Consigli per una vita di coppia felice e per una singlitudine serena, senza troppi sensi di colpa.

venerdì 28 settembre 2018

Recensione a Il gioco, di Carlo D'Amicis edizioni Mondadori






Protagonisti tre personaggi non più giovano (Leonardo, Giorgio ed Eva) mascherati da Bull, Cuckolder e Sweet , secondo la nomenclatura anglosassone che va tanto di moda oggi grazie ai social e la loro pretesa di “normalizzare” la trasgressione.  Carneade chi era costui? In questo caso si tratta di un triangolo feticista dedito ad un Gioco dalle regole rigide.

Come sostiene Violetta Bellocchio nel suo articolo in Minima Moralia www.minimaetmoralia.it/wp/stregati-il-gioco-di-carlo-damicis/
l’autore ha deciso di produrre una Montagna Incantata a partire da un mondo microscopico, periferico e pornografico: quello affezionato al mondo dei privè. Ma siamo così sicuri che sia poi così periferico? I dati in Italia sembrano dire tutt’altro.    

Il libro è costruito come un’intervista: un autore chiede a tre esponenti della middle class italiana (una coppia formata da un compassato primario di oncologia e sua moglie, impegnata tra sedute di yoga e la palestra; un professore di inglese, con velleità di scrittore, alquanto sex addict) cosa significhi il termine piacere.  E, ovviamente,  il risultato è che dietro ad ogni kink esiste una vita e spesso un’infanzia complessa.

Il libro si divide in tre sezioni: la prima è dedicata al Bull Leonardo, che si dedica al suo ruolo con l’umiltà e la dedizione di un samurai; la seconda a Eva, signora benestante, complice del gioco perverso messo in atto dal marito, affatto submissive; infine Giorgio, unico vero burattinaio di una farsa costruita per nascondere forse la sua attrazione verso gli uomini. Come dice Eva stessa “dietro ad ogni cuck in modo più o meno latente è gay. Il maschio per loro rappresenta un vero e proprio modello”.     

Tutti e tre si dimostrano assolutamente perfetti e maestri nel maneggiare il Gioco. Ne conoscono le regole e ne accettano le conseguenze senza battere ciglio. Ingenui e fiduciosi avviano un locale per scambisti con l’illusione di farne un tempio dell’amore (ben presto si renderanno conto che altro non è che un luogo ove chi entra lo fa per soddisfare i propri bisogni).

Il Master, che traccia il perimetro del triangolo e gestisce l’IBAN per tutti, è colui che sembra apparentemente subire. Fin dalle prime battute, infatti, Giorgio da attore consumato gioca provocatoriamente con l’intervistatore sollecitandolo a cogliere quanta verità ci sia nelle sue parole.  È un uomo presuntuoso, orgoglioso del suo rango e, nonostante accetti passivamente le corna, alla fine si rivela come  Maestro di cerimonia, un abile manipolatore.

Infine Eva, la Sweet. La figura più bella, affascinante e complessa. Se per i due uomini, in fondo ci aspettiamo esattamente le loro parole, il loro modo di porsi durante l’intervista, lei ci spiazza continuamente con il suo fascino. A differenza dei due uomini si presenta come luce, fiera e sincera nelle sue affermazioni. Con sicurezza afferma di odiare la falsità e l’ipocrisia. Non si nasconde dietro al suo ruolo e una volta smessi i panni di Sweet torna ad essere se stessa “sono una donna onesta.. Ogni volta che ho tradito mio marito, è stato lui a chiedermi di farlo. Di sicuro non rubo i mariti alle altre donne, perché alle quattro chiudo l’Infinito e li rimando a casa”.  Insomma quasi una perfetta ragioniera del sesso.

Ha molto chiaro cosa significa per lei il matrimonio: un contratto in cui i sentimenti o l’attrazione non sono certamente prioritari. Lei, infatti, è una regina, passata al rango di Fist lady (come ama definirla il marito) dopo aver superato gli anta. Gode del privilegio della libertà di “improvvisare” ma è sempre il caro coniuge a gestire la sua agenda di appuntamenti sessuali in modo  maniacale.

Se il marito oncologo vanta una discendenza da famiglia di medici illustri (il padre un ginecologo di dubbia moralità) Eva, invece, ha conosciuto la povertà. Per lei il sesso è una necessità, un paradosso: “la cosa più intima che abbiamo e nello stesso tempo un despota che pretende di venire a governare a casa nostra”.

Fin da bambina gioca con la sua avvenenza, utilizzando il suo corpo perfetto per cercare di rendersi indipendente velocemente e uscire da una situazione familiare fatta di desolazione e sconfitte.

Per questo a tratti sembra quasi anaffettiva e refrattaria al sentimento.

Il libro ha una struttura robusta, uno stile impeccabile che porta in scena tre narratori completamente inattendibili inseriti all’interno di un racconto cornice (l’intervista). Il sesso trasgressivo è sempre presente ma noi lettori non ce ne accorgiamo. Diventa un esercizio di stile fin troppo noioso, un solfeggio scandito da tempi e leggi meticolose che lo rendono una marcetta militare più che una esaltante aria wagneriana.

   

    


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