Consigli per una vita di coppia felice e per una singlitudine serena, senza troppi sensi di colpa.

venerdì 31 agosto 2018

Top ten: Quella volta che non dimenticherò mai. episodio n. 2 Aereo

Avevo deciso che sarebbe finita. Non avevamo più nulla che ci tenesse insieme (a parte il mutuo e alcuni figli). Ero stanca, dei troppi non detti e degli sguardi di riprovazione che mi lanciava di continuo D’altra parte non capivo: eppure, non gli avevo mai nascosto nulla di me, dei miei amori o delle mie passioni; di quanto amassi vivere o di quanto odiassi le pareti domestiche insieme a quella quotidianità che non sentivo più mia. Mi trascinavo da settimane in un limbo di insofferenza e indifferenza che faceva forse male a chi era costretto ad assistere al triste spettacolo di due attori falliti.
Aveva saputo della mia storia con l’altro. Non ero stata neppure capace di tradire come si deve: perché chi tradisce in genere nasconde, fa le cose in sordina, senza lasciare traccia. Io, non solo avevo sbandierato ai quattro venti la mia liaison, ma mi ero preclusa anche il divertimento e la leggerezza delle corna fatte superficialmente.
Non avevo voluto agire di nascosto: anzi avevo dichiarato che c’era un uomo! O meglio un caro signor nessuno; il passepartou semplice semplice per aprire la porta alla felicità.
Ecco come sono partita quel giorno per Istanbul: disillusa, priva di forze e con un dolore che, da qualche settimana, come un cane sgranocchiava l’omero della mia spalla sinistra. Quel dolore intermittente come una lampadina guasta non era altro che il lamento di me incastrata sotto le macerie della vita.
Lui mi aveva concesso quest’ultima possibilità: sentenza non presa ma rinviata a giudizio.
Così senza dirmi nulla, si presenta con la valigia e due biglietti per Istanbul.
Di quei tre giorni di fiamme, fuoco e ferro ricordo i nostri tentativi maldestri nel fingere che tutto fosse come prima. Perché rovinare con la retorica quello che si prestava ad essere, forse, l’ultimo nostro viaggio insieme?
Solo giunti in aeroporto ci siamo concessi una tregua dall’asfissia del non detto: solo dentro una sala spersonalizzata, dove anche il dolore si sbiadisce sotto i neon, abbiamo iniziato a parlare seriamente.
Eravamo così intenti a comprendere le nostre ragioni, a cogliere il senso di una storia d’amore finita che abbiamo perso l’aereo. Buffo no?
Il volo successivo per Bologna decolla in orario. Non sono tanti i nostri compagni di viaggio, cosi possiamo godere di quelle ultime ore che ci separano dall’Italia in silenzio. Le luci si chiudono e volare di notte sembra quasi un meritato premio dopo tanta guerra di parole.
Io fingo di dormire pensando a cosa farò domani (chiamo un avvocato o prendo altro tempo prolungando l’agonia?).
Tutti dormono, sento il respiro di chi, allungato sulle poltrone e cullato dal rumore dei motori, si è abbandonato al riposo.
I nostri posti sono lontani da quelli degli altri. Davanti e dietro di noi non c’è nessuno. Siamo isolati, in una bolla di intimità ad alta quota.
Avverto la sua mano lungo la mia gamba. Mi viene da sorridere: un ultimo gesto di gentilezza. Un piccolo segno di affetto tra due ex amanti che si stanno avviando al game over.
Fingo indifferenza, indecisa se prendere le sue dita tra le mie o ricambiare la carezza senza troppo impegno. Non so ancora infatti come siamo rimasti: torniamo insieme o da separati?
Eppure, eppure mi sorprende ora l’audacia di quella carezza che, da timida attesa si trasforma in esigente, decisa a oltrepassare la cortina delle mie mutandine.
Resto sorpresa, confusa e quasi irritata cercando un senso a questo gioco. Ma, ad alta quota il mutuo, i figli, la crisi sembrano destinati a svanire. Siamo soli io e lui su un aereo in volo.
Anche il respiro di chi dorme accanto ci diventa indifferente. Così come Emmanuelle mi abbandono al piacere che le sue dita regalano alla mia carne.
Per permettergli di entrare con più forza mi sollevo leggermente sulle natiche e sposto il peso verso di lui. Ora, più vicina, gli sussurro di non smettere perché sento crescere dentro di me quel calore a lungo represso.
 Mai come in questo momento l’orgasmo è giunto così potente, definito, strozzato in un gorgoglio che a stento riesco a trattenere.
Lui avvertendo le mie convulsioni sul sedile, mi lascia fare. Non ha paura di essere scoperto da qualche occhio indiscreto. Anzi sarebbe quasi meglio perché in fondo, il piacere che lui prova, è quello di chi aspira al peccato senza redenzione.    

Nessun commento:

Posta un commento