Consigli per una vita di coppia felice e per una singlitudine serena, senza troppi sensi di colpa.

domenica 2 dicembre 2018

20 giorni di solitudine: e non ho neppure bisogno di leggere Marquez



Giorno 1
Ieri te ne sei andato lasciandoci come satelliti dispersi in orbita. Così, in un istante, diventiamo spazzatura alla deriva. Naufraghi inconsapevoli assediati da voci confuse e messaggi concitati da parte di chi, solo ora, ha compreso solo la tua assenza futura: ma come? È uscito di casa? E tu? E i bambini come, come stanno? Che farete adesso? Cosa significa? Eh, certo però anche tu..sicuramente ha un’altra.. è impazzito?”..
I whatsapp si rincorrono come sciame di api alla ricerca dell’alveare distrutto da un monello idiota. Tutti cercano di convincermi che “finalmente, era ora!”“forse è solo la crisi di un uomo arrivato alle soglie dei cinquanta”.
Tu hai deciso.
Non mi hai concesso replica e all’istante ti sei trasformato in uno sconosciuto, freddo, distaccato, vuoto della nostra vita insieme.
Io, non me lo aspettavo.
È vero, avevamo avuto momenti di crisi e forse c’erano stati dei presupposti, ma non credevo di essere davanti alla porta dell’inferno.  Di essere in possesso di un biglietto per un viaggio senza ritorno.
Quando mi hai annunciato che volevi la separazione, io sono rimasta gelata, basita, incapace di realizzare.
Non mi aspettavo l’ineluttabile dal mio compagno (sai bene quanto odi il termine “marito” con tutto quel suo carico di retaggio patriarcale).
Ho colpe? Certo e tante ma ti giuro che con te ero felice. Non volevo nulla; non ti chiedevo nulla, se non forse di un po’ di attenzione in più.
Avevo bisogno di poco: volevo solo ballare.

Giorno 2
La notte è trascorsa abbastanza serena nonostante il dolore che sento avanzare sordo come un temporale all’orizzonte. Ancora non ho preso perfettamente coscienza della tua assenza in casa.
Anche i nostri figli si aggirano come se niente fosse: continuano la loro vita fatta di studio, amici e routine. La piccola di casa, invece ha uno sguardo triste. Questa mattina l’ho sorpresa da sola a fare colazione. Prima c’eri tu che la svegliavi con un bacio e qualche coccola, ora, sorprenderla seduta, malinconica davanti alla sua tazza di latte mi ha stretto il cuore.
Ho avvertito freddo e sono corsa a cercarle un maglione pensando avesse freddo pure lei.  

Giorno 3
Oggi ho incontrato per la prima volta il mio avvocato. Ho deciso di assumerne uno solo mio. Non voglio condividere lo stesso con te perché sarebbe ingiusto. Sarebbe farmi violenza da sola. In fondo hai deciso tu e da tempo lo meditavi. Pertanto non vedo il motivo di fingere davanti ad un estraneo una separazione educata e consensuale. Consensuale un cazzo: io subisco lo strappo e non ho voglia di interpretare il ruolo della signora per bene che accetta passivamente per il quieto vivere. No, se posso giuro ti cavo anche il sangue. E i figli?
Te li concedo un giorno a settimana.

Giorno 4
Ti ho scritto dopo una notte in bianco. Tu, ovviamente non hai risposto subito. Possibile che l’unica cosa che sai dirmi è “spero tu riesca a trovare la felicità” dopo 20 anni di matrimonio? Mi aspettavo un pensiero più articolato e complesso che non due righe che rimbombano di falso e di vuoto.
Un eco stonato carico di ovvietà.  

Giorno 5
Ho aperto il tuo armadio e ho notato gli spazi vuoti tra una giacca e l’altra. I cassetti sono già stati saccheggiati del loro contenuto. Oggi ho toccato con mano cosa significhi essere monade.
Ho pianto. Si, ho pianto con i singhiozzi come non mi capitava da tempo. Sono in bilico tra i sensi di colpa, l’orgoglio ferito e la paura verso un futuro incerto. Per la prima volta, da quando hai deciso di chiudere alle tue spalle la porta di casa nostra, ho avvertito il silenzio.
Mi sono improvvisamente trovata sola, indecisa per un istante se lasciarmi cullare dall’apatia. I figli preoccupati mi vedono zoppicante lungo il limite dell’oscurità. Sono consapevole del salto che mi attende…
Tutti mi dicono che questo è il prezzo da pagare in una separazione, ma ti giuro che avrei preferito morire piuttosto che perdere te. Eppure è accaduto.
Mi continuo a chiedere il senso di tanto strazio e quale significato potrà assumere nel corso della mia vita. Mi aiuterà a crescere? A non ricommettere i medesimi errori con un altro uomo? Ma chissenefrega del poi.
Io rivoglio il mio passato prossimo.

Giorno 6
Oggi hai finalmente visto i nostri figli. Uno alla volta, per carità.  Hai concesso loro solo pochi istanti. Temi forse di sentirti troppo padre? Non si sa mai che una botta di nostalgia faccia traballare il tuo proposito di addio. Tranquillo, ci sono io a ricordartelo. Non si torna indietro! La tela ha bisogno di nuovi colori per diventare capolavoro.
Vedi non hai detto addio solo a me, ma anche ad un mondo fatto di affetti e quotidianità. Di spazzolini da denti consumati, colazioni insieme, discussioni stupide su chi deve portare fuori il cane.
Ma non ti mancano le nostre voci?

Giorno 7
Ho messo mille euro su quello che d’ora in poi sarà il nostro conto comune per le spese di casa e per il mantenimento dei figli. Ti chiedo di partecipare con una tua parte. Abbiamo ancora da pagare alcune bollette, la donna di servizio, la danza della piccola.. e volevo anche aggiungere che ho acquistato due libri ad A. per la scuola.
Totale libri 31 euro.
Quindi mi devi la metà.

