Consigli per una vita di coppia felice e per una singlitudine serena, senza troppi sensi di colpa.

lunedì 24 settembre 2018

Fame d’amore




-       Ciao

-       Ciao a te, come va? Cosa fai di bello?



Mi chiamo Grazia, anche se mi chiedo spesso chi io sia realmente da quando ho iniziato a chattare con sconosciuti. Mi piace. Al chiuso della mia stanza posso allora assumere tante facce diverse, e soprattutto indossare molti corpi differenti; posso immaginarmi bionda, con gli occhia azzurri e pelle morbida di una giovinetta appena uscita dalla pubertà, oppure trasformarmi in una signora arrapante dell’alta società. Come la signora Robinson in pelliccia leopardata del Laureato. Gioco insomma a mascherarmi, come una bambina che tira fuori dal cassettone gli abiti della principessa.

Chi sono io?

Me lo domando ogni volta che inizio a sollecitare le voglie di questi uomini disperati e soli, che sono in fondo tutti uguali, con vite banali e mogli assenti, che mi raccontano ormai prive di slancio e sempre troppo stanche per fare sesso. Troppo madri per concedersi le gioie perdute di un orgasmo come dio comanda.

Chi sono io?

La fatina dietro allo schermo, la puttana assente che lascia graffi di parole su corpi virtuali. E se mi chiedono una foto, io ovviamente non la spedisco: una regina non mostra mai il suo volto al popolo, ma resta immersa nel mistero per apprestarsi a divenire spettro. Come potrei d’altronde mostrarmi? Le mie parole camminano su sentieri distanti da quelli percorsi da mio corpo, che però imprigiona la mia arte e la divora pezzo a pezzo, ogni santo giorno. Del mio corpo non mostro neppure un pezzetto, perché altro non è che carne flaccida e sudata. Non sono io, è altro da me. E poi cosa penserebbero i miei amici di chat se scambiassero la dea che ben conoscono con quella donna grassa, un po’ goffa, che sta tutt’intorno a me? 

Le mie amiche mi ripetono che sono una sciocca, che tutte possiamo trovare uomini capaci di amare. Ma per loro è facile parlare, per loro che entrano in un negozio senza dovere chiedere permesso, che trovano sempre la taglia giusta e non sentono su di loro gli occhi beffardi dei presenti. Per loro, che al massimo cambiano il modello di abito; che sono giudicate con alterigia dalla commessa anoressica in tubino nero. La stessa che potrebbe correre in bagno alla mia uscita, per vomitare via anche solo l’idea di avere tutti i miei chili addosso. No, non dartene pena bimba: la mia grassezza non si passa col contatto, come una malattia infantile; e poi la mia trippa la vomito già io da sola, quotidianamente e con grande impegno.  

A volte capita, specie quando litigo con mia madre o prendo un rimprovero dal capo in ufficio, di sentire il desiderio bruciante di ingoiare tutto. Così mangio e svuoto il frigorifero, mi ingozzo quindi di dolci, e di biscotti, di latte e di tutto quello che incontro in dispensa. Succhierei anche i surgelati se fosse necessario, senza neppure chiedermi cosa contiene quel ghiaccio appiccicoso. Vivo quindi di sensi di colpa, di pena e di espiazione attraverso la ceramica bianca della tazza del cesso. Non è sempre stato così. C’è stato infatti un tempo in cui mi trattenevo e mi imponevo di essere sorda a quel maledetto richiamo; all’epoca non mangiavo e non scopavo, come forma di ascetismo necessario al raggiungimento della santità. Oggi al contrario piango e vomito i miei chili di troppo, cacciandomi un dito in gola e piangendo i miei peccati in una chat di incontri.

-       Sei sola?

-      

-       Ti stai toccando?

-       Come ti permetti? Io non sono il tipo quel tipo di donna

E invece si, dio quanto vorrei che un uomo accarezzasse proprio adesso il mio corpo. Però sono riuscita a zittire quest’urlo disperato, perché mi costava più fatica risvegliarmi da un sogno che salire una fottuta rampa di scale.          

-       Voglio sentire il calore delle tue labbra intorno al mio cazzo.

-       Ecco ci sono. Prosegui… Mi piace l’intraprendenza.

Un altro sfacciato che mi costringe a piegarmi, trattandomi come la puttana che ha immaginato d’incontrare sulla statale. Mi infastidisce, ma non posso negare al mio corpo questa piccola razione di vita; e allora sto al gioco, come una strega che al palo grida e strepita, lanciando maledizioni e saettando con gli occhi neri, nell’attesa dell’amato fuoco che tra poco arderà dentro di lei. E ripenso alla sera di qualche giorno fa, quando sono entrata nel cinema buio della periferia della mia città, cercando la sagoma seduta a cui avevo dato appuntamento; fino a trovarlo, in ultima fila verso l’esterno. Lo raggiungo e mi siedo accanto, tenendo il lungo cappotto nero che impone dense gocce di sudore alla mia schiena. Non gli permetterò di scorgere il mio sguardo, perché sono la dea senza volto. Sono la Grande Madre Neolitica dalle grandi mammelle riverse sul ventre, e ciò che voglio io lo prendo. Mentre le immagini di un film qualunque scorrono sul grande schermo, do inizio al gioco. L’adrenalina mi rende disinibita, ora comando io. Perché se nego il piacere al mio corpo, certo non voglio sottrarlo al mio spirito. Io ingoio tutto: cibo e emozioni, ingoio il cuore che pulsa rapido, ingoio l’aria calda del cinema, l’odore delle persone e la puzza dei pop corn appena sfornati. Mi sussurra timidamente un accenno di saluto e divarica leggermente le gambe. Ha esaudito la mia richiesta di farsi trovare già con la cerniera abbassata, così posso vedere come la punta del suo membro sia già in turgida attesa. Avvolgo quindi il suo cazzo con le mie labbra, e mi dico tutta orgogliosa: che il film abbia inizio, ciak… si gira!

Ingoio, mi riempio la bocca di vita e di amore.   



ps: ringrazio un caro amico, che ovviamente preferisce restare anonimo, per avermi fatto dono di una storia così intensa e straordinaria. Mi auguro che le donne riescano a fare pace con il loro corpo e imparino ad amare se stesse prima di qualsiasi uomo.   
 #bulimia
#fameamore
#bulimianoressia

  



          

1 commento:

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