C'è stato un periodo della mia vita, penso sia
successo a molte di noi, in cui stravedevo per tutto ciò che aveva un vago
sentore di Oriente. Non solo mi ero divorata l’opera omnia della letteratura
del Sol Levante, da Murakami a Mishima, nessuno escluso, ma adoravo vestirmi
con abiti simili al kimono (lo so, lo so… quale differenza rispetto ad oggi?), Mi piaceva pure quell’abominio che è il
pesce crudo, anche se, a ben pensarci, forse quel che mi piaceva era piuttosto l’atmosfera minimal
chic, alla Giorgio Armani è appena stato qui, dei ristoranti nipponici milanesi.
Mi truccavo poi come una geisha, stendendo chili di cipria di riso bianca sul
viso, dipingendo gli occhi di nero e abbondando con il rossetto rigorosamente
rosso fuoco. I capelli li raccoglievo infine utilizzando pettini d'osso. La
mia era insomma la dedizione totale dell’ufficiale aviatore al suo Imperatore-Dio. Divenute sempre più rare le mie scorrerie milanesi, anche il mito del Giappone
ha ceduto il passo al gusto della letteratura tedesca del Novecento, agli
infiniti arzigogoli degli autori mediterranei, alle pagine inquiete delle
scrittrici dell’universo mondo. Volendo tuttavia un giorno fare una bella sorpresa
al mio fidanzato (fidanzato… parole grosse, anche se poi con quell’uomo continuo a stare da quasi vent’anni), ed avendo in mente un dopocena a base di massaggi
con olii essenziali, con la mia amica Diletta mi presento in uno di quegli affollati
negozi cinesi che si trovano sotto i portici di Bologna.
Ferme! Lo so, bene: ma che c’azzecca la Cina col Giappone…?
Brave, lo so
anche io… Ma provateci voi, diciassette o diciotto anni fa, a scovare un negozio
giapponese che non fosse una susheria...
Si va dunque per approssimazione, e Pechino è indiscutibilmente più prossima a Tokio di Dakar, Cartagena o Toledo!
Dunque, dicevo che mi presento al negozio cinese e provo il primo abito, Subito
mi rendo conto che le taglie non corrispondo proprio a quelle di noi
occidentali, al che la commessa cinese mi dice, con un disprezzo che non si
confà alla millenaria tradizione commerciale di quel popolo: A te ploplio non stale bene! Pelché voi
avete i fianchi lalghi lalghi
Stop, ferma tutto; riavvolgi il nastro… Noi avere
i fianchi larghi larghi (traduzione a cura del Centro linguistico di Ateneo,
ndr)?
Io e Diletta ci si guarda negli occhi, i suoi mi
mandano chiara una preghiera: Ti prego
Ilaria, evita la strage perché in fondo nei pressi ci sono dei bambini (e loro,
poverelli, non sono del tutto responsabili).
Una vocina in fondo allo stomaco timidamente
mi richiama all’ordine: Fermati, ricordati
che sei di sinistra, mangi sushi, sei cittadina del mondo...e rifiuti di
piegarti alla logica degli stereotipi...
Troppo tardi, purtroppo.
Troppo tardi, purtroppo.
Con calma, grazia e signorilità rispondo alla
cinese: Ciccia, io avrò i fianchi larghi
ma tu sei bassa, tarchiata, col culo che spazza il pavimento e per lo più sei cinese…
Secondo te chi delle due è messa meglio?
La faccio breve. Ho comunque acquistato il
vestito, indossandolo alla sera con tacchi vertiginosi che minimizzassero la
presenza di un fianco generoso. E la sua porca figura l’ho fatta… Ah..., come l’ho
fatta…
Sayonara
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