Giorno 8
Chi va a prendere O. a scuola? Chi la recupera da danza nel tardo pomeriggio? Io sono al lavoro, avrei bisogno di sapere in anticipo i tuoi spostamenti ed impegni in modo da gestire al meglio la situazione. I figli non sono pacchi postali.
Perché non sei salito a salutarci quando hai riportato a casa la bimba? Scusa, ti sembra giusto? Non esiste solo la figlia piccola: i due grandi ci sono rimasti male. Ti aspettavano anche solo per un saluto veloce.
Non esiste una fuga per la vittoria. Questo non è un film a lieto fine.   

Giorno 9
È durissima, di notte spesso non dormo. Sono nel lettone insieme ad O. e al cagnolino.
Il nostro cane avverte la tua mancanza tanto da non stare distante da qualcuno.
Non puoi immaginare gli incubi che mi assalgono, ricordi e immagini di vacanze trascorse insieme, di momenti vissuti e tanta paura. Ma a quanto dolore mi hai costretta?
Comunque ho deciso di resistere. Stringo i denti e combatto tra il desiderio feroce di odiarti e cancellarti per sempre e quello di averti accanto.
Come hai potuto lasciarmi dopo avere fatto l’amore con me?

Giorno 10
Ho il cuore straziato: questa sera mentre cenavo con i nostri figli, guardavo il tuo posto vuoto. P. si è reso conto del mio sguardo triste così gli è venuto naturale sedersi lì.
Ora è lui l’uomo di casa.
Domenica scorsa ero proprio disperata. Gli amici di Milano, si sono presi cura di me e i ragazzi. Hanno cercato di creare un clima sereno nonostante io fossi chiusa in camera a singhiozzare.   
No, non è facile. Non lo auguro a nessuno.
Evito il più possibile di percorrere da sola le strade del centro: fino a qualche giorno fa eravamo ancora mano nella mano o seduti davanti ad un calice.    
Le amiche mi spingono a non mollare, a continuare a vivere ma soprattutto a non farmi una colpa di essere quella che sono.  
Domani vedrò una psicologa perché, a differenza tua, che hai sempre rifiutato un confronto con la tua interiorità, io, invece, ho bisogno di essere guidata per fare ordine in questo caos di sentimenti contrastanti. No, non preoccuparti, non ho intenzione di chiudermi a riccio e diventare refrattaria alla vita.
Io non precipito mai.
Io cado sempre in piedi.   

Giorno 11
Ho avuto molte cosa da fare: impegni a scuola, un giro in palestra, appuntamento con la mia counselor e tante telefonate. Cerco di mantenere una parvenza di normalità almeno negli impegni quotidiani. Una cosa, però, è cambiata: la gestione del mio tempo. Ora sembra tutto scandito dalle lancette e ti sembrerà strano ma nessuno di noi sgarra un secondo. Abbiamo tutto cronometrato come maratoneti pronti allo start. Scattiamo sull’attenti quando suona la sveglia e iniziamo la nostra giornata. Mi manca la tua presenza in cucina.
Ora il caffè lo bevo da sola.                  

Giorno 12
Oggi mi sono svegliata inquieta. Come sempre non ho dormito e alle 4 ero in piedi a guardare fuori dalla finestra un cielo grigio e carico di pioggia.
Fa freddo, credo che abbiamo sbagliato a fare il riscaldamento a pavimento così come quel colore melanzana alle pareti della cucina. Hai notato quanto è buia la nostra casa?
Mi sono resa conto che, dieci anni fa, quando abbiamo ristrutturato, ci siamo affidati a troppe voci. Tutti hanno detto la loro, ma noi non abbiamo mai detto la nostra su come dipingere le pareti, piastrellare i bagni o disporre le stanze.
Ho intenzione di arredare come pare a me. In questi anni abbiamo abdicato al dovere di accudire il nido; nessuno di noi aveva tempo per occuparsi della casa. Sentivamo strette queste pareti e ogni occasione diventava evasione dalla quotidianità. 
Negli ultimi tempi, quante volte mi sono sorpresa ad odiarti. Non sopportavo, infatti, di vederti ogni giorno seduto in cucina davanti al tuo computer, tra briciole di qualche pasto mal digerito, libri alla rinfusa e tazze sporca di caffè.
Fazzoletti di carta usati, il pane raffermo, fotocopie segnate da geroglifici in rosso e libri aperti erano il panorama di una cucina abusata e dissacrata. La mia casa, la nostra casa si era trasformata a poco a poco in una prigione. 
Ora io e i ragazzi ci impegniamo a mantenere l’ordine in particolare dove si mangia insieme. Finalmente ho imparato a fare la lavastoviglie.
Non che riesca sempre a mettere al giusto posto i bicchieri: la geometria analitica dello spazio continua ad essere un problema.   

Giorno 13
Ieri sono andata a fare per la prima volta la spesa senza pensare di acquistare le tue verdure preferite o il taglio di carne. Con orgoglio ammetto di avere ceduto sul doccia schiuma costoso. Ho deciso di abolire i prodotti discount che tu amavi tanto acquistare come spregio alle multinazionali. Ammetto che mi sono concessa il tempo di selezionare solo le marche più note, annusando tutte le profumazioni possibili e scegliendo in base alla grazia del contenitore.      
Io scelgo sempre il meglio.
Ecco dove ho sbagliato: con te mi sono accontentata.

Giorno 14
Non me ne frega un cazzo se il tuo avvocato dice che…io voglio la metà delle spese per i figli. Fino a prova contraria i tuoi figli stanno sopravvivendo con il mio stipendio di insegnante.

