Consigli per una vita di coppia felice e per una singlitudine serena, senza troppi sensi di colpa.

venerdì 28 settembre 2018

Recensione a Il gioco, di Carlo D'Amicis edizioni Mondadori






Protagonisti tre personaggi non più giovano (Leonardo, Giorgio ed Eva) mascherati da Bull, Cuckolder e Sweet , secondo la nomenclatura anglosassone che va tanto di moda oggi grazie ai social e la loro pretesa di “normalizzare” la trasgressione.  Carneade chi era costui? In questo caso si tratta di un triangolo feticista dedito ad un Gioco dalle regole rigide.

Come sostiene Violetta Bellocchio nel suo articolo in Minima Moralia www.minimaetmoralia.it/wp/stregati-il-gioco-di-carlo-damicis/
l’autore ha deciso di produrre una Montagna Incantata a partire da un mondo microscopico, periferico e pornografico: quello affezionato al mondo dei privè. Ma siamo così sicuri che sia poi così periferico? I dati in Italia sembrano dire tutt’altro.    

Il libro è costruito come un’intervista: un autore chiede a tre esponenti della middle class italiana (una coppia formata da un compassato primario di oncologia e sua moglie, impegnata tra sedute di yoga e la palestra; un professore di inglese, con velleità di scrittore, alquanto sex addict) cosa significhi il termine piacere.  E, ovviamente,  il risultato è che dietro ad ogni kink esiste una vita e spesso un’infanzia complessa.

Il libro si divide in tre sezioni: la prima è dedicata al Bull Leonardo, che si dedica al suo ruolo con l’umiltà e la dedizione di un samurai; la seconda a Eva, signora benestante, complice del gioco perverso messo in atto dal marito, affatto submissive; infine Giorgio, unico vero burattinaio di una farsa costruita per nascondere forse la sua attrazione verso gli uomini. Come dice Eva stessa “dietro ad ogni cuck in modo più o meno latente è gay. Il maschio per loro rappresenta un vero e proprio modello”.     

Tutti e tre si dimostrano assolutamente perfetti e maestri nel maneggiare il Gioco. Ne conoscono le regole e ne accettano le conseguenze senza battere ciglio. Ingenui e fiduciosi avviano un locale per scambisti con l’illusione di farne un tempio dell’amore (ben presto si renderanno conto che altro non è che un luogo ove chi entra lo fa per soddisfare i propri bisogni).

Il Master, che traccia il perimetro del triangolo e gestisce l’IBAN per tutti, è colui che sembra apparentemente subire. Fin dalle prime battute, infatti, Giorgio da attore consumato gioca provocatoriamente con l’intervistatore sollecitandolo a cogliere quanta verità ci sia nelle sue parole.  È un uomo presuntuoso, orgoglioso del suo rango e, nonostante accetti passivamente le corna, alla fine si rivela come  Maestro di cerimonia, un abile manipolatore.

Infine Eva, la Sweet. La figura più bella, affascinante e complessa. Se per i due uomini, in fondo ci aspettiamo esattamente le loro parole, il loro modo di porsi durante l’intervista, lei ci spiazza continuamente con il suo fascino. A differenza dei due uomini si presenta come luce, fiera e sincera nelle sue affermazioni. Con sicurezza afferma di odiare la falsità e l’ipocrisia. Non si nasconde dietro al suo ruolo e una volta smessi i panni di Sweet torna ad essere se stessa “sono una donna onesta.. Ogni volta che ho tradito mio marito, è stato lui a chiedermi di farlo. Di sicuro non rubo i mariti alle altre donne, perché alle quattro chiudo l’Infinito e li rimando a casa”.  Insomma quasi una perfetta ragioniera del sesso.

Ha molto chiaro cosa significa per lei il matrimonio: un contratto in cui i sentimenti o l’attrazione non sono certamente prioritari. Lei, infatti, è una regina, passata al rango di Fist lady (come ama definirla il marito) dopo aver superato gli anta. Gode del privilegio della libertà di “improvvisare” ma è sempre il caro coniuge a gestire la sua agenda di appuntamenti sessuali in modo  maniacale.

Se il marito oncologo vanta una discendenza da famiglia di medici illustri (il padre un ginecologo di dubbia moralità) Eva, invece, ha conosciuto la povertà. Per lei il sesso è una necessità, un paradosso: “la cosa più intima che abbiamo e nello stesso tempo un despota che pretende di venire a governare a casa nostra”.

