Prima che lo Stato offrisse agli studenti la possibilità di essere
esentati dall'ora di religione, questa non si poteva assolutamente evitare. Del
resto non esisteva proprio che un ragazzo, o una ragazza, non ricevesse tutti i
sacramenti, non fosse presente all'ora di dottrina o non frequentasse le compagnie dell'oratorio. Per le famiglie era spesso
motivo di vanto avere un chierichetto che servisse messa, per non parlare della
figlia animatrice dei pulcini della parrocchia.
Tutti, credenti o meno, comunisti o no, come tanti
Pepponi dovevamo ricevere le benedizioni ed i rimproveri dai Don Camillo di
turno (magari i preti avessero avuto la grandezza del personaggio uscito dalla
penna di Guareschi). Ebbene, io alle medie avevo il prete più
imbarazzante della provincia. Quello che cercava senza tregua di fare il
piacione, l'amicone degli studenti e soprattutto delle studentesse. Insomma,
quello che non perdeva occasione per elargire sorrisi e sfoderare battute che
neanche nel peggior bar di Caracas…
E non è tutto. Il canonico aveva anche l'abitudine
di bullizzare i più deboli ed i più timidi, sostenendo che lo faceva per il
loro bene perché così avrebbero ricevuto una bella scossa. E questo, per un
nostalgico del regime, abituato al nero delle vesti e dell’anima, era un
perfetto sinonimo di buona salute. Insomma, si diceva convinto che gli scapaccioni
alla base del collo e le grasse battute sull’aspetto fisico delle persone avrebbe
aiutato a formato il carattere dei più somari, dei più "stravaganti"
e pure degli effemminati.
Date le premesse una bambina filosofica qual ero io,
molto riservata con i coetanei, ma pure capace di esprimersi in maniera ostinatamente
contraria al pensiero comune (sul modello di Bartleby lo scrivano, avete presente quello col suo solito “preferirei
di no”; perché se venivo chiamata interrogata in matematica quella era sempre la mia
invariabile risposta…), finivo per diventare la sua vittima naturale.
Ricordo in particolare un episodio, legato ad un abito
giallo che mi stava effettivamente malissimo (avevo solo 13 anni, e quel
vestito mi infagottava al punto da farmi sembrare un enorme girasole). Quel giorno il prof, che tanto più bello di me certo non era, e che ricordo tutto orgoglioso della capigliatura resa corvina da una tintura fatta in casa, si
ferma davanti a me. Mi squadra bene, poi si mette a raccontare alla classe la famosa battuta di
Celentano:
“Sapete cosa fa un passero di 20 chili su un albero?”.
Silenzio tra i presenti, al che il religioso prorompe in un barbarico: “Ciooooop!”
Per poi così concludere: “Ilaria oggi
sembri proprio un passerone” (ebbene sì, proprio questa parola ha detto…).
Tra le risate della classe, il darsi di gomito generale e le
lacrime a stento trattenute posso giurarvi di averlo odiato, e di avergli augurato di crepare tra i più atroci dolori. Ebbene, forse sarò che sono una
fattucchiera; oppure sarà che qualcun altro lassù si era alla fine rotto i coglioni (perché il prete era davvero un pessimo rappresentante della ditta), fatto sta che il religioso in questione è stato
da lì a poco richiamato alla casa madre.
Ahimè, caro il mio prete bello, cenere eravamo e
cenere diventeremo.
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