- Ciao
- Ciao a te, come va? Cosa fai di bello?
Mi
chiamo Grazia, anche se mi chiedo spesso chi io sia realmente da quando ho
iniziato a chattare con sconosciuti. Mi piace. Al chiuso della mia stanza posso
allora assumere tante facce diverse, e soprattutto indossare molti corpi
differenti; posso immaginarmi bionda, con gli occhia azzurri e pelle morbida di
una giovinetta appena uscita dalla pubertà, oppure trasformarmi in una signora
arrapante dell’alta società. Come la signora Robinson in pelliccia leopardata
del Laureato. Gioco insomma a
mascherarmi, come una bambina che tira fuori dal cassettone gli abiti della principessa.
Chi
sono io?
Me lo domando
ogni volta che inizio a sollecitare le voglie di questi uomini disperati e soli,
che sono in fondo tutti uguali, con vite banali e mogli assenti, che mi
raccontano ormai prive di slancio e sempre troppo stanche per fare sesso.
Troppo madri per concedersi le gioie perdute di un orgasmo come dio comanda.
Chi
sono io?
La fatina
dietro allo schermo, la puttana assente che lascia graffi di parole su corpi
virtuali. E se mi chiedono una foto, io ovviamente non la spedisco: una regina
non mostra mai il suo volto al popolo, ma resta immersa nel mistero per
apprestarsi a divenire spettro. Come potrei d’altronde mostrarmi? Le mie parole
camminano su sentieri distanti da quelli percorsi da mio corpo, che però
imprigiona la mia arte e la divora pezzo a pezzo, ogni santo giorno. Del mio
corpo non mostro neppure un pezzetto, perché altro non è che carne flaccida e
sudata. Non sono io, è altro da me. E poi cosa penserebbero i miei amici di
chat se scambiassero la dea che ben conoscono con quella donna grassa, un po’
goffa, che sta tutt’intorno a me?
Le mie
amiche mi ripetono che sono una sciocca, che tutte possiamo trovare uomini capaci
di amare. Ma per loro è facile parlare, per loro che entrano in un negozio
senza dovere chiedere permesso, che trovano sempre la taglia giusta e non sentono
su di loro gli occhi beffardi dei presenti. Per loro, che al massimo cambiano
il modello di abito; che sono giudicate con alterigia dalla commessa anoressica
in tubino nero. La stessa che potrebbe correre in bagno alla mia uscita, per vomitare
via anche solo l’idea di avere tutti i miei chili addosso. No, non dartene pena
bimba: la mia grassezza non si passa col contatto, come una malattia infantile;
e poi la mia trippa la vomito già io da sola, quotidianamente e con grande impegno.
A
volte capita, specie quando litigo con mia madre o prendo un rimprovero dal
capo in ufficio, di sentire il desiderio bruciante di ingoiare tutto. Così mangio
e svuoto il frigorifero, mi ingozzo quindi di dolci, e di biscotti, di latte e
di tutto quello che incontro in dispensa. Succhierei anche i surgelati se fosse
necessario, senza neppure chiedermi cosa contiene quel ghiaccio appiccicoso. Vivo
quindi di sensi di colpa, di pena e di espiazione attraverso la ceramica bianca
della tazza del cesso. Non è sempre stato così. C’è stato infatti un tempo in
cui mi trattenevo e mi imponevo di essere sorda a quel maledetto richiamo; all’epoca
non mangiavo e non scopavo, come forma di ascetismo necessario al raggiungimento
della santità. Oggi al contrario piango e vomito i miei chili di troppo,
cacciandomi un dito in gola e piangendo i miei peccati in una chat di incontri.
- Sei sola?
- Sì
- Ti stai toccando?
- Come ti permetti? Io non sono il tipo quel
tipo di donna
E
invece si, dio quanto vorrei che un uomo accarezzasse proprio adesso il mio
corpo. Però sono riuscita a zittire quest’urlo disperato, perché mi costava più
fatica risvegliarmi da un sogno che salire una fottuta rampa di scale.
- Voglio sentire il calore delle tue labbra
intorno al mio cazzo.
- Ecco ci sono. Prosegui… Mi piace
l’intraprendenza.
Un
altro sfacciato che mi costringe a piegarmi, trattandomi come la puttana che ha
immaginato d’incontrare sulla statale. Mi infastidisce, ma non posso negare al
mio corpo questa piccola razione di vita; e allora sto al gioco, come una
strega che al palo grida e strepita, lanciando maledizioni e saettando con gli
occhi neri, nell’attesa dell’amato fuoco che tra poco arderà dentro di lei. E
ripenso alla sera di qualche giorno fa, quando sono entrata nel cinema buio della
periferia della mia città, cercando la sagoma seduta a cui avevo dato
appuntamento; fino a trovarlo, in ultima fila verso l’esterno. Lo raggiungo e
mi siedo accanto, tenendo il lungo cappotto nero che impone dense gocce di
sudore alla mia schiena. Non gli permetterò di scorgere il mio sguardo, perché
sono la dea senza volto. Sono la Grande Madre Neolitica dalle grandi mammelle
riverse sul ventre, e ciò che voglio io lo prendo. Mentre le immagini di un
film qualunque scorrono sul grande schermo, do inizio al gioco. L’adrenalina mi
rende disinibita, ora comando io. Perché se nego il piacere al mio corpo, certo
non voglio sottrarlo al mio spirito. Io ingoio tutto: cibo e emozioni, ingoio
il cuore che pulsa rapido, ingoio l’aria calda del cinema, l’odore delle
persone e la puzza dei pop corn appena sfornati. Mi sussurra timidamente un
accenno di saluto e divarica leggermente le gambe. Ha esaudito la mia richiesta
di farsi trovare già con la cerniera abbassata, così posso vedere come la punta
del suo membro sia già in turgida attesa. Avvolgo quindi il
suo cazzo con le mie labbra, e mi dico tutta orgogliosa: che il film abbia inizio, ciak… si gira!
Ingoio,
mi riempio la bocca di vita e di amore.
ps: ringrazio un caro amico, che ovviamente preferisce restare anonimo, per avermi fatto dono di una storia così intensa e straordinaria. Mi auguro che le donne riescano a fare pace con il loro corpo e imparino ad amare se stesse prima di qualsiasi uomo.
#bulimia
#fameamore
#bulimianoressia
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