Fin da bambina gioca con la sua avvenenza, utilizzando il suo corpo perfetto per cercare di rendersi indipendente velocemente e uscire da una situazione familiare fatta di desolazione e sconfitte.

Per questo a tratti sembra quasi anaffettiva e refrattaria al sentimento.

Il libro ha una struttura robusta, uno stile impeccabile che porta in scena tre narratori completamente inattendibili inseriti all’interno di un racconto cornice (l’intervista). Il sesso trasgressivo è sempre presente ma noi lettori non ce ne accorgiamo. Diventa un esercizio di stile fin troppo noioso, un solfeggio scandito da tempi e leggi meticolose che lo rendono una marcetta militare più che una esaltante aria wagneriana.

   

    


lunedì 24 settembre 2018

Fame d’amore




-       Ciao

-       Ciao a te, come va? Cosa fai di bello?



Mi chiamo Grazia, anche se mi chiedo spesso chi io sia realmente da quando ho iniziato a chattare con sconosciuti. Mi piace. Al chiuso della mia stanza posso allora assumere tante facce diverse, e soprattutto indossare molti corpi differenti; posso immaginarmi bionda, con gli occhia azzurri e pelle morbida di una giovinetta appena uscita dalla pubertà, oppure trasformarmi in una signora arrapante dell’alta società. Come la signora Robinson in pelliccia leopardata del Laureato. Gioco insomma a mascherarmi, come una bambina che tira fuori dal cassettone gli abiti della principessa.

Chi sono io?

Me lo domando ogni volta che inizio a sollecitare le voglie di questi uomini disperati e soli, che sono in fondo tutti uguali, con vite banali e mogli assenti, che mi raccontano ormai prive di slancio e sempre troppo stanche per fare sesso. Troppo madri per concedersi le gioie perdute di un orgasmo come dio comanda.

Chi sono io?

La fatina dietro allo schermo, la puttana assente che lascia graffi di parole su corpi virtuali. E se mi chiedono una foto, io ovviamente non la spedisco: una regina non mostra mai il suo volto al popolo, ma resta immersa nel mistero per apprestarsi a divenire spettro. Come potrei d’altronde mostrarmi? Le mie parole camminano su sentieri distanti da quelli percorsi da mio corpo, che però imprigiona la mia arte e la divora pezzo a pezzo, ogni santo giorno. Del mio corpo non mostro neppure un pezzetto, perché altro non è che carne flaccida e sudata. Non sono io, è altro da me. E poi cosa penserebbero i miei amici di chat se scambiassero la dea che ben conoscono con quella donna grassa, un po’ goffa, che sta tutt’intorno a me? 

Le mie amiche mi ripetono che sono una sciocca, che tutte possiamo trovare uomini capaci di amare. Ma per loro è facile parlare, per loro che entrano in un negozio senza dovere chiedere permesso, che trovano sempre la taglia giusta e non sentono su di loro gli occhi beffardi dei presenti. Per loro, che al massimo cambiano il modello di abito; che sono giudicate con alterigia dalla commessa anoressica in tubino nero. La stessa che potrebbe correre in bagno alla mia uscita, per vomitare via anche solo l’idea di avere tutti i miei chili addosso. No, non dartene pena bimba: la mia grassezza non si passa col contatto, come una malattia infantile; e poi la mia trippa la vomito già io da sola, quotidianamente e con grande impegno.  

A volte capita, specie quando litigo con mia madre o prendo un rimprovero dal capo in ufficio, di sentire il desiderio bruciante di ingoiare tutto. Così mangio e svuoto il frigorifero, mi ingozzo quindi di dolci, e di biscotti, di latte e di tutto quello che incontro in dispensa. Succhierei anche i surgelati se fosse necessario, senza neppure chiedermi cosa contiene quel ghiaccio appiccicoso. Vivo quindi di sensi di colpa, di pena e di espiazione attraverso la ceramica bianca della tazza del cesso. Non è sempre stato così. C’è stato infatti un tempo in cui mi trattenevo e mi imponevo di essere sorda a quel maledetto richiamo; all’epoca non mangiavo e non scopavo, come forma di ascetismo necessario al raggiungimento della santità. Oggi al contrario piango e vomito i miei chili di troppo, cacciandomi un dito in gola e piangendo i miei peccati in una chat di incontri.

