Consigli per una vita di coppia felice e per una singlitudine serena, senza troppi sensi di colpa.

martedì 26 dicembre 2017

Racconto di Natale

La mia scusa è stata il salone dell’editoria a Roma, un appuntamento che tengo segnato in rosso nell’agenda; ma l’obiettivo vero, quello che si è soliti nascondere in rubrica usando un nome di fantasia, era in realtà un piccolo negozietto del centro, a pochi passi dalla pura bellezza del marmo fattosi carne. Qui, tra le case strette di un vicolo pieno di edera e rampicanti, si cela infatti l’antro di Circe (un posto meraviglioso dove si approda inconsapevoli e ci si trasforma). Me ne avevano parlato alcune amiche, con un sussurro all’orecchio che lascia intendere assai più di quello che le parole possono dire: “mi raccomando, fai un salto dalle parti di piazza Navona e fatti un giro da Zou Zou”. 
Ed io, da ragazzaccia curiosa quale sono, proprio così ho fatto. 
Dal momento che quel segno rosso era da rispettare, ho comunque trascorso un bel pomeriggio all'EUR (a discutere di lettere, passeggiando per gli stand e salutando amici). Fino al calare della sera, quando, come Cenerentola in fuga dal ballo, ho abbandonato tutti per chiamare un taxi e rivolgere la seguente al conducente preghiera: "via della Dogana vecchia, per favore”.
Avete presente i racconti delle favole? Quelli che si aprono descrivendo una porticina scarsamente illuminata, immersa nel buio della notte? 
Ecco, così mi è apparsa l’entrata di Zou Zou, la prima bottega italiana dedicata all’erotismo femminile (https://www.zouzoustore.com/shop/it/)
E come Alice, stupita di fronte alla tana del coniglio, ho esitato un attimo; ma si è trattato di un semplice istante, perché un secondo dopo ero già stata rapita dal mondo fantastico che avevo appena scovato. 
Carta da parati arabescata rosso carminio e quadri alle pareti con peccaminosa lingerie nera, lampade da tavolo dal paralume in bianco merletto ed ampi lampadari di cristallo: questo è il colpo d’occhio. E subito vieni avvolta dal profumo, intenso e speziato, delle candele accese. Una voce suadente ti attira infine dentro, e non fai in tempo ad opporre la barbosa razionalità che è propria del Super Io, che Tiziana - la proprietaria - ti ha già squadernato davanti agli occhi un catalogo di delizie: culottes in seta e in tulle, corpetti trattenuti da lacci e nastri, biancheria deliziosa che pare implorare la punizione di una mano decisa, corsetti ed imbragature, cavigliere e collari in pelle, corde colorate. Puoi anche praticare una sessualità ordinaria e discreta, ma non puoi non cadere vittima del fascino di questi oggetti; talmente belli e provocanti che non si può non immaginare il modo e il momento in cui potresti farne sfoggio. Naturalmente non mi sono tirata indietro, acquistando un paio di polsini e un collare in materiale ecocompatibile (perché l’impegno sociale pretende la sua parte, ovvio). Andando col pensiero ai sensuali reggicalze in mostra, le mie dita digitano in questo momento la storia natalizia che ho deciso di regalarvi oggi. Consideratela un mio speciale regalo di Santo Stefano, perché non è necessario affrontare il freddo della strada per smaltire le calorie prese nel giorno del Santo Natale: esistono infatti altri modi, molto più creativi e divertenti; fidatevi della vostra amica spocchiosa…