Giorno 15
Questa mattina mentre facevo colazione si sono palesati i tuoi genitori. Tua madre mi ha chiesto come stavo.
Ovviamente le ho risposto male.
Non ha nascosto una punta di sadico compiacimento: ha cercato pure di fare la simpatica con l’infelice battuta del tipo “fattene una ragione dai!”.  La cara signora mi ha consigliato pure di farmi seguire da uno psicologo. Buffo no? Proprio lei, nota collezionista di fallimenti pedagogici, mi consiglia uno psicologo!
Dimenticavo: avverti pure i nonni paterni che vedranno la figlia piccola nei giorni stabiliti dal giudice.
Ho intenzione di battermi per ogni insignificante diritto che mi aspetta in questa separazione.  

Giorno 16
Questa notte ti ho scritto. Ero molto arrabbiata. Ti ho chiesto ripetutamente se tu avessi un’altra. Ammetto che ho cercato qualche indizio sul tuo profilo facebook, ma non ho scorto nulla di significativo. Le persone con cui parlo della nostra separazione danno tutte per scontata la presenza di un’altra donna. Così ho iniziato a dubitare di una persona e in preda ad un attacco feroce di follia ho fatto quello che mai avrei immaginato: ho telefonato a quella persona e le ho chiesto se aveva una relazione con te.
Quanto coraggio ci vuole per dare voce alle emozioni?
Voglio la verità.

Giorno 17
Oggi i miei avvocati mi hanno comunicato che il tuo ha lamentato il mio comportamento: mi ha accusato di stalking per i messaggi che ti ho inviato l’altra sera!                  
Stai scherzando vero? Fino a prova contraria sei ancora mio marito ed io ho tutti i diritti di renderti partecipe del mio dolore o dei miei dubbi. Inoltre non sei stato tu a dirmi che non sarebbe cambiato nulla? Che il dialogo tra noi ci sarebbe sempre stato?
Sono rimasta allibita da tanta arroganza e mancanza di sensibilità…
Volevo ricordarti (e bada bene: non è stalking) che dobbiamo versare 300 euro per la gita del figlio grande.

Giorno 18
Sono rimasta senza parole quando l’avvocato mi ha chiesto di oscurare il mio blog e temporaneamente sospendere il progetto del libro per evitare, se finissimo in giudiziale, di essere accusata di tutte le nefandezze di una Semiramide.
Mi è sembrato strano ricordare loro che sono una scrittrice e che mi occupo di sessualità. A dire il vero sono pure in buona compagnia: ci sono bravissime autrici che trattano i miei temi e non credo che siano tutte delle Erodiadi.
Comunque io non ho intenzione di vergognarmi di nulla, tanto meno di quello che scrivo: esiste la finzione narrativa e la libera espressione artistica.

Giorno 19
No, non ti amo più. Avevi ragione quando me lo facevi notare. Dopo ieri mi è calata la catena: non ho più motivi per difendere il mio dolore. Sono stata accusata di stalking da parte del tuo avvocato e mi è stata paventata la censura ai miei scritti perché ritenuti troppo licenziosi al fine di una giudiziale (povera Anais Nin, povera  Colette, mie maestre e guide, oggi sareste accusate di immoralità e messe alla gogna).
Forse poche ore prima di questi tristi annunci avrei strisciato pur di riaverti. Mi è bastato così poco: l’ipocrisia, il perbenismo e l’ignoranza per farmi immediatamente cambiare idea.
Non provo più nulla: solo una punta di compassione per tutti noi che sembriamo scimmiottare un brutto dramma borghese (chissà, forse Ibsen ci avrebbe raccontato in un’opera teatrale se ci avesse conosciuti: una moglie un po’ matta, un marito preoccupato del suo buon nome e un’orchestra di voci intorno pronte a emettere sentenze).
Ebbene, in questa piccola città, chi è senza peccato, forza, scagli la prima pietra.   

Giorno 20
Ho messo via un po’ di rumore.
Ho messo via un po’ di illusioni
Che prima o poi basta così..
Ho messo via un po’ di consigli
Dicono è più facile
Li ho messi via perché a sbagliare
Sono bravissima da me..
(Ligabue, Ho messo via)

Benvenuta vita, che tu sia benedetta.

ps: ogni scrittore  non può far a meno di raccontarsi. Ovviamente ho tratto ispirazione dal personale enfatizzando però la situazione e trasformandola in finzione letteraria. Io, non solo amo moltissimo il mio ex marito per il quale nutro una stima profonda e gratitudine per questi venti anni di relazione (e' solo per merito suo per cui oggi mi posso guardare allo specchio orgogliosa di essere quella che sono), ma la nostra separazione è stata assolutamente condivisa e meditata da parte di entrambi. Pertanto il mio breve diario è solo parzialmente coerente con una realtà vissuta.
       

domenica 4 novembre 2018

Chatrubate: voyeurismo online


  