-       Sei sola?

-      

-       Ti stai toccando?

-       Come ti permetti? Io non sono il tipo quel tipo di donna

E invece si, dio quanto vorrei che un uomo accarezzasse proprio adesso il mio corpo. Però sono riuscita a zittire quest’urlo disperato, perché mi costava più fatica risvegliarmi da un sogno che salire una fottuta rampa di scale.          

-       Voglio sentire il calore delle tue labbra intorno al mio cazzo.

-       Ecco ci sono. Prosegui… Mi piace l’intraprendenza.

Un altro sfacciato che mi costringe a piegarmi, trattandomi come la puttana che ha immaginato d’incontrare sulla statale. Mi infastidisce, ma non posso negare al mio corpo questa piccola razione di vita; e allora sto al gioco, come una strega che al palo grida e strepita, lanciando maledizioni e saettando con gli occhi neri, nell’attesa dell’amato fuoco che tra poco arderà dentro di lei. E ripenso alla sera di qualche giorno fa, quando sono entrata nel cinema buio della periferia della mia città, cercando la sagoma seduta a cui avevo dato appuntamento; fino a trovarlo, in ultima fila verso l’esterno. Lo raggiungo e mi siedo accanto, tenendo il lungo cappotto nero che impone dense gocce di sudore alla mia schiena. Non gli permetterò di scorgere il mio sguardo, perché sono la dea senza volto. Sono la Grande Madre Neolitica dalle grandi mammelle riverse sul ventre, e ciò che voglio io lo prendo. Mentre le immagini di un film qualunque scorrono sul grande schermo, do inizio al gioco. L’adrenalina mi rende disinibita, ora comando io. Perché se nego il piacere al mio corpo, certo non voglio sottrarlo al mio spirito. Io ingoio tutto: cibo e emozioni, ingoio il cuore che pulsa rapido, ingoio l’aria calda del cinema, l’odore delle persone e la puzza dei pop corn appena sfornati. Mi sussurra timidamente un accenno di saluto e divarica leggermente le gambe. Ha esaudito la mia richiesta di farsi trovare già con la cerniera abbassata, così posso vedere come la punta del suo membro sia già in turgida attesa. Avvolgo quindi il suo cazzo con le mie labbra, e mi dico tutta orgogliosa: che il film abbia inizio, ciak… si gira!

Ingoio, mi riempio la bocca di vita e di amore.   



ps: ringrazio un caro amico, che ovviamente preferisce restare anonimo, per avermi fatto dono di una storia così intensa e straordinaria. Mi auguro che le donne riescano a fare pace con il loro corpo e imparino ad amare se stesse prima di qualsiasi uomo.   
 #bulimia
#fameamore
#bulimianoressia

  



          

sabato 22 settembre 2018

Ma quanto è grossa la tua spunta blu?