La coppia entrò rapida nel negozio.
Lui era elegante e severo, forse sulla quarantina (ma poteva pure aver brillantemente superato la cinquantina). Che fosse un politico? In fondo i luoghi del potere erano lì, a pochi passi da quel discreto locale. No, l’aura di compostezza che da lui promanava lo associava piuttosto alla carriera del magistrato. Abituato a sentenziare, a vedere pendere dalla sua bocca il destino di uomini e donne. La sensazione di disagio in chi lo guardava si acuiva quando s'incrociavano i suoi occhi, che erano gelidi e sfuggenti come il soffio della tramontana.
La compagna, più giovane, si guardava attorno un poco smarrita; teneva per lo più lo sguardo basso e non s’intrometteva nella liturgia dei saluti (evidentemente conosceva, e rispettava, il posto ed il ruolo che le era stato assegnato). La sua figura era snella, appena imbrigliata dal lungo cappotto di cammello color nocciola; nessun suo movimento era sgraziato o fuori posto, e nulla pareva sfuggire al controllo di una compostezza algida e totale (che pareva essere stata disegnata a tavolino per lei da mano attenta e che non ammetteva repliche). Tutto di lei raccontava del suo essere una schiava, proprietà di un uomo che non nasconde il piacere connesso col possesso. Forse che quella visita da Zou Zou rappresentava un premio? Un regalo graziosamente concesso da padrone ad una serva che aveva svolto con cura e attenzione un qualche servizio?
L’uomo domandò che gli fossero mostrati i collari, quelli in pelle nera alti qualche centimetro, da abbinare ad un paio di cavigliere unite da una catenella argentea; poi, dopo aver per un po’ valutato l’offerta, si rivolse alla ragazza e con voce ferma e le ordinò di scoprirsi il petto.
Senza alcuna esitazione la giovane eseguì, sfilandosi la maglia di cachemire nero a collo alto che portava sul seno nudo. 
E rimase così, in attesa di nuovi ordini, per lunghi ed interminabili minuti. 
Nel frattempo l’uomo discuteva di frustini, prendendone alcuni nelle mani; li lisciava con le dita e li provava colpendo l’aria con fare soddisfatto. 
Ad ogni schiocco lei sussultava lievemente, col respiro che si faceva sempre più corto; dal sussultare del seno si poteva capire l’impazienza malamente trattenuta che la pervadeva. 
Le persone nel frattempo entravano ed uscivano, domandavano qualche cosa e guardavano un po’ perplessi lo strano quadro. 
L’uomo invece sorrideva, godendo dell’imbarazzo e dell’impazienza sempre più manifesta della sua donna.
Nelle mani teneva ora un frustino di pelle nera, con manico rosso tempestato di Swaroski. 
Lo provò sul palmo della mano, poi si girò e, con un colpo secco, duro, violento, lo fece ricadere sulla candida pelle del seno di lei. I suoi occhi si dilatarono, incerti tra le lacrime e la luce selvaggia del piacere; emise solamente un gemito, niente di più. A quel punto s’inginocchiò e alzò il delicato mento in direzione del suo padrone, come per supplicare d’essere ancora una volta punita. Lui rispose alla richiesta supplice, e colpì ancora; con colpi sordi e feroci, che rigavano di rosse striature la sua pelle candida. 
Chissà quante altre volte si era sottoposta a quella tortura. 
Se fosse per ottenere l’amore di quell’uomo crudele o per soddisfare il desiderio che ardeva dentro di lei non si sarebbe potuto dire… 
Ma forse quella distinzione neppure in realtà esisteva.

#zouzou #roma #viadelladoganavecchia #erotismofemminile #frustino #spocchiosamente #natale #raccontodinatale #bondage   

lunedì 25 dicembre 2017

Marika per sempre

Ciò che in assoluto preferisco, forse ancor più di un atteso appuntamento galante, è una bella serata passata a chiacchierare con le amiche; e se quest’ultime indossano un 44 di piede, allora è davvero alto il rischio di rientrare a casa totalmente ebbra di felicità. Devo quindi ringraziare la benevola “soffiata” che mi ha portato ad Argenta, alla scoperta del sexy shop Paprika.


Fermi tutti; non iniziate a darvi di gomito, scambiandovi battute da caserma!

