Quando ero una giovane
e promettente Indiana Jones la mia vita sentimentale era per così dire molto articolata.
Anche perché la regola che mi ero data era quella di non legarsi mai, dal
momento che prima di ogni cosa dovevano venire lo studio e il lavoro; il quale
del resto mi portava in giro come una trottola, ovunque nella penisola si
palesasse uno scavo archeologico. E pazienza se il più delle volte questo
doveva mascherarsi da puzzolente trincea della SNAM: l’archeologia era l’unico
mio grande amore. Ricordo che ostentavo una femminista sicurezza, anche se in
realtà sotto sotto sentivo la mancanza di un porto sicuro in cui approdare quando
un contratto terminava. Solo oggi, con qualche trascurabile primavera alle
spalle, comprendo perché non fosse semplice trovarmi un fidanzato disposto a
emulare la Penelope omerica: provate voi ad attendere tranquilli che la propria
ragazza, quella abituata a vivere con la valigia sempre pronta nell’angolo
della sua cameretta, ritorni da una campagna di scavo che, dai suoi racconti al
telefono, pare una sorta di comune hippie uscita dagli anni 70. Questo spiega
perché la mia vita sentimentale sia stata per anni una sequenza ininterrotta di
serate trascorse guardando il display del telefonino, di struggenti addii
ferroviari che neanche Doisneau, di feroci gelosie nei confronti della
sciacquetta che senza dubbio era pronta a consolare il mio povero lui non
appena il treno fosse partito. Se dovessi dire quale fosse il mio spirito guida
dell’epoca non avrei dubbi: un bel cervo reale, con un palco di corna da fare
invidia alla compagna di Michael Douglas. Tuttavia devo ammettere che pure a
me, a furia di viaggiare, sono capitate alcune storie d’amore. Non sempre finite
bene, ma senza dubbio sempre degne di essere ricordate con un sussulto di
emozione.
Come quella che
ho vissuto su un treno, in compagnia di un amico che mi sarebbe tanto piaciuto
si fosse candidato al ruolo di fidanzato in carica. Non essendo riusciti a
trovare uno straccio di posto libero stavamo accoccolati nello spazio di
servizio tra la porta d’accesso allo scompartimento e il bagno, tranquilli
perché eravamo ancora all’inizio della nostra storia e non ci dispiaceva un po’
di scomoda intimità. No, non avevamo ancora fatto sesso; solo qualche bacetto
al chiarore della luna, discorrendo dei nostri sogni e delle nostre
aspirazioni. Ricordo che lui desiderava ottenere un post dottorato. Più
prosaicamente, io volevo un fidanzato. Mentre sproloquiavo a proposito della mia
vita randagia, più per fare scena che per vero amore, il prescelto mi guarda
negli occhi e solenne mi rivela di volere baciarmi. Scusa, ma il post dottorato
di cui sopra? Comunque mi riprendo in un attimo e mi chiedo se per caso non
siamo arrivati all’azione piccante che consente di sbattere la palla in rete. Ma
come fare? Sembriamo due barboni da musical, con la sottoscritta seduta su
quella valigia con dentro l’intera sua vita, in attesa di un controllore che da
un momento all’altro potrebbe spalancare la porta dello scompartimento al suono
di Mamma mia degli Abba. Però sono
parecchio su di giri. Finalmente mi sono trovata uno con tutti i requisiti cercati:
bell’aspetto, simpatia e, soprattutto, un elevato spessore culturale (mi ha
pure detto di avere vissuto per parecchio tempo a Parigi, la città europea che
all’epoca, prima di scoprire Berlino, io preferivo). Sarà stata la location
insolita, sarà stata l’attesa ormai un po’ troppo protrattasi di un’intimità da
consumare, ma il suo bacio è stato il più lungo e appassionato mai
ricevuto. Dalle labbra alle mani sul
corpo il passo è breve. Così, mentre le mie dita armeggiavano coi bottoni della
sua camicia, le sue s’erano già infilate nella gonna e prendevano con forza i miei
fianchi. L’andamento a scatti del treno contribuiva a trasformare quell’approccio
dei corpi in un amplesso, che si consumava con naturalezza in quello spazio
angusto, senza alcun pudore davanti gli occhi di chiunque fosse passato di lì.
Ci guardiamo attorno, e senza parlare ci chiudiamo nel bagno. Non che si tratti
di un posto particolarmente, e men che meno pulito, ma quando si ha vent’anni non
si guarda troppo per il sottile e tutto diventa naturale. Forse avremmo potuto aspettare
di giungere a destinazione, concedendoci la comodità di un letto in una
pensioncina; ma se lo avessimo pensato avremmo rovinato tutto; perché, come
insegna Guccini, vuoi mettere la soddisfazione di un amore fatto alla boia d’un
Giuda? Concludo con un solo suggerimento. Se vi troverete in una simile situazione
cercate di contenere i mugolii di piacere, in modo che la fila dei passeggeri
in attesa fuori della porta non si sentano obbligate ad applaudire con foga e
vigore quando si tratterà di uscire da quella lurida alcova!
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