Chi lo avrebbe mai detto che l’industria del Porno sarebbe stata messa in crisi da un esercito di studentesse, casalinghe, da donne della porta accanto che, ogni giorno, guadagnano la pagnotta davanti ad una web cam?
Dimenticatevi tette rifatte, natiche sode delle porno dive, perchè Chatrubate, la più famosa chat a sfondo sessuale del momento, è un vero talent show dove si possono esibire tutte:  dalla vicina di casa, alla figlia dell’antennista che, o per narcisismo o per arrotondare si cimentano in ammiccamenti e balletti masturbatori. Insomma un vero e proprio reality all’interno di stanzette adolescenziali, magari con i libri ancora aperti sulla scrivania e i poster dei cantanti appesi alle pareti. E se sei una MILF? Ovviamente improvvisi uno spogliarello nel soggiorno di casa, magari interrompendo la performance per correre a girare il sugo. Non si sa mai che attacchi sul fondo del tegame.
Un esercito di donne (anche giovani uomini) in coppia o single, in attesa che qualche sconosciuto dall’altra parte dell’etere avanzi richieste tipo “togli lo slip o abbassa la spallina del reggiseno” o “mettiti a novanta”. Ovviamente ad ogni richiesta corrisponde la monetizzazione che avviene attraverso i token (gettoni).
Le cam girl non sono sottoposte a orari di lavoro e decidono liberamente quello che vogliono o non vogliono fare. Possono interagire con gli utenti del sito tramite la chat multipla (per i più generosi è sempre disponibile uno show privato) e accettano le richieste di coloro che tippano ovvero elargiscono un certo numero di tokens per veder realizzati in diretta i propri desideri. Le performers incassano 10 centesimi di dollaro su ogni gettone ricevuto, mentre il sito guadagna all’incirca 40 centesimi per ogni gettone. Una cam girl deve quindi cercare di restare online il maggior tempo possibile ma soprattutto fornire un ampio menù di “extra” che sono molto più costosi.  Oltre ad accettare denaro, alcune ragazze mettono a disposizione una whishlist, per cui gli utenti possono scegliere di regalare qualcosa a scelta dalla lista degli oggetti: si va dalla sexy lingerie alle lavatrici. Il tutto acquistabile comodamente online.
Poiché le camgirls sono della generazione 2.0, hanno blog e spazi di incontro in rete dove si scambiano informazioni sugli utenti e condividono i dubbi che possono sorgere se inizi una professione così particolare. Navigando tra le chat, in cui le ragazze dialogano, si resta stupiti nel notare come le nuove generazioni vivano una sessualità disinibita, internettiana e materialista. Non c’è spazio per i sentimenti. Quello che si offre in rete è solo uno spettacolo, una versione erotica del Grande Fratello ad uso e consumo di un pubblico pagante.         
Ho seguito attentamente chatrubate e ammetto di essere rimasta sensibilmente colpita dalla sicurezza con cui le ragazze single o in coppia (etero o lesbo) si esibiscono. Che a noi femministe nate negli anni settanta sia sfuggito qualcosa? Non è che mentre perseveriamo con i nostri modelli, le nuove leve ne abbiano dei nuovi?  Non è che le nuove generazioni di donne abbiano raggiunto la piena consapevolezza del loro corpo e della loro immagine da esporlo pubblicamente a scopi di lucro senza concederlo mai?
Ovviamente per quanto mi riguarda dopo cinque minuti spesi ad osservare una camgirl impegnata in un balletto sexy piuttosto sgraziato, in preda alla noia ho iniziato a cercare indizi sulla sua vita osservando i pochi oggetti in vista durante la ripresa: una cameretta come tante, rivestita da una banale carta da parati. Così, mentre la fanciulla esaudiva svogliatamente qualche richiesta di un nickname mi sono chiesta cosa spinge tanti uomini   a preferire il sesso virtuale a quello reale tanto da fare regali alle loro beniamine? A donne con le quali non hanno alcun tipo di rapporto affettivo?
Secondo alcuni studi la chat permette di soddisfare immediatamente i propri bisogni, cosa non garantita in un approccio tradizionale. Inoltre, come già sottolineava l’indagine “Antropologia della sessualità in rete” del 2006, in chat si realizza una sessualità trasgressiva per cui nessuno si sente inibito a utilizzare un lessico colorito e lasciarsi andare alle fantasie più strane. Eppure qualcosa continua a sfuggirmi. Una volta c’era la posta delle riviste porno in cui gli italiani si confidavano e raccontavano la loro sessualità vera o presunta senza troppi giri di parola. Una volta c’era appunto la parola che faceva da interfaccia tra realtà e fantasia. Scrivere implicava fatica anche nella costruzione di un pensiero logico e si svelavano perversioni o abitudini in camera da letto seguendo una sintassi. Oggi, invece, si guarda solo: manca un plot narrativo che crei una attesa.
Chatrubate non è altro che un racconto estemporaneo senza narrazione. Un racconto non raccontato, cioè un racconto della sessualità dove, per dirla con Genette, manca una voce:
quella del narratore.        

#chatrubate 
#sessoinrete 

Bibliografia e sitografia:
chatrubate.com
www.danielebarbieri.it/texts/RaccontiSenzaNarrazione.pdf
Daniele Barbieri  "Racconti senza narrazione", Lexia n.5, marzo 1995
Cara Lady, manie erotiche e vizi proibiti degli italiani nelle lettere alle riviste porno, edizioni Anthropos Roma 1980
Gerard Genette “Figure III. Discorso del racconto. Piccola biblioteca Einaudi 1986


martedì 9 ottobre 2018

Non dimenticherò mai quella volta che..







Non dimenticherò mai quando te ne sei andato la prima volta. Io non capivo, giuro non capivo come tu potessi lasciarmi, eppure facevo tutto per te. Non stavamo forse bene insieme? Non eravamo felici?

Senza dirmi nulla, avvolto da una nuvola di intenzioni, ti sei allontanato seguendo il miraggio di una felicità borghese. Non dimenticherò mai i tuoi silenzi, i non detti e poi tutte le recriminazioni e le frasi sconnesse a seguire.

Ti ricordi quella volta quando tu camminavi davanti, a passo svelto e feroce, mentre io dietro, a capo chino, fingevo che non fosse accaduto nulla? Avevo insistito per fare una passeggiata in centro. Io avevo osato prendere un’iniziativa.!Che sciocca presuntuosa.  Tu, come punizione, mi hai tolto la parola così che, ogni tentativo di comprendere, iniziava a infrangersi contro un muro di non detti.