Quel che sto per raccontare è infatti qualcosa di magico e unico, perché proprio al Paprika di tanto in tanto avviene una specie di miracolo; e persone nate uomini, guidate dall’abile regia di Marta, la proprietaria del locale, possono liberalmente mutare nell’essere magnifico che hanno sempre desiderato. Assaporano quindi il piacere di sedersi allo specchio, sperimentando parrucche e giocando coi lacci di preziosi corsetti. Non c’è in fondo bisogno di granché: appena una manciata di ore, quella necessaria a gustare una cena rallegrata da facezie e allegri racconti, senza temere lo scoccare della mezzanotte ed il conseguente trasformarsi della carrozza in zucca (perché l’unico rischio che si corre è il perdere la propria identità… o ritrovarla, a seconda dei punti di vista).
Nella mia puntata in terra ferrarese, proprio al confine tra acqua e nebbia, ho quindi conosciuto nuove amiche; tutte sincere, con la voglia matta di raccontarsi. Certo le ragazze erano un po’ confuse, perché non capita spesso di ritrovarsi a confessare e a confessarsi il motivo per cui si ama tanto l’eyeliner (specie se all’anagrafe ti chiami Giuseppe). Nessuna di loro si è però poi risparmiata. Da parte mia ammetto di avere fatto all’inizio un po’ di fatica a concentrarmi (penso perché rimasta per un po’ intontita dall’eleganza di queste signore, dal loro look inappuntabile e dalla scarpa perfettamente abbinata al cappottino rosso). Poi ho finalmente cominciato a comprendere…
E quindi, mea culpa, mea massima culpa…
Ho infatti capito che non c’è nulla di più sbagliato che far coincidere il travestitismo con l’immortale immagine offerta da Michel Serrault nel film Il vizietto, dal momento che l’indossare gli abiti normalmente riservati all’altro genere non è un’azione che si compie coll’intensione di stupire. Al contrario, ciò avviene perché si desidera vivere uno spicchio di quotidianità; insomma, non c’è alcuna voglia di stupire, o di épater les bourgeois, quanto l’emergere di un formidabile desiderio di normalità (e quella offerta da Paprika è un pezzetto di quotidianità, importante tanto quanto quella che le attende quando, una volta usciti dal locale, riprenderanno l’abituale grisaglia).
Ergo, è normale indossare il boa di struzzo così come lo è stringere bene il nodo della cravatta regimental.
Lo è ad esempio per Marika Stella, che mi racconta di essere “nata” proprio nel 2009; quando si è spogliata degli abiti da manager, e con passo da mannequin ha deciso di sfidare i suoi propri pregiudizi. Per lei essere en travesti rappresenta una straordinaria emozione, che s’assapora fin dal passeggio: una gioia difficile da descrivere, che riguarda la libertà d’esprimere serenamente la parte di te che il mondo obbliga a tenere nascosta. Allora ci si rende finalmente conto di come molti problemi non siano altro che riflessi di nubi, perché la gente in realtà non ha proprio il tempo di mettersi a guardare la tua figura snella che tacchetta felice le strade del centro cittadino.
Mi ritrovo a pensare alle scelte che potrebbero compiere Marika, Mascia, Stella e Mia se fossero ora delle ventenni; così come mi domando quale cammino, se solo avessero avuto uno strumento paragonabile all’odierna rete, avrebbero potuto intraprendere vent’anni fa. Forse qualcuna di loro avrebbe dimostrato maggiore coraggio, e sarebbe uscita allo scoperto; forse qualcun’altra avrebbe cercato di conciliare le due differenti identità (cos’è in fondo il vivere non è altro che la danza di Shiva, alla ricerca dell’armonia nel cosmo?).
Mi ritrovo anche a pensare alle compagne delle mie ragazze en travesti, alla fatica del vivere nella condizione di incertezza che questa duplicità impone anche agli altri; e mi chiedo pure se ne siano a conoscenza, se riconoscano queste complicate esigenze o quali patti col diavolo abbiano fatto per accettarlo. Di sicuro molte di loro lo ignorano (me lo ha confermato la “mia” ragazza Marika Stella); tante invece preferiscono non fare domande (e se trovano lo scontrino del negozio di lingerie, il più delle volte sperano che si tratti del regalo fatto all’amante).
Ed io, al loro posto cosa farei?
Preferirei fingere di non sapere o presterei lo smalto rosso carminio a mio marito?
Poi comprendo che si tratta di una domanda per me complessa, come dimostra l’attrazione che su di me esercita una di queste ragazze en travesti. Bellissima, con occhi luminosissimi e lunghe ciglia, ho trovato del tutto naturale corteggiarla, sussurrandole pure all’orecchio che mi piaceva moltissimo: come donna, e come uomo. Mi conosco, e so bene cosa significa il mio accavallare le gambe, lo sgranare gli occhioni ed il giocare con una ciocca di capelli… In fondo, la sessualità è sempre una terra incognita, con mappe sempre da ridisegnare e confini continuamente da tracciare.
A cuccia! Tranquilli, non è accaduto nulla.
Sarebbe stato un tantino confuso per una mente semplice come la mia: con chi avrei fatto all’amore? Con una lei o con un lui? O con entrambi?
Oddio che triangolo sghembo, privo di una solida ipotenusa a cui aggrapparsi.

