Consigli per una vita di coppia felice e per una singlitudine serena, senza troppi sensi di colpa.

lunedì 21 agosto 2017

Libri e lenzuola. Consigli di lettura per letto a due piazze: L'Histoire d'O, di Pauline Réage


Non è semplice scrivere di “O” per una signorina qual sono io, orridamente schifata dalla violenza ed irriducibilmente contraria ad ogni tipo di sottomissione (di qualunque genere, forma e colore; a qualsiasi latitudine… soprattutto se richiesta ad una donna, all’anima sua e al suo corpo). 
La recensione di un “classico” dell’erotismo s’ha però da fare, dunque armiamoci di coraggio e partiamo…


Prima considerazione:
per combattere il senso di nausea, che sale rapido su per l’esofago, occorre premunirsi di tonnellate di Maalox; anzi, forse più di un farmaco anti-rigurgito sarebbe necessario, col susseguirsi delle scene di sodomizzazione, acquistare tubetti e tubetti di “Preparazione H” (non si sa mai, si vis pacem para bellum dicevano gli antichi...). Ammetto che, ad un certo punto, forse per associazione d’idee, mi sono persa a pensare ai NOTAV (e alla povera e maltrattata Val di Susa, naturalmente).

Seconda considerazione:
per leggere l’Histoire d’O è necessario dimenticarsi della nostra storia personale, di quello che siamo faticosamente divenute dopo un passato vissuto al fianco di madri femministe; ed occorre convincersi per il tempo della lettura che sia necessario accettare la violenza, magari come “una laica e libertina benedizione”. Il rischio è altrimenti quello d’inquinare la lettura con immediati giudizi, facendosi prendere dalla stizza e dallo sdegno. Solo in questo modo si può comprendere il perché l’Histoire d’O non sia un semplice romanzo BDSM.

Ultima raccomandazione finale: ricordatevi di fare un salto alla sezione “ippica” della Decathlon, perché il frustino da cavallerizza che lì trovate è assai più funzionale e pratico di quello acquistato al sexy-shop sotto casa (almeno non si spezza alla prima nerbata). Anche in questo caso vale il motto latino di prima: si vis pacem para bellum...

Iniziamo col dire che, come tutte le cose proibite, anche Histoire d’O produce assuefazione, nonostante le già citate "esagerazioni" da boudoirLeggi quelle pagine e, quasi inevitabilmente, finisci per immaginarti tra le mura del castello di Roissy. E ti chiedi se non sia il caso di iniziare a portarti appresso, in borsetta, il corsetto nero di velluto col reggicalze abbinato. Per ogni occasione, per non farsi trovare impreparate. Dal momento che sappiamo bene come la lettura stimoli la fantasia, è infatti necessario avere tutto sotto controllo perché potrebbe anche essere che la serata deragli dall'abituale schema pizza, cinemino e dopocena al buio in camera da letto.
Il romanzo viene pubblicato, nel 1954, da Pauline Reage, pseudonimo di Dominque Aury (nome che trovo dolcissimo, e che associo assai più alle romantiche passeggiate lungo i viali del Jardin des plantes che al caos di un’affollata dark room). La sua trama è invero assai semplice: una donna, affascinante e graziosa, indicata solamente dall’iniziale del nome (come se non fosse neppure degna di possedere un’identità), viene condotta dall’amante René a Roissy. Qui, ospitata in un favoloso castello – oh…, mai che sia un posto cencioso… che so, un appartamento di 70 mq a Quarto Oggiaro oppure una villetta scalcagnata nella banlieue di Saint-Denis –, viene dal compagno offerta alla brama di altri uomini-padroni. Che faranno di lei un oggetto, dedito al compito di soddisfare tutte le voglie. Segue un crescendo di depravazione, al punto da rendere difficile il seguitare a leggere. Ciò nonostante “O” non si ribella mai, ma proprio mai; e accetta tutto, ma proprio tutto. Viene così frustata, sodomizzata e riempita come un tacchino per il pranzo del Ringraziamento.
Come sappiamo le cose belle purtroppo finiscono, sempre troppo presto; e così dopo un po’ i due amanti, abbandonato il cuoio e il ferro, tornano mesti mesti a Parigi.
A questo punto tutte noi, lettrici appassionate e sdegnate, ci aspetteremmo un moto di ribellione in “O”. Trepidiamo nell'attesa che la ragazza mandi finalmente a quel paese il generoso fidanzato (generoso con gli amici, ovvio), trovandosi un bravo analista per "giustificare a se stessa" il turbolento passato. E che rinasca, magari facendo coppia con un esperto proctologo (che la rifornisca di lenitivi e provvidenziali unguenti). Invece no, dal momento che a noi donne gli “stronzi” piacciono davvero tanto, "O" non solo persevera nella fosca relazione col bel Renè, ma acconsente pure a diventare la schiava del di lui fratellastro.
Ancora una volta all'autrice piace vincere facile: perché mica il fratellastro lavora come commesso ai grandi magazzini; no… non sia mai! Il fratellastro è infatti niente po’ po’ di meno che Sir Stephan, uomo naturalmente ricchissimo e come al solito estremamente fascinoso. E dunque, davanti a un tale diamante grezzo, cosa vuoi che sia tornare all'abitudine antica che ti porta ad accettare felice un paio di scudisciate, una scarnificazione, il sadomaso a colazione ed una bella marchiatura a caldo? 
Così mentre noi ci preoccupiamo di mostrare la nostra nuova Balenciaga alle amiche invidiose, “O” si può permettere di sfoggiare orgogliosa due piercing sulle grandi labbra (comodi comodi per consentire al compagno di portarti a passeggio, tenendoti al guinzaglio come un simpatico barboncino).

Ora capite, vero, con quale difficoltà io abbia portato a termine questa bella lettura?

Tuttavia il romanzo ha un pregio vero, che va al di là del tetro contenuto. E questo valore aggiunto è nella scrittura: dura e fredda, quasi scientifica; uno stile che non nasconde nulla, descrivendo senza reticenza i baci così come le ferite inferte dalle pratiche estreme; insomma una sorta di manuale Ikea della perversione, dove per montare la combinazione desiderata abbandoni la brugola e ti affidi al divaricatore. Ciò nonostante – pare incredibile – tra uno stupro di gruppo e un’impersonale ammucchiata riesce infine ad affiorare il sentimento, neanche che il bacio di cui ad un certo punto si parla avesse le fattezze della famosa ginestra abbarbicata sull’arida schiena della desolazione.
E così, mentre cerco i fiori nel letame, il bello nell’orrido e la poesia nel martirio, a me sovvengono le immagini delle sante che, cantando l’Osanna, accettano felici la damnatio ad bestias.

Dunque cosa è “O”? È davvero solo una folle pervertita?

L’unica risposta che sono riuscita a darmi è che “O” si muove seguendo una sua logica, rispondendo ad un suo peculiare desiderio di libertà. Forse stravagante, probabilmente discutibile. Perché ci appare strano associare le parole libertà e schiavo; eppure “O” ci dimostra come, se ce ne fosse ancora bisogno, l’amore segua percorsi oscuri e tortuosi, offrendo tante volte risposte che tali non sembrano (anche un bustino con stecche di balena può diventare una soluzione alla carenza d’amore, perché no?).

Intendiamoci: nulla di nuovo si muove sotto il sole della letteratura. Basterebbe rileggere qualche lettera di Abeladro ed Eloisa, e si comprenderebbe come sia sempre sottile il discrimine tra piacere e dolore. Oppure, sarebbe sufficiente guardare a tante sante barocche: e così come faceva Teresa d’Avila, che accettava la mortificazione del suo corpo, procurandosi ferite e arrivando a morire d’inedia dopo aver mangiato merda e vomito degli ammalati, allo stesso modo si comporta “O”.
Come una mistica d’altri tempi anch’essa si libera infatti del peso del proprio corpo, del suo essere una donna dei nostri tempi; e il mezzo per realizzare quest'abbandono è la fustigazione e l’autodistruzione.

Allora torniamo alla domanda iniziale: perché leggere oggi Histoire d’O?

A mio parere la storia di “O” può costituire una sorta di vaccino contro le mille immagini stereotipate dell’amore, quelle che invariabilmente fanno rima con “cuore” e con “saranno felici per sempre”. 

Perché non è vero che le favole sono sempre a lieto a fine; non è vero che Cappuccetto Rosso abbia paura del lupo cattivo (in realtà, il testo originale di Perrault parlava di una fanciulla vestita in latex, che prendeva allegramente il lupo a scudisciate). Mentre sicuramente è vero che Biancaneve gangbangava con tutti i sette nani! 
Felicemente, pure…


Ps. Come semplice comunicazione di servizio: almeno per quel che mi riguarda, l’agitare il frustino davanti agli occhi del compagno ha come unico scopo quello di risvegliare il “master” sopito in lui (non certo quello di farmi riempire di botte… o invitarlo a stuccare tutti i buchi del mio corpo). 

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