Cosa mi è restato come consolazione ad un amore severo e autoritario? Consumare le suole delle scarpe nel ripercorrere i luoghi del passato. La giovinezza fatica a diventare adulta quando qualcuno ti ha scippato per tanto tempo il desiderio di vivere.

Non dimenticherò mai il giorno in cui tu te ne sei andato per la seconda volta: eravamo in autunno e, dopo qualche mesi di finzione, hai deciso trionfante per altre donne. Più avvenenti e più disinibite di quanto fossi io piccola cornacchia gracidante.

Avevi ragione: ero troppo brava. E dovevo sembrare veramente una ragazzina irritante, di quelle che alzano il mento orgogliose, ogni volta in cui disegnavo i punti sulle I con ostinazione. Ti comprendo: non potevi certo sentirti a tuo agio in mia compagnia.

Cosa farsene di una che non capisce come va il mondo o non ride mai alle battute degli amici? Come consolazione ad un amore leggero e insincero mi resta l’illusione di un romanzo. Le parole silenziose  di Margerite Duras salvano più di mille pastiglie di Prozac.   

Non dimenticherò mai il giorno in cui te ne sei andato per la terza volta: avevo deciso che era giunta ora di fidarsi di un uomo. Mi ero messa d’impegno: basta viaggi tra un fidanzato turistico e l’altro. La tratta Roma- Milano iniziava a essere percorsa da treni ad alta velocità e i continui ritardi sembravano inviti a mettere radici.

Ti aspettavo sai? Tu giovane e promettente intellettuale, cresciuto tra cortei e manifestazioni, eri quello che avevo sempre sognato: l’eroe giunto a cambiare il mio mondo.

Purtroppo non ero mai abbastanza per te. La grande città mi opprimeva e mi intristiva; la nebbia soffocava il mio singhiozzo confuso con il fischio di un treno.

Come consolazione ad un amore in carriera e troppo breve per definirsi tale mi restava la voglia di ripartire da Rimini. All’epoca scoprivo l’opera di Pier Vittorio Tondelli e il sesso iniziava a farsi cannibale.   

Non dimenticherò mai il giorno in cui te ne se andato per la quarta volta: ma questa volta non ti ho permesso di strapparmi il cuore e di farne briciole. Allora ero forte! Sapevo il fatto mio: studiavo e i risultati arrivavano in voti e riconoscimenti. Ero libera insieme a quel mio cane giallo dal nome della birra irlandese. Io e lei, due randagie senza catene.

Il nostro inutile incontro poteva anche non avvenire. Non credo che la tua presenza nella mia vita sia stata poi così importante.

Mi hai affiancata un pomeriggio e, con un visino da scugnizzo, hai cercato il mio sguardo. “non parlo con uomini del segno dei pesci e che votano Berlusconi” mi pare di averti detto. Ebbene, poco dopo eravamo in un letto avvinti. Tutto sommato, nonostante le nostre diversità, con te mi sono divertita. Mi hai insegnato cosa significa fare l’amore con tenerezza dopo tanti graffi. Te ne sei andato un mattino d’estate, sbattendo la porta. Il sud ha sempre il sole caldo, ma io preferisco le nebbie della mia terra.  Come consolazione ad un amore che aspirava ad entrare nei salotti buoni dalla porta principale mi restava solo una cavigliera e un nuovo tatuaggio. La mia salvezza? È stata fidarmi completamente delle pagine di Valerio Varesi.  In compagnia del commissario Soneri finalmente ero a casa.  

Non dimenticherò mai il giorno in cui te ne sei andato per la quinta volta: eravamo a Roma. Avevi appena finito uno spettacolo. Ricordo di averti conosciuto casualmente una notte mentre i nostri corpi si sfioravano in un sala piena di fumo e musica. Eravamo di schiena, nessuno dei due vedeva l’altro. Abbiamo lasciato che le prime ad incontrarsi fossero le nostre voci. Di te ho ricordi sbiaditi: passeggiate in una Roma deserta; una notte davanti al golfo di Napoli con Novecento di Baricco e una pastiera, ultimo dono di tua madre. Ti confido una cosa: ho distribuito fette di quella torta di fiele e ricotta a tutti i miei compagni pendolari.   

Quella notte il mio viaggio è stato memorabile: grazie ad una torta e ad una chitarra sbucata improvvisamente ho trasformato un addio in una festa. Come consolazione di un amore inaffidabile mi restavano le ultime battute di un monologo.        

Non dimenticherò mai il giorno in cui te ne sei andato per la sesta volta: eravamo solo due vecchi amici, ritrovati dopo anni. Due vite diverse e lontane, ad un certo punto unite per salvare un amico fragile.

La cosa buffa? Che l’amico fragile era più forte del previsto mentre io, l’amica forte, iniziava a scoprire che non tutti vogliono essere salvati.

Mentre si moltiplicavano le domande sulla qualità del nostro rapporto, io e te ingenuamente trascorrevamo le notti d’autunno a parlare di musica e di cinema. Mi guardavi sorpreso mentre andavo e tornavo da casa tua chiamandoti “amico mio”. Può esistere l’amicizia tra un uomo e una donna? Noi ci abbiamo provato e per un po’ ha pure funzionato.

Come consolazione di un’amicizia che non poteva indossare i panni dell’amore mi resta oggi un concerto e il ricordo di sonni cullati dal rock.   