No, no… non sono mai stata troppo brava in geometria.               


ps. carissime amiche, dal mese di gennaio Spocchiosamente ilare si arrichirà, ospitando periodicamente un contributo moooolto ben informato di Donatella Tarozzi, counseling e consulente sessuale
https://www.facebook.com/studiocounselingdonatellatarozzi/
Chi volesse suggerirmi temi, o raccontarmi qualcosa di sé, può farlo scrivendo a:
https://www.facebook.com/SpocchiosamenteIlare/?fref=ts 

#travestitismo #44discarpe #uominitravestiti #trav #entravesti #paprika

per approfondire l'argomento andate anche a vedere il mio precedente post del 10 settembre (Questa sera a casa di Luca)

martedì 12 dicembre 2017

Il surrealismo di Francesca Viola Mazzoni

Lei non poteva distrarsi un attimo
Che subito si scordava di se stessa (da Rogo sublime)

Versi in bilico tra Sogno di una notte di mezza estate, per l’estrema e sognante leggerezza, e, per l’indubbio e crudo realismo, la scena iniziale di Salvate il soldato Ryan. Versi che sono il frutto di un’indomita personalità. Perché Francesca Mazzoni è così: o la sia ama follemente, oppure la si detesta; e non c’è spazio per l’indecisione, per quel limbo in cui cadono troppo spesso i rapporti umani inquinati dalle convenzioni e il savoir faire.
Nulla qui è scontato. Né l’ambientazione, tra il fiabesco e l’onirico, né le metafore, forti, tutte giocate sul registro del contrasto insistito.  
Un lessico marcato, espressionistico e ricco di citazioni colte, date in moglie ad una lingua viva, intessuta di riferimenti alla quotidiana colloquialità, racconta così la formazione di una giovane donna. E se fosse un romanzo? Ovvio sarebbe un bildungsroman, al femminile; oppure un racconto di viaggio, che descrive la non facile passeggiata di una donna alla ricerca di quel che è veramente. Sempre in attesa che il concentrato di energia pura deflagri, investendo chi le sta accanto; ed indecisa se rivendicare il “diritto di volare via o supplicare chi di dovere di farla restare”.
Se lei del resto si definisce un ossimoro, per me si tratta invece di una anastrofe; un’inversione vera di tendenza: uno sconvolgimento delle regole che, nonostante le apparenze, non è semplice anarchia, quanto ricerca di nuove norme.
Per molti aspetti lo stile di Francesca ricorda quello delle poetesse del Surrealismo, cioè di quell’indecoroso e coraggioso spezzare gli schemi, fregandosene delle regole imposte da una bacucca retorica che sa di stantio. I versi di Francesca sono spezzati e concitati, ansiosi come se volessero saltar fuori dal foglio. E le parole prendono vita, come rocce che franano sugli ascoltatori-lettori. Come una cascata, come una colata di lava gelida.
Molti sono pure i punti di contato tra Francesca e Leonor Carringhton, la celeberrima compagna di Max Ernst. Entrambe infatti non si limitano a mettere su carta parole poetiche, ma costruiscono veri e propri racconti. Non una narrazione, ampia, ariosa e fluente, bensì una trasposizione in versi della storia del proprio inconscio: nei loro scritti si trovano i sogni. Non si trova l’Io, bensì tutta l’incandescenza dell’ES.
Nel lavoro di Francesca non si parla di una donna, ma di creature magiche: una fata sdentata e una funambola filosofa. Di creature fatte “della stessa sostanza dei sogni”, di animali e di insetti inconsueti, e di fiori d’altri tempi. Belle e profumate camelie.
Come per Leonora Carringhton anche per Francesca l’atmosfera entro cui si muovono le donne bambine-vecchie è quella onirica, rarefatta perché immersa in un paesaggio deforme, dai contorni fatti di perdono, “slabrati” come cicatrici mai risolte. Così, infatti nella Cinciallegra sul rogo non nasconde una nota simbolista con l’accostamento di realtà e immagini totalmente distanti

 
Prossima volta sii delicata
sii fiera e sfacciata
spacciati cagna orgogliosa del morso
fingiti cicala mai zittita dal tuono.
So che
hai il vizio di pensarmi
sbracata e ferita.
tu dipingimi sempre
in nero di schianto.  