Non frequento chat di incontri, e nemmeno mi lascio troppo affascinare dagli incontri fatti in rete. Ho imparato subito che la grande maggioranza di questi rendez-vous digitali hanno come solo scopo quello di sedurre senza nemmeno immaginare la fatica di affrontare un incontro reale, il più delle volte accontentandosi di strappare una tua foto in perizoma da utilizzare nel chiuso del cesso, magari mentre là fuori la moglie spadella e gli infanti urlano giocando. Non sono nemmeno troppo innovativa se dico che molte serissime ricerche hanno dimostrato come tanti uomini mediocri, incarnazione perfetta di una middle class culturalmente ed economicamente sempre più allo sbando, finiscano per perdere qualsiasi residuo freno inibitore quando si ritrovano seduti dietro a uno schermo. Click, password, indirizzo html digitato ed eccoli trasformarsi nella reincarnazione di un Rodolfo Valentino dotato degli attributi di Rocco Siffredi. Alcuni di loro prima si propongono su Messanger, esibendo una timida e accattivante gentilezza, che li fa ringraziare ogni due per tre per l’attenzione di cui li hai degnati. Superati i primi convenevoli, gli stessi con nonchalance ti invitano a passare su piattaforme più comode e discrete. Tipo Whatsapp, ma pure Gchat, Telegram o Snapchat. E tu cosa fai? Se conoscere un uomo la cui bacheca facebook promette bene non ti dispiace, allora accetti e gli passi il numero di cellulare. E per qualche istante magari culli anche l’illusione che non ti chiederà, non subito almeno, una tua foto in provocante lingerie. Premetto che non sto stigmatizzando la pratica, dal momento che ho spesso intrattenuto un tale tipo di corrispondenze d’amorosi sensi; confesso pure di privilegiare lo scambio di messaggi quando sono fuori dalla camera da letto, mentre passeggio in un luogo pubblico e pieno di gente, magari mentre soppeso la consistenza di un cetriolo o di una zucchina al reparto ortofrutta del supermercato (un luogo che, vi assicuro, è sempre fonte di grande ispirazione). Di solito inizio una conversazione solo quando penso di avere ormai una qualche idea dell’interlocutore, di chi sia e di come sia fatto, ma la settimana scorsa tutti i miei buoni propositi si sono dissolti davanti alle parole di un perfetto sconosciuto.
Partiamo dal suo profilo, che effettivamente pare molto intrigante. Foto in vacanza, che svelano un uomo dal fisico curato e dagli interessi sufficientemente differenziati. Amiamo pure gli stessi film, e anche a livello di musica ascoltata ci siamo. Anzi, è davvero strano che non ci si sia incontrati al paio di concerti a cui entrambi, da sconosciuti l’uno all’altro, abbiamo partecipato. Ama i viaggi e gli animali, tanto da essere impegnato in una seriosa associazione ambientalista. Suona in un gruppo, gli piace la letteratura scandinava... Niente da dire, all’apparenza si tratta di un gran figo. Tra l’altro, a giudicare dal numero di selfie che si spara col cellulare, non nasconde proprio il fatto di piacersi; e dal numero di like femminili pare proprio che il ragazzo sappia come condurre il gioco dell’amore e della seduzione.
Rispondo a un “ciao” serale e iniziamo ad annusarci un po’, per qualche giorno e senza troppa foga.
Lui: Ciao ci sei? Ti penso e ho voglia di fare due chiacchiere.
Io: Veramente mi pensi? Dai, giura.
Lui: Sì, ho riflettuto molto su quello che mi hai scritto oggi. Dove sei in questo momento? Puoi parlare liberamente?
Io: Sì, certo. Sono in camera e mi preparo per andare a dormire.
Lui: Scusa non volevo disturbare... mio dio, già ti immagino... Come sei vestita?
Altolà, sono sufficientemente navigata per capire dove il ragazzo vuole andare a parare. Ma sto al gioco e rispondo che non disturba e che mi fa piacere conversare con lui, quanto ai vestiti indossati non ne porto, perché io, come Marilyn, vado a dormire solo con due gocce di Chanel n.5. E chi se ne frega se in realtà ho addosso una maglia slabbrata e fuori taglia, con David Bowie stampigliato sopra, e un paio di mutande da nonna che potrebbero fare passare la voglia anche a un carcerato dell’Isola del Diavolo. In fondo non siamo ancora alla fase della videochat, quindi lanciamoci…
Lui: Quanto mi piaci, e quanto mi intrighi. Questa sera sono malinconico e mi sento solo.
