Sono convinta che, per scrivere qualche
riga sensata di commento a questo libro, discontinuo e urticante come pochi
altri, occorra bere; ma bere molto molto: birra o vino, a seconda dei gusti personali
(anche se io preferisco il vino e confido che, con due bicchieri di
Franciacorta in circolo, ci si possa forse riuscire).
La prima parola che mi viene in mente è
“wow “, anzi “doppio wow”!
Perché si tratta di un’opera che mi ha
letteralmente lasciata senza respiro, dalla prima all’ultima pagina.
E questo
nonostante l’ostentazione dei sentimenti di misoginia e misantropia, cosa che
solitamente produce nella sottoscritta un’immediata reazione di rigetto. Allora
cos’è che mi ha tenuta avvinta, impedendomi di sbattere immediatamente a terra –
ops, sorry… sulla sabbia arroventata dal sole – il povero supporto cartaceo?
Forse il fatto che si tratti di una storia piena di chiaroscuri, continuamente
sospesa tra passato e presente; soprattutto, una trama assolutamente incapace
di offrire una risposta rispetto a ciò che una risposta non ha: cosa sia lecito
e cosa non lo sia all’interno di una dinamica sessuale. E poi il fatto che
questa incapacità di scegliere e di giudicare sia raccontata da una scrittrice,
perché solamente una donna poteva affrontare, in modo tanto crudo (e, a suo
modo, anche epico), il coacervo di pulsioni irriverenti e irritanti che si
agitano nel corpo di una ragazza. Lulù è infatti carnefice di se stessa, almeno
quanto risulta vittima della perfidia e del sadismo altrui.
Le età di Lulù, regia di Bigas Luna (1990) |
Contrariamente a quel che molti
pensano Le età di Lulù non è un
romanzo pornografico, da leggere di nascosto, nel chiuso della propria
cameretta quando le luci della casa si spengono e i genitori vanno a dormire: Le età di Lulù è una struggente, anomala
e crudele storia d’amore; talmente intensa da produrre un fiume di lacrime quando
si arriva all’ultima pagina e all’inevitabile “e così vissero, felici e
contenti, con le loro manette e collezione di frustini”.
Altro che 50 sfumature di grigio… In Le
età di Lulù la sessualità si veste dell’intero pantone di colori!
Sullo sfondo aleggia un’atmosfera di spesso
pessimismo, che si fa habitus
naturale di una donna ben decisa, fin dall’adolescenza, ad evitare la maschera
straniante della castità e dell’ordinarietà; dietro l’apparente goffaggine, fin
dalle prime pagine troviamo una Lulù che progetta accoppiamenti irrituali,
sognando orgasmi multipli e mettendo in campo ogni strategia funzionale alla
conquista dell’uomo che ama. La protagonista non è quindi un’innocente vittima
della perfidia altrui, e non desidera in alcun modo essere redenta dal peccato
in cui è consapevolmente caduta. Tutti sono peccatori, dal primo all’ultimo
personaggio. Attorno a lei si muove infatti una pletora di comprimari, invariabilmente
in bilico tra perversa razionalità e lucida follia, che il lettore non riesce mai
bene a inquadrare, perché sempre incerto nel valutarne l’essenza (sono cioè
veri e propri demoni o insulsi poveracci). Solo Lulù se ne distacca, perché la
ragazza costituisce l’unica “alienata” ben conscia di sé e della sua condizione;
al punto che, una volta oltrepassato il confine dell’inferno, non esita a proseguire,
anche da sola, senza bisogno di farsi guidare da un pigmalione, lungo il
cammino che si è scelta. Dunque scordatevi l’immagine di una Lulù ingenua e
manipolata; perché lei è una tipa tosta, che accetta volontariamente il ruolo
di “donna-bambina” nelle mani di un illuso di nome Pablo.