A prima vista si tratta di un mondo regolato dalla legge ferrea del caos, in realtà in questo caleidoscopio di colori e immagini ci si rende presto conto presto che la fune sospesa in aria percorso dal piede della piccola funambola altro non è che il trait-d’union tra razionalità ed emozioni. A ben guardare, altro non è che la lucida follia di chi ha rinunciato ad opporsi alla vita ed ha scelto di percorrere il sentiero del bosco lastricato di mattoni gialli piuttosto che sfidare l’ignoto.
Insomma l’io lirico che emerge dalle opere di Francesca è ribelle e vivace, sempre in attesa curiosa dei futuri cambiamenti; contemporaneamente è però anche un io ferito, fragile tanto quanto è seduttore ed egocentrico, indifeso e bisognoso di essere amato.
Così, trepidante, vuole proseguire il viaggio, e ci chiede lasciarlo andare come in Rogo sublime (dove i versi sono dedicati alle amiche, quasi montaliani angeli salvifici)
Mi arrogo il diritto di volar via.
Chiedo il permesso di rinunciare all’appoggio.
Pretendo un bivio una rete un’uscita di sicurezza.
Supplico chi di dovere di farmi restare.
Altri temi evidenti sono quelli dell’amore e della sessualità. Ma trattati con la sensibilità propria di un occhio e di un cuore femminile. 
Una quarta di erotismo, schiaffato in viso senza chiedere permesso, con parole crude, e tuttavia senza mai scadere nella volgarità.
Per certe immagini pare ricordare alcune quartine di Patrizia Valduga, come in i tuoi polsi

I tuoi polsi mannaia e inno celeste
I tuoi polsi benedizione e scudiscio
Mettimeli addosso
Ora che sono così sola
Che chiamo per nome il silenzio

Per entrambe l’amore è un legame stretto, tra osceno e sacro, un atto di forza in cui ci si deve perdere se si vuole davvero avvertire la presenza dell’altro (oltre che di se stesse; Patrizia Valduga dice “fa’ presto, immobilizzami le braccia, / crocefiggimi, inchiodami al tuo letto” (cento quartine).
Se i filtri sono banditi e la censura “censurata”, allora l’amore è esibito. Anche nella sua fisicità “in carezze distratte e abbracci mozzicati”. Spesso è un amore doloroso, di quelli che fanno guerra al cuore. Così quando Francesca indossa scarpe color pervinca

Quando ci rincontreremo,
chiamami forte.
Sarò fonte sarò tregua e resa.
Sarò nelle pieghe del muro su cui si arrampica il rovo,
tra le mani che reggono la camelia fiorita fuori stagione.
Sarò tra gli interstizi minuscoli sotto le unghie tagliate di fresco.
(Quando sentì il suo nome urlato da dietro, pensò di voltarsi ma non era vecchia da poco e per niente.Affrettò il passo dentro le scarpine di camoscio usurato coi bordi pervinca..), noi non possiamo non ripensare a Scarpette rosse di Anne Sexton
Abito nel cerchio
della città morta
e mi allaccio le scarpe rosse.
Tutto ciò che era calmo
è mio, l’orologio con la formica,
le dita dei piedi, allineate come cani,
il fornello, molto prima che bollisca il rospo,
il salotto, bianco d’inverno, molto prima delle mosche,
la cerva distesa sul muschio, molto prima della pallottola.
Mi allaccio le scarpe rosse.
Non sono mie.
Sono di mia madre.
Sua madre prima di lei
le lasciò come cimelio
ma le nascose come lettere vergognose.
La casa e la strada a cui appartengono
sono nascoste e le donne, anche le donne
sono nascoste…”

A differenza però delle donne nascoste di Anne, l’io lirico di Francesca ama la “vita puttana”. Non ne ha paura, e non ha paura di danzare!