Non dimenticherò mai il giorno in cui te ne sei andato per la settima volta: dio, quanto ti ho odiato. Neppure una spiegazione, non un perché. Sai cosa ti dico? Che hai fatto bene a sparire dalla mia vita così, improvvisamente, perché in fondo non ho nulla da condividerei. Nessun ricordo. Cosa resta di un’assenza? Alcune poesie ripetute come mantra più volte al giorno: assumere Wislawa Szymborska prima e dopo i pasti e ingoiare il rospo come una pillola indigesta. Fidatevi: prima o poi si guarisce.    

Non dimenticherò mai il giorno in cui te ne sei andato per l’ottava volta: il tuo addio sapeva di tabacco bruciato, di caffè freddo e polvere di un passato da troppo poco tempo diventato memoria.

Ricordi quel pomeriggio in cui mi hai inviato un messaggio disperato? Cosa potevo fare se non smuovere per te le montagne? Un rapporto Karmico non è una passeggiata. È come guadare un fiume in piena, schivando gorghi e mulinelli. Ci si aggrappa a tutto: rami e arbusti pur di arrivare all’altra sponda. E a quella riva siamo arrivati insieme, sputando fango e acqua.

In questo caso non c’è consolazione ma solo gratitudine per quello che ho imparato.

Non dimenticherò mai il giorno in cui te ne sei andato per la nona volta: sei un uomo buono. Sei un gigante in un paese di nani, dove, ogni volta che torno, un obelisco  mi avverte che ho un passato.

Il tuo essere sincero e leale mi ha salvata: ricordi un pomeriggio cupo? Era uno di quei giorni in cui volevo non essere nata e tu mi hai riportata alla vita.. con tono perentorio hai urlato “Ilaria, resta nella luce! Non sei costretta a scegliere il buio”.

Vedi, tu continui a definirti inadatto al logos ma le tue parole, come sassolini sul sentiero, mi hanno riportata a casa.

Non dimenticherò il giorno in cui te ne andrai. Sarà la decima volta e, spero in cuor mio, neppure l’ultima.

Attendo con curiosità anche questo epilogo.  Non ricordo quando abbiamo iniziato l’ultimo atto: forse subito dopo un breve intervallo. La finzione scenica ha voluto che ci perdessimo il prologo per strada.                    



                     







   

martedì 2 ottobre 2018

La scopata senza dentiera






Oggi 2 ottobre 2018 è la Festa dei nonni, dedicata a chi quotidianamente assiste noi genitori moderni nella cura dei figli. Come potremmo, infatti, fare senza l’aiuto di questi angeli custodi?  

Se le nonne nel mio mondo immaginario sono tutte timide e indifese come la nonnina di Cappuccetto Rosso, provate ad immaginare la mia sorpresa quando ho scoperto che la dolce vecchietta ringraziava a suo modo il cacciatore…cioè quando ho scoperto che esiste una categoria del Porno dedicata a loro.  

Urca! Ho dovuto rivedere le mie convinzioni sulla terza età, rivalutando anche l’importanza sociale del Viagra.

Ovviamente è grazie alla pillola blu per cui qualcuna può preferire alle scarpe Valleverde un bel paio di Manolo Blahnik in vista di una cenetta romantica. Soprattutto se il dessert è un affascinante vecchietto in gamba come Mike Jagger (diventato padre per l’ottava volta a settantre anni). Evidentemente cara Ilaria, credo sia giunta ora di accettare tranquillamente che la vicina di casa ultra sessantenne possa avere una vita sessuale più esuberante e intensa della tua.,,

L’industria del Porno, lungimirante nel cogliere le trasformazioni sociali, ha compreso da tempo i bisogni dei pensionati. Per quale motivo una donna non deve provare emozioni e desideri anche dopo i 50?  Non è un caso, infatti, che la pubblicità sia sempre più attenta a corrispondere alle esigenze di questa fascia di utenza, presentando testimonial non di primo pelo.

In fondo chi dice che tutti i nonni amino giocare a bocce e tutte le nonne siano portate per il Punto Croce?

Così, incuriosita dalla lettura di Pornage di Barbara Costa, edizione Il Saggiatore, ho fatto qualche ricerca e ho scoperto la categoria “casa geriatrica” o Silver porn, dove organi genitali di ultrasessantenni  sono attivi ed esuberanti come quelli di un giovane Rocco Siffredi.

E, mentre osservo queste signore ormai in menopausa, mantenere spaccate aeree, mi  chiedo se non sia il caso di riprendere Yoga… Ho la metà degli anni, ma vi assicuro che non ho la loro agilità.

A dirla tutta, la scopata senza dentiera ha un effetto tra il comico e il grottesco ma, vi assicuro, diventa rassicurante. Facile giocarsela, infatti, quando si è giovani, belle e depilate! Qui vanno in scena femmine vere, che non hanno paura di mostrare chili di troppo, pancette o i peli pubici grigi.

In un mondo dove le donne si vergognano della propria vagina (tanto da intervenire chirurgicamente per modificarne l’aspetto), credo che le Gilf (Granny I’d Like to Fuck) siano delle benemerite: scardinano il preconcetto per cui solo le taglie 40, le maggiorate o le filiformi possano fare sesso con entusiasmo.

Comunque resta sempre la domanda perché un uomo debba scegliere di guardare un video con una nonna in calore?

Sicuramente Mrs Robbinson (Il Laureato) è una delle donne più affascinanti della storia del cinema, ed è anche vero che una delle fantasie per i giovani è fare sesso con una donna esperta. Ma cosa trova di eccitante un uomo in una donna anziana a gambe spalancate?

È pura trasgressione? Desiderio oscuro di cose proibite? Cosa c’è di tanto strano nel fatto che adulti agè facciano l’amore, abbiano erezioni o orgasmi?   

 Personalmente non sono meravigliata. Anzi se i video hard con anziani possono aiutare a vivere meglio la terza età, siano i benvenuti. In fondo per morire e pagare c’è sempre tempo!   

   #festadeinonni
#PornageBarbaraCosta

#Silverporn
#Illauretao
##pornoterzaetà  


venerdì 28 settembre 2018

Recensione a Il gioco, di Carlo D'Amicis edizioni Mondadori






Protagonisti tre personaggi non più giovano (Leonardo, Giorgio ed Eva) mascherati da Bull, Cuckolder e Sweet , secondo la nomenclatura anglosassone che va tanto di moda oggi grazie ai social e la loro pretesa di “normalizzare” la trasgressione.  Carneade chi era costui? In questo caso si tratta di un triangolo feticista dedito ad un Gioco dalle regole rigide.

Come sostiene Violetta Bellocchio nel suo articolo in Minima Moralia www.minimaetmoralia.it/wp/stregati-il-gioco-di-carlo-damicis/
l’autore ha deciso di produrre una Montagna Incantata a partire da un mondo microscopico, periferico e pornografico: quello affezionato al mondo dei privè. Ma siamo così sicuri che sia poi così periferico? I dati in Italia sembrano dire tutt’altro.    

Il libro è costruito come un’intervista: un autore chiede a tre esponenti della middle class italiana (una coppia formata da un compassato primario di oncologia e sua moglie, impegnata tra sedute di yoga e la palestra; un professore di inglese, con velleità di scrittore, alquanto sex addict) cosa significhi il termine piacere.  E, ovviamente,  il risultato è che dietro ad ogni kink esiste una vita e spesso un’infanzia complessa.

Il libro si divide in tre sezioni: la prima è dedicata al Bull Leonardo, che si dedica al suo ruolo con l’umiltà e la dedizione di un samurai; la seconda a Eva, signora benestante, complice del gioco perverso messo in atto dal marito, affatto submissive; infine Giorgio, unico vero burattinaio di una farsa costruita per nascondere forse la sua attrazione verso gli uomini. Come dice Eva stessa “dietro ad ogni cuck in modo più o meno latente è gay. Il maschio per loro rappresenta un vero e proprio modello”.     

Tutti e tre si dimostrano assolutamente perfetti e maestri nel maneggiare il Gioco. Ne conoscono le regole e ne accettano le conseguenze senza battere ciglio. Ingenui e fiduciosi avviano un locale per scambisti con l’illusione di farne un tempio dell’amore (ben presto si renderanno conto che altro non è che un luogo ove chi entra lo fa per soddisfare i propri bisogni).

Il Master, che traccia il perimetro del triangolo e gestisce l’IBAN per tutti, è colui che sembra apparentemente subire. Fin dalle prime battute, infatti, Giorgio da attore consumato gioca provocatoriamente con l’intervistatore sollecitandolo a cogliere quanta verità ci sia nelle sue parole.  È un uomo presuntuoso, orgoglioso del suo rango e, nonostante accetti passivamente le corna, alla fine si rivela come  Maestro di cerimonia, un abile manipolatore.

Infine Eva, la Sweet. La figura più bella, affascinante e complessa. Se per i due uomini, in fondo ci aspettiamo esattamente le loro parole, il loro modo di porsi durante l’intervista, lei ci spiazza continuamente con il suo fascino. A differenza dei due uomini si presenta come luce, fiera e sincera nelle sue affermazioni. Con sicurezza afferma di odiare la falsità e l’ipocrisia. Non si nasconde dietro al suo ruolo e una volta smessi i panni di Sweet torna ad essere se stessa “sono una donna onesta.. Ogni volta che ho tradito mio marito, è stato lui a chiedermi di farlo. Di sicuro non rubo i mariti alle altre donne, perché alle quattro chiudo l’Infinito e li rimando a casa”.  Insomma quasi una perfetta ragioniera del sesso.

Ha molto chiaro cosa significa per lei il matrimonio: un contratto in cui i sentimenti o l’attrazione non sono certamente prioritari. Lei, infatti, è una regina, passata al rango di Fist lady (come ama definirla il marito) dopo aver superato gli anta. Gode del privilegio della libertà di “improvvisare” ma è sempre il caro coniuge a gestire la sua agenda di appuntamenti sessuali in modo  maniacale.

Se il marito oncologo vanta una discendenza da famiglia di medici illustri (il padre un ginecologo di dubbia moralità) Eva, invece, ha conosciuto la povertà. Per lei il sesso è una necessità, un paradosso: “la cosa più intima che abbiamo e nello stesso tempo un despota che pretende di venire a governare a casa nostra”.

Fin da bambina gioca con la sua avvenenza, utilizzando il suo corpo perfetto per cercare di rendersi indipendente velocemente e uscire da una situazione familiare fatta di desolazione e sconfitte.

Per questo a tratti sembra quasi anaffettiva e refrattaria al sentimento.

Il libro ha una struttura robusta, uno stile impeccabile che porta in scena tre narratori completamente inattendibili inseriti all’interno di un racconto cornice (l’intervista). Il sesso trasgressivo è sempre presente ma noi lettori non ce ne accorgiamo. Diventa un esercizio di stile fin troppo noioso, un solfeggio scandito da tempi e leggi meticolose che lo rendono una marcetta militare più che una esaltante aria wagneriana.

   

    


lunedì 24 settembre 2018

Fame d’amore




-       Ciao

-       Ciao a te, come va? Cosa fai di bello?



Mi chiamo Grazia, anche se mi chiedo spesso chi io sia realmente da quando ho iniziato a chattare con sconosciuti. Mi piace. Al chiuso della mia stanza posso allora assumere tante facce diverse, e soprattutto indossare molti corpi differenti; posso immaginarmi bionda, con gli occhia azzurri e pelle morbida di una giovinetta appena uscita dalla pubertà, oppure trasformarmi in una signora arrapante dell’alta società. Come la signora Robinson in pelliccia leopardata del Laureato. Gioco insomma a mascherarmi, come una bambina che tira fuori dal cassettone gli abiti della principessa.