A questo punto potrei fingere un’interruzione causato da un attacco alieno sulla città, in modo da recuperare dal comodino quel libro che proprio non riesco a terminare; oppure potrei simulare con la bocca rumori d’entrata in galleria – che galleria? Non sottilizziamo parbleu! – e chiuderla lì per utilizzare il mio dispositivo in modo più creativo (tipo andarsi a vedere una serie su Netflix). Invece no, per una sorta di vocazione masochistica proseguo nella conversazione e gli chiedo se non ha al suo fianco una compagna. Il gelo dall’altro capo della conversazione mi conferma in un amen quanto sia cretina la domanda appena fatta: ovvio che non ha la compagna vicino! Ma secondo te? A meno che non sia uno tosto, ma veramente, capace di coinvolgere la sua lei in un gioco erotico con una sconosciuta fin dalle sue fasi iniziali, è evidente che il ragazzo è solo. Anche perché, sospiro tra me e me, non tutte le compagne sono divertenti come la sottoscritta, che apprezzerebbe molto ogni sforzo fatto dal partner per variare nella routine. Per il momento lui non sembra brillare per spirito di iniziativa, tanto da rispondermi nel modo più scontato possibile: è impegnato, ma che la sua è una storia tanto complicata.
Ma va? E chi lo avrebbe mai immaginato? Credo che il 99,9% delle storie siano complicate, specie quando uno dei due della coppia si avventura alla ricerca di nuove amicizie in rete; trovatemene una che non sia tale e vinci una bambolina!
Poi azzarda un Lei non è come te
Mi mordo il labbro, perché mi verrebbe da rispondere in malo modo. Del tipo: Scusa, ma cosa vuoi dire con questo? Intendi forse che io, solo perché ti ho concesso qualche insignificante secondo del mio tempo, al contrario di lei, una santa senza dubbio, sono una zoccola? Questo penso, ma questo non dico. Mi limito allora a un semplice e sensuale: Perché io come sono?
Ecco quello che voleva, un’occasione per iniziare a sciorinare l’elenco di virtù in mio possesso: Tu sei bellissima, sei sexy e sei intelligente. Vorrei averti accanto…ORA!
Un sorriso si dipinge sulle mie labbra, e penso che adesso puoi proprio farmi ridere di gusto. È sufficiente che tu dia il via libera al sano e sotterraneo maschilismo che possiedi. Suvvia, potresti iniziare con qualche espressione forte; del tipo: Ti voglio strappare le mutande a morsi. Dai caro il mio manzo dal selfie facile, sfoga l’animale che è in te e rendimi felice; giuro che lascerò il mio dito libero di pensarsi la tua mano!
E invece no, non succede così. Come stupirmi, del resto. Se leggi solo Gente e Motori e nella quotidiana visione di Pornhub non ti sei spinto mai al di là della sezione Teenager, è naturale che il tuo lessico sia molto ma molto basico. Colpa mia, cosa voglio pretendere? Me ne faccio tuttavia una ragione, sperando in qualche succosa evoluzione quando l’atmosfera si sarà riscaldata a dovere. Lui pare ingranare: Sai che mi piaci. Ti farei di tutto, se ti avessi davanti a me ora… Vuoi vedere che finalmente iniziamo a fare sesso virtuale, come dio comanda e non come piccoli criceti in gabbia?
Rilancio, iniziando a giocare con l’elastico delle mie mutandine: Cosa mi faresti?
Se tu fossi qui vorrei averti seduta sopra, con il vestito arrotolato, le natiche nude e la tua figa bagnata che si strofina sul mio cazzo
Sussulto; accidenti mi ha fregata! Ha giocato l’asso subito, tanto da lasciarmi qualche secondo senza fiato, indecisa se proseguire la conversazione sul ritmo che ha improvvisamente preso oppure rallentare fingendo una qualche indignazione. Essendo probabilmente meno fesso di quello che all’inizio pareva, lui prosegue innestando una marcia addirittura superiore. E mi dice: Mi sto toccando, posso?
Sorrido perché mi ha fregato. Come si fa ora a rallentare? Quindi digito, molto lentamente, quasi sorseggiando le lettere, una dopo l’altra, come posso impedirtelo? Fai pure.
Lui: Ho voglia di sentire il tuo sapore; se tu fossi qui ora ti farei sedere direttamente sulle mie labbra  Ben fatto, sto iniziando a fantasticare sulla posizione conturbante che mi ha appena suggerito.
Così rispondo che è un vero peccato non essere davvero a gambe aperte, con la mia vagina direttamente sopra il suo viso; purtroppo - o per fortuna – ci sono troppi chilometri che ci separano. Devo ammettere di averlo sottovalutato, il mio amico di tastiera ha una bella fantasia. Si esprime con cura delle parole, non trascura la punteggiatura e azzarda addirittura qualche metafora (del tipo Voglio immergermi nella tua vagina come in un frutto maturo). Nulla di trascendentale, ma di sicuro qualcosa di più sexy della frase scrittami dal tizio che voleva aprirmi come una cozza. Sto addirittura iniziando a pensare che stia giocando con me, come il gatto col topo; ha ad esempio perfettamente che amo ricevere carezze, non solo quelle fisiche ma pure virtuali. Così, abbonda nelle parole dolci e nei paragoni gentili, e ogni sua descrizione cortese pare una frenata utile a impostare la nuova accelerata. Alla rosa segue un cazzo, alla “delicata tua pelle” un “vorrei che me lo succhiassi”. Pare trovarsi più a suo agio nel raccontare quel che farebbe sul mio corpo che non ad ascoltare, mi dice poi che ha il membro tra le mani e questo cresce, mentre la mano scivola lungo