E Pablo chi è? A mio parere siamo alle
prese con l’Humbert dei poveri (leggasi alla voce Lolita di Nabokov); perché se è vero che alcune sue caratteristiche
non ci lasciano indifferenti (in virtù del sempiterno fascino bohèmien del protagonista maschile: più
grande di lei, uomo di poche parole, dissidente politico, poeta e ricercatore
universitario… e pure figo), è pure esatto dire che uno come Pablo non lo si
può augurare neppure alla mia peggior nemica. Mi sono poi anche chiesta quale
sia l’errore più grande compiuto da questo Belzebù in sedicesimo. E mi sono
dato una risposta: soprassedendo allo schifo di una violenza anale imposta, alla
costruzione di un gioco incestuoso e alla masochistica tendenza a concedere le
grazie della compagna a cani e porci (sì insomma, per capirci si faccia
riferimento alla categoria del cuckhold
del sito pornhub), il suo errore più imperdonabile
è senza dubbio imporre a Lulù una depilazione brasiliana – della vagina, così
per i meno esperti – con la lametta.
Orrore!
Horribile
dictu et horribile facto!
A tutto c’è un limite!
Perché noi donne sappiamo bene come la
lametta sia uno strumento barbaro e dannoso, assolutamente inadatto alla nostra
pelle delicata (tra l’altro i peli poi crescono più rigogliosi e più ardui da
disboscare). Il che mi porta, in un rapsodico fluire, a parlare della Spagna;
di un paese che usciva a rilento dall’opprimente cultura del regime franchista
e che, evidentemente, non conosceva ancora la civiltà del perizoma e della
ceretta dall’estetista! Per inciso, quanto materiale per gli storici!!!!
In quello stesso 1990, anno di pubblicazione
del libro, usciva pure il brano Vogue
di Madonna. Voi a questo punto direte: “cosa diavolo c’entra adesso Madonna? E
come si collega al romanzo di Almudena Grandes?”.
Probabilmente nulla; però dovete
abituarvi al fatto che non sono del tutto normale, quindi adoro andare alla
ricerca di collegamenti spericolati.
E allora vediamo perché vi parlo di
Madonna: partiamo dal titolo della canzone – Like a Virgin –, che sono sicura sarebbe piaciuto moltissimo a
Pablo; poi proseguiamo col rilevare l’implicito legame esistente tra i testi
della cantante americana e la fascinazione – tema centrale del libro della
Grandes – rispetto all’universo gay. Avete presente il brano Vogue? Quello in cui Madonna recupera
icone di stile (come Tamara de Lempicka o Marlene Dietrich, famose anche per la
loro ambiguità), svelando le atmosfere conturbanti dei locali gayfriendly: ecco, anche Almudena
Grandes ci parla del mondo omosessuale; ma lo fa dandoci un’immagine molto più
violenta, accompagnandoci tra i vicoli e i bar malfamati dove i ragazzi si
prostituiscono. Senza gioia, senza lustrini e senza reti di protezione.
Si parla tanto di uomini in questo
libro, i quali a dire il vero non fanno una bella figura. Non a caso l’unico
maschio che dimostri una qualche umanità finisce per essere un Trans (Ely). È infatti
quest’ultima la sola persona in grado di comprendere, accudire e accettare Lulù.
Nonostante la sua dolente imperfezione, proprio per il suo dolore imperfetto.
E così facendo Ely pare indicare anche
agli altri, a Pablo prima di tutti, l’unica strada per la salvezza: uscire dalla
gabbia di finzioni, costruita sull’obbligo di essere sempre e solamente uguali
a quel che si deve essere, rifiutando i ruoli che ci vengono imposti fin dalla
nascita ma anche quelli che noi stessi ci costruiamo.
.
Ciao, dopo quanto tempo, i peli ispessiti dalla lametta ritornano normali se si smette di radere e senza ceretta?
RispondiEliminaCuriosità perfettamente in tema con l'articolo ;).
Il sesso, i ruoli, gli atteggiamenti e le "irregolarità" raccontati con gusto. Bene!
RispondiElimina