2017

Quando la moglie è in vacanza… ogni riferimento a fatti o a persone reali è puramente casuale...

Anche l’adulterio è erotico. Il triangolo, che riscatta la banalità del duo. Per la coppia non c’è possibilità di erotismo senza l’aggiunta del terzo. Vero è che raramente esso è assente! se non in persona, quanto meno nel pensiero di uno dei due partner...  (cit. da Emmanuelle)

Mimmo Rotella
Care amiche, mettetevi a vostro agio e allungate le gambe sul lettino; perché oggi il tema è “caldo”... , almeno quanto una giornata di inizio agosto, vissuta nel bel mezzo della pianura padana (quando cioè i rivoli di sudore scendono lungo la schiena pure se rimani immobile come una salma).

Oggi si parla infatti dell’Altro, e dell’insostenibile sua assenza in tempo di vacanze.

Quante di voi sono infatti alle prese con i seguenti, angosciosi, problemi:
-      Posto o non posto le foto con marito 
e  figli? E se il “terzo” poi si offende?
- 
    Non è che quest’ultimo potrebbe scappare se dovesse vedermi, dopo un trionfo di foto in costosa lingerie e chat spericolate, vestita di un comodo e assai casto costume da bagno?

Dunque oggi si ragiona della “simpatica canaglia”, di quello salvato sul nostro cellulare con altro nome (solitamente femminile, magari quello della zia defunta); di colui che, almeno fino al mese di agosto, ha sempre ostentato disinteresse nei confronti della nostra vita famigliare, promettendoci ad ogni messaggio una sequela di fughe, di viaggi avventurosi e di brividi di piacere (proprio perché la nostra libertà vigilata lo interessava, lo rassicurava ai fini della conquista).

Ecco di lui si tratta, del simpatico impenitente single che, nel momento stesso in cui noi infiliamo rimpianti e infradito glitterati in valigia, posta su facebook per dire quanto sia felice di star per partire per l’India. E si domanda provocatorio se ci sarà ancora qualche centimetro di pelle libera sulla schiena, per tatuare un bel Ganesha (con tanto di proboscide penzolante, ça vas sans dire ….). E noi lì, combattute tra la familiare strapiena e l’aereo intercontinentale.

Così finiamo per trasformare un meritato periodo di relax, magari un poco noioso ma non necessariamente da disprezzare, in un incubo psicotico degno della migliore Glenn Close di Attrazione fatale. Soprattutto finiamo per dimenticare la vecchia e cara massima: “ad agosto amante mio non ti conosco”. Basta un paio di nostri messaggi a cui non viene data risposta e diventiamo furiose; non parliamo poi della reazione agli scatti da lui postati da Ibiza (ma non doveva andare in India?????), in compagnia di una super gnocca che pare essere appena uscita dal Liceo ….

Entriamo allora in confusione, precipitando nel vittimismo e nei ben conosciuti meccanismi di autocommiserazione; gli stessi che ci eravamo imposte di cancellare dopo l’ultima seduta dal counselor (prova evidente, direbbe Freud, che forse alcune pazienti amano la loro malattia e desiderano ardentemente non venirne curate). Se poi sei in Romagna, anziché sotto una palma; e ti ritrovi a mangiare pizza fredda, passando il tempo a correre dietro ai figli dispersi sul bagnasciuga, giocando a minigolf al parco dei gonfiabili e accarezzando l’idea di abbronzare a suon di bombe al napalm l’orchestrina di liscio che ti sta perforando da mezzora il padiglione auricolare, ebbene qualche dubbio può venirti. Che tu, ad un certo punto della tua vita, abbia svoltato a destra anziché a sinistra? Che sia stata una cattiva idea quella, ad un certo punto del cammin di vostra vita, di abbandonare il progetto propostovi dal vecchio fidanzato, attivista di Greenpeace? Perché, in fondo in fondo, partire per una missione di salvataggio delle balene in Artico ti appare in questo momento assai più allettante della partecipazione alla festa della cozza organizzata per questa sera dalla locale Proloco.    

E l’amante? 

Ah, lui è bello e libero come l’aria, combattuto tra happy hour e ragazze in bikini. Perché mica fa mistero delle sue conquiste, il porco traditore! E mentre noi perdiamo il sorriso, incupendoci senza apparente motivo, nostro marito si abbronza, perde finalmente qualche chilo a furia di partite di racchettone e inizia a scambiarsi sorrisi colla vicina d’ombrellone.

Orsù, care amiche; un petit peu de dignitéPerché mai perdere il nostro buonumore a causa di un semplice balocco usato? Per quell’oggettino simpatico, che non deve mancare mai nella borsetta di una signora ma che può anche essere definito come “il superfluo ma assolutamente necessario”?
Allora, parliamoci chiaro e senza ipocrisie:

1) se è una storia clandestina facciamocene una ragione: è destinata a finire, perché di marito ne abbiamo già uno e la poligamia rappresenta un inelegante eccesso;

2) in vacanza stacchiamo il telefono e godiamoci il ritorno in famiglia, le piccole gioie quotidiane e rilassiamoci; anzi, diamo una mano al marito affinché possa scatenare l’animale che è in lui (e se gli parlassimo insistentemente della vicina d’ombrellone?);

3) se l’altro è un impenitente scapolo, ricordatevi che la giovane di turno verrà presto rispedita al mittente (di certo nel momento stesso in cui oserà posizionare il secondo spazzolino nel bicchiere, sulla mensola in bagno).