Chi sono io?

Me lo domando ogni volta che inizio a sollecitare le voglie di questi uomini disperati e soli, che sono in fondo tutti uguali, con vite banali e mogli assenti, che mi raccontano ormai prive di slancio e sempre troppo stanche per fare sesso. Troppo madri per concedersi le gioie perdute di un orgasmo come dio comanda.

Chi sono io?

La fatina dietro allo schermo, la puttana assente che lascia graffi di parole su corpi virtuali. E se mi chiedono una foto, io ovviamente non la spedisco: una regina non mostra mai il suo volto al popolo, ma resta immersa nel mistero per apprestarsi a divenire spettro. Come potrei d’altronde mostrarmi? Le mie parole camminano su sentieri distanti da quelli percorsi da mio corpo, che però imprigiona la mia arte e la divora pezzo a pezzo, ogni santo giorno. Del mio corpo non mostro neppure un pezzetto, perché altro non è che carne flaccida e sudata. Non sono io, è altro da me. E poi cosa penserebbero i miei amici di chat se scambiassero la dea che ben conoscono con quella donna grassa, un po’ goffa, che sta tutt’intorno a me? 

Le mie amiche mi ripetono che sono una sciocca, che tutte possiamo trovare uomini capaci di amare. Ma per loro è facile parlare, per loro che entrano in un negozio senza dovere chiedere permesso, che trovano sempre la taglia giusta e non sentono su di loro gli occhi beffardi dei presenti. Per loro, che al massimo cambiano il modello di abito; che sono giudicate con alterigia dalla commessa anoressica in tubino nero. La stessa che potrebbe correre in bagno alla mia uscita, per vomitare via anche solo l’idea di avere tutti i miei chili addosso. No, non dartene pena bimba: la mia grassezza non si passa col contatto, come una malattia infantile; e poi la mia trippa la vomito già io da sola, quotidianamente e con grande impegno.  

A volte capita, specie quando litigo con mia madre o prendo un rimprovero dal capo in ufficio, di sentire il desiderio bruciante di ingoiare tutto. Così mangio e svuoto il frigorifero, mi ingozzo quindi di dolci, e di biscotti, di latte e di tutto quello che incontro in dispensa. Succhierei anche i surgelati se fosse necessario, senza neppure chiedermi cosa contiene quel ghiaccio appiccicoso. Vivo quindi di sensi di colpa, di pena e di espiazione attraverso la ceramica bianca della tazza del cesso. Non è sempre stato così. C’è stato infatti un tempo in cui mi trattenevo e mi imponevo di essere sorda a quel maledetto richiamo; all’epoca non mangiavo e non scopavo, come forma di ascetismo necessario al raggiungimento della santità. Oggi al contrario piango e vomito i miei chili di troppo, cacciandomi un dito in gola e piangendo i miei peccati in una chat di incontri.

-       Sei sola?

-      

-       Ti stai toccando?

-       Come ti permetti? Io non sono il tipo quel tipo di donna

E invece si, dio quanto vorrei che un uomo accarezzasse proprio adesso il mio corpo. Però sono riuscita a zittire quest’urlo disperato, perché mi costava più fatica risvegliarmi da un sogno che salire una fottuta rampa di scale.          

-       Voglio sentire il calore delle tue labbra intorno al mio cazzo.

-       Ecco ci sono. Prosegui… Mi piace l’intraprendenza.

Un altro sfacciato che mi costringe a piegarmi, trattandomi come la puttana che ha immaginato d’incontrare sulla statale. Mi infastidisce, ma non posso negare al mio corpo questa piccola razione di vita; e allora sto al gioco, come una strega che al palo grida e strepita, lanciando maledizioni e saettando con gli occhi neri, nell’attesa dell’amato fuoco che tra poco arderà dentro di lei. E ripenso alla sera di qualche giorno fa, quando sono entrata nel cinema buio della periferia della mia città, cercando la sagoma seduta a cui avevo dato appuntamento; fino a trovarlo, in ultima fila verso l’esterno. Lo raggiungo e mi siedo accanto, tenendo il lungo cappotto nero che impone dense gocce di sudore alla mia schiena. Non gli permetterò di scorgere il mio sguardo, perché sono la dea senza volto. Sono la Grande Madre Neolitica dalle grandi mammelle riverse sul ventre, e ciò che voglio io lo prendo. Mentre le immagini di un film qualunque scorrono sul grande schermo, do inizio al gioco. L’adrenalina mi rende disinibita, ora comando io. Perché se nego il piacere al mio corpo, certo non voglio sottrarlo al mio spirito. Io ingoio tutto: cibo e emozioni, ingoio il cuore che pulsa rapido, ingoio l’aria calda del cinema, l’odore delle persone e la puzza dei pop corn appena sfornati. Mi sussurra timidamente un accenno di saluto e divarica leggermente le gambe. Ha esaudito la mia richiesta di farsi trovare già con la cerniera abbassata, così posso vedere come la punta del suo membro sia già in turgida attesa. Avvolgo quindi il suo cazzo con le mie labbra, e mi dico tutta orgogliosa: che il film abbia inizio, ciak… si gira!

Ingoio, mi riempio la bocca di vita e di amore.   



ps: ringrazio un caro amico, che ovviamente preferisce restare anonimo, per avermi fatto dono di una storia così intensa e straordinaria. Mi auguro che le donne riescano a fare pace con il loro corpo e imparino ad amare se stesse prima di qualsiasi uomo.   
 #bulimia
#fameamore
#bulimianoressia