il fusto e la mente s’inganna fino a volere pensare che quella mano rude sia in realtà la mia. Chiudo gli occhi e lo immagino disteso, sul divano di casa, con un brano jazz in sottofondo. Ha la camicia slacciata e i pantaloni che ricadono morbidi sulle gambe muscolose. Non indossa calze, ha i piedi nudi e le dita affusolate. Le mani - io ho un debole per le mani - sono grandi e larghe. Indossa anelli e porta bracciali ai polsi. No, no… smettila! Se mi soffermo troppo sulle sue mani rischio di perdermi subito, meglio proseguire nell’immaginifico tour attorno al suo corpo. Concentriamoci: vedo che si sbottona i pantaloni, facendo emergere la punta arrogante del suo pene dritto e solido; so che lo sta facendo sul serio e allora mi prende un moto di stizza. Perché non piantarla di giocare e uscire a cena, vedendosi di persona; sono quasi sicura che si finirebbe a fare sul serio quello che in questo momento stiamo entrambi solo immaginando. Non oso però chiederglielo, perché a quel punto la magia finirebbe e lui scoverebbe qualche patetica scusa per mollarmi (la distanza, i tempi contingenti, la necessità di trovare una motivazione per un’assenza serale, il lavoro… le cavallette…). Si tratta di un film già visto, e non ho voglia di perdere troppo tempo. Ho voglia invece di provare un orgasmo, anche a costo di infliggermi da sola quell’umido piacere, così mi aggrappo allo schermo del telefonino, come se quella luce azzurrognola fosse la promessa di un possibile amore. Forse dall’altra parte c’è una persona che come me s’illude di sperimentare un sentimento nuovo forse dall’altra parte c’è un essere umano che, come uno scienziato che si avvicina trepidante alla lente del microscopio, cerca di dare un senso a tutte le emozioni che crescono dentro. Non credo abbia troppo senso chiedersi se questa storia avrà un seguito, o se resterà un semplice istante di puro piacere, da appallottolare dopo l’uso in un foglio di carta igienica e da buttare rapidamente nello sciacquone. Meglio viversela, così come viene. Le sue parole sono del resto dense di sensualità.
Ora vuole una mia foto, vuole scoprire quale sua il colore delle mie mutandine; non sono obbligata a inviare la figura intera, mi dice, gli è sufficiente dall’ombelico in giù. Io mi ritraggo. No, non voglio inviare nulla di me che non sia già stato pubblicato in rete; quindi nulla di troppo spinto. Ma non è una cosa facile, perché anche senza fare vedere il volto il mio corpo, per tutti i tatuaggi che ne ricoprono la pelle, svelerebbe la mia identità. No, non se ne parla proprio. Per lui il problema sembra non porsi nemmeno, dal momento che non passano dieci secondi che mi arriva una sua foto. Chiaramente dall’ombelico in giù, chiaramente con il suo turgido membro in primo piano. Cosa dire? Potrei fingere un momento di virginale turbamento, colpita da tanta maschile grazia; oppure potrei limitarmi a digitare una serie di MMMMM di soddisfazione, accompagnati da una simpatica faccina (no, sarebbe troppo adolescenziale). Decido alla fine per una battuta cortese e ironica, del tipo: Quanto ben di Dio… sei veramente un uomo splendido.
A quel punto lui rilancia: Stai toccandoti anche tu, vero? L’immagine di te che lo fai, mentre mi scrivi, magari in attesa di un nostro incontro, mi intriga moltissimo.
E continua: Voglio che ti levi gli slip e ti masturbi mentre mi accarezzo. Cosa ne dici? Proviamo a fare l’amore, anche a distanza? Proviamo a venire insieme? Se tu fossi la mia donna vorrei mostrarti a tutti. Ti porterei fuori e ti accarezzerei senza ritegno. Vorrei urlare al mondo che sei mia.
Dal solito sexting stiamo andando verso una dimensione più intima, forse troppo intima. Ha usato infatti il pronome possessivo, e questo non capita spesso quando si fa un po’ di sano autoerotismo via chat. Lui mi manda altre foto del suo membro duro e gonfio; ci tiene a dimostrarmi quanto il nostro incontro virtuale lo stia prendendo. Io stessa, anche se faccio la dura, non sono poi così indifferente alla cosa: ho infatti già stretto tra le dita le grandi labbra, e infilato tutto il medio nel sesso. Gli racconto cosa mi piace fare quando scopo, quali posizioni preferisco e mi soffermo sull’eccitazione che mi dona l’essere legata e sentire sulle natiche il dolore di una frustata. Alla mia rivelazione lui resta basito per qualche secondo, poi emozionato digita: Anche a me piace quel tipo di sesso, ma difficilmente trovo compagne disponibili a farlo.
Adesso sono del tutto padrona del gioco, so bene cosa fare e cosa dire; conosco le vie del piacere e assaporo il momento in cui gli chiederò di inviarmi in diretta la prova della sua felicità raggiunta. Come pegno di un prossimo incontro, reale o virtuale che sia. Tanto, che differenza c’è?
    

 
              
     
       
    
   

mercoledì 12 settembre 2018

Quella volta che non dimenticherò mai Episodio n. 5: l’orgia virtuale




Qualche anno fa, quando anche l’ultima nata ha imparato finalmente a tirare la cordicella del water, ho deciso di coccolare la mia femminilità indossando di nuovo un tacco 12. In questo modo, va da sé, è stato naturale il passaggio dal gruppo mamme su wapp alle conversazioni intriganti con qualche amico.

È stato sufficiente evitare di postare foto di me con i figli, sostituendole con selfie in cui il vedo non vedo solleticava l’immaginazione. Nulla di volgare per carità, ma quel tanto che basta per farti sentire più giovane e intrigante; cosa che, per inciso, mi ha permesso di raccogliere tanto materiale per il mio blog. Così, in men che non si dica, la mia spallina del reggiseno in pizzo ha collezionato molte nuove richieste di amicizia. Tutte ovviamente di sesso maschile.

Accanto a qualche nuovo amico si sono ripresentati ex fidanzati nostalgici, con i quali è stato piacevole rievocare le glorie passate. Così, tra un “erano belli quei tempi” e “peccato sia finita tra noi”, siamo alla fine traghettati in chat segreta, trasformando il ricordo dei casti baci adolescenziali con quelli dei presunti coiti infuocati (tanto esaltati dall’altra parte, ma a cui con tutta sincerità non ricordo di avere mai partecipato in passato; specie ripensando a quanto ero timida e inibita a diciassette anni).

Coiti infuocati? Quando? Dove? Ma sei sicuro? Giuro che non mi ricordo di tutto questo ben di Dio. Ricordo solo la scia di saliva che mi lasciavi sul naso e sul mento dopo i tuoi goffi tentativi di bacio alla francese. Guarda, non vorrei disilluderti, ma proprio non ci sapevi fare

Nonostante l’unica vera trasgressione che ricordo di quel tempo fosse il bicchiere di Bayleys alle feste, ho finto di credere alle loro parole; in preda a un remeber nostalgico ho quindi ogni tanto ceduto al gioco della seduzione su whatsapp. E poiché ho collezionato un cospicuo numero di fidanzatini, a un certo punto mi sono ritrovata a gestire tante richieste di amicizia che venivano dal passato. Non ci crederete ma pareva di essere a C’è posta per te, con persone che riemergevano dal tempo come fantasmi, emozionati ed esaltati per avermi finalmente ritrovata. Naturalmente l’interesse di tutti loro non era tanto quello di rievocare la sera in cui ci prendemmo la colossale sbornia, bensì quella in cui poterono finalmente vedere il colore dei miei slip. Si è arrivati a situazioni grottesche. Come quella sera in cui, in una camera d’albergo intenta a conversare con un’amica, ho gestito contemporaneamente quattro chat con vecchi ex, i quali, evidentemente adempiuti gli obblighi nei confronti dei figli, dopo aver letto loro la favola della buona notte e assicurato alla compagna di trattenersi alzati poco, giusto il tempo di finire la lavastoviglie, non vedevano l’ora di dedicare qualche virtuale attenzione alla sottoscritta. Mentre con l’amica discutevo della sua ultima mostra di pittura, organizzata in una nota galleria di Milano, rispondevo premurosa a tutti i miei simpatici amici. Uno alla volta, senza che nessuno sapesse della presenza in linea dell’altro. Alle domande sul mio abbigliamento rispondevo in automatico: in pizzo nero. Alla successiva richiesta, che puntuale si interessava dello stato della mia eccitazione, ripetevo meccanicamente e distrattamente: tanto tesoro, mi pizzicano addirittura i capezzoli! Non ho trascurato di coinvolgere l’amica, ad