Pertanto il mio consiglio, citando Adrien in Paura di volare, è il seguente: “smettiamo per un attimo di cercare l’amore e tentiamo invece di vivere la nostra vita!”    

lunedì 7 agosto 2017

Libri e lenzuola: consigli di lettura per letto a due piazze: Emmanuelle


Quando si legge di erotismo i casi sono due: o si chiude il libro alla seconda pagina, con uno largo e annoiato sbadiglio, o si avverte uno strano languore, che scioglie le membra e arrossa le guance.
E se, nel corso della lettura, non solo provo la curiosità di arrivare rapidamente alla fine del primo capitolo ma sento pure l’impellente necessità di portare i figli dai nonni (per indossare, o non indossare… a seconda delle preferenze, il baby doll comprato qualche giorno fa e ben ripiegato nel secondo cassetto a destra), allora si può ben dire che quel libro ha colto nel segno.
Così mi è capitato con Emmanuelle, di Emmanuelle Arsan.
Ho incontrato Emmanuelle a 18 anni, quando mi dedicavo, durante le ore di matematica – ebbene sì, lo ammetto ... –, all’approfondimento di libri “proibiti”, quelli dai contenuti femministi, erotici o politici (tra cui il Manuale di guerriglia urbana, recuperato nella sezione locale dell’ex PCI durante un trasloco), solitamente ben celati sotto il banco del liceo; e che spacciavo, generosamente, alle compagne. Soprattutto a quelle che il sabato sfoggiavano il fazzolettone degli scout.
Tra i capisaldi della mia educazione erotico-culturale c’è stato ovviamente la formazione “sessuo-politica” di Rocco e Antonia, protagonisti del Porci con le ali della Ravera; a differenza loro, però, all’epoca la sottoscritta era decisamente meno intraprendente. E le ali, loro erano ancora ben lontane dall’essere spuntate.
Mi avvicinavo così, timidamente, ad Emmanuelle; con qualche senso di colpa, e sempre combattuta tra il desiderio di saltare le noiose sequenze dialogiche e psicologiche per affrontare le assai più stimolanti pagine narrative-descrittive (quelle sì, utilissime e imperdibili mappe del corpo umano; almeno fino all’arrivo in televisione della serie animata Siamo fatti così…).    
Come rileggere questo romanzo oggi, dopo anni di pratica nella letteratura erotica e lustri di corsi di autocoscienza collettiva improntati all’esegesi del Monologo della vagina? E può, Emmanuelle, essere ancora definito un gioiello di erotismo squisitamente al femminile?
A mio avviso si tratta di un libro pensato esclusivamente per un pubblico femminile, quello che in fondo ama confrontarsi, ogni tanto, con una bella “supercazzola” intellettualistica che consenta di giustificare l’osservazione dallo spioncino di una qualche scena indiscreta.    
Inizialmente pubblicato clandestinamente (nel 1959), poi recuperato negli anni in cui si bruciavano i reggiseni e si teorizzava l’amore libero, Emmanuelle si trasforma subito nella celebrazione della femminilità, radiosa e raggiante, sfrontata e impertinente.   
Le situazioni di cui la fanciulla si ritrova protagonista ci appaiono un poco stereotipate. L’amplesso ad alta quota con un bellissimo sconosciuto, a donne di mondo, iscritte con soddisfazione al Mile High Sex, non dice poi un granché di nuovo; mentre le scene lesbiche, quelle sì, sono scritte talmente bene da farci pentire di non aver approfittato di quell’occasione colla migliore amica. Dopo 10 anni dal rapporto Kinsey, tuttavia, Emmanuelle rappresentava un libro importante; un libro che finalmente svelava, alla fine degli anni ‘50, l’esistenza dei sogni a luci rosse delle donne.
Da donna spocchiosa, snob e poco incline all’evasione letteraria “senza se e senza ma”, mi chiedo perché questo libro detenga ancora il titolo di romanzo erotico del Novecento.
Trascurando le arzigolate giustificazioni del piacere inseguito ad ogni costo, credo che la caratteristica che rende Emmanuelle un gioiello sia il dialogo, continuo e ininterrotto, con la tradizione letteraria e filosofica d’inizio secolo.
Scrivere di erotismo è infatti una delle cose più difficili da fare (è più semplice far piangere che non far ridere, ça vas sans dire); perché si rischia sempre di scadere nell’Harmony o nelle 50 sfumature: è un attimo, baby…
La soluzione può essere quindi quella di recuperare le atmosfere dannunziane, infarcirle di filosofia superomistica nietzschana (come avviene in Emmanuelle, grazie all’apporto fornito dal personaggio più ambiguo del romanzo) e lasciarsi andare alla sensualità di atmosfere decadenti. Perché è difficile trovare un romanzo che sia riuscito a giocare con un uguale souplesse colla raffinatezza delle sete impalpabili, del voyeurismo, del classismo di una coppia francese dell’alta borghesia e colla poesia di un fiume lento orientale. E ciò è fondamentale: se infatti viene meno l’atmosfera inconsueta e straniante, da fumeria d’oppio, dove tutto è possibile (anche identificarsi totalmente e senza rimorsi con la protagonista), il rischio diviene quello di precipitare in Bambola (film di Bigas Luna, la cui locandina mostrava una procace Valeria Marini seduta a cavalcioni su una mortadella). Parbleu! Posso anche accettare la plebea mortadella, ma solo se inserita tra due fette di pane…. non certo stretta tra le cosce di una donna.

venerdì 4 agosto 2017

Quando l’uomo alfa diventa un Gamma minuscolo..e non ho scelto a caso la lettera greca

“comunque non fu un gran che. Una cosa media. Aveva ancora la bandiera a mezz’asta e si dimenava dentro di me sperando che non me ne accorgessi...” (da Paura di volare, di Erica Jong)

Quando una fanciulla trova un nuovo fidanzato, noi amiche partiamo immediatamente con un’analisi improntata alle sacre regole delle “5W” (Who?; What?; Where?; When?; Why? … a cui si aggiunge, invariabilmente, un gigantesco How?); che manco un premio Pulitzer – aggiungiamo senza tema d’essere smentite da un qualche pruriginoso titolista – sarebbe cosi preciso nel rispettarle.
Perché, diciamocelo pure, a noi interessa soprattutto l’How. E via a quel punto che scattano gli impietosi paragoni, arricchiti da dotte citazioni tratte da anni di frequentazioni freudiane, yunghiane e langhiane (sia detto tra parentesi che noi, ragazze alla moda, di psicanalisti non ce ne siamo persi uno; anzi, molto probabilmente, senza neppure saperlo, siamo noi stesse diventate materia di letteratura citata in convegni internazionali).
Così, come Isadora, conquistate dall’uomo alpha, quello che ci fa battere il cuore e perdere la testa, una volta messo alla prova, sperimentata l’orizzontalità del piacere, possiamo aver pensato “non è capace; riuscirò a dimenticarlo”.
La prima impressione è sempre veritiera: sappiatelo! Ciò nonostante, noi nulla… non scappiamo via velocemente; anzi, finiamo per fissarci con ancora maggiore accanimento. Indossiamo insomma i panni dell’assistente sociale, dell’infermiera premurosa, e, ancora una volta, comprendiamo.
Certo, avete ragione cari maschietti, a tutti può capitare una giornata storta, una scivolata nella scala di valori costruita sulle lettere dell’alfabeto greco tale da portare il vostro ego giù giù fino alla lettera Gamma (trovo che, anche visivamente, proprio questa lettera renda bene l’idea della débâcle maschile)…
Il problema in realtà è di noi ragazze, perché siamo troppo abituate a giustificare i fallimenti del nostro Lui.
E così facendo ci priviamo delle doverose attenzioni, che ci spettano: a partire dalla libido strappamutande che il partner DEVE avere. Al contrario, cerchiamo mille scusanti e minimizziamo l’accaduto; tanto da arrivare quasi a incolpare noi stesse (“non ero all’altezza, eppure ero sexy da paura… eppure ho fatto, davvero, tutto il possibile...”).
Così alla fatidica sua domanda (perché quella arriva sempre, soprattutto se facciamo seguire un minuto di silenzio al “fu siccome immobile”): “che cosa stai pensando?”, noi immancabilmente rispondiamo: ”A nulla: è stato bellissimo!”
Bellissimo? Ma bellissimo un corno! 
È stato imbarazzante, deludente, noioso… e mi sono sentita più o meno trattata come un’incudine martellata selvaggiamente da un sudato fabbro medievale.
Anzi, sai che ti dico?
Ci sarà un motivo per cui, con tante che ne hai avute, neppure una è rimasta?
E sì, sarebbe bello se rispondessimo così; invece tutto ciò rimane solo nei nostri pensieri, latente e inespresso. Perché siamo convinte che con gli uomini sia necessario agire nascondendo e nascondendosi; sia necessario blandire l’ego maschile, accarezzarlo e assecondarlo. Guai a rivelare quello che pensiamo realmente, per non offendere o, semplicemente, per non farlo scappare immediatamente a gambe levate.
Siamo così sicure che l’uomo abbia bisogno di tanta complice ipocrisia?
Non è che, in fondo in fondo, il suo desiderio sia quello di essere un Beta, un Omega, una Ypsilon… senza dover vergognarsi delle proprie emozioni?
Così, care ragazze, lo volete un consiglio? Quando il tipo con prestazione Gamma si reca trionfante in bagno, subito dopo l’amplesso, pensandosi un magnifico Alfa, voi non esitate: prendete la porta, ma quella di uscita! Senza ringraziare, mi raccomando; perché, in fondo avete fatto un’opera caritatevole. E quando si fa l’elemosina, come cita il Vangelo secondo Matteo, non occorre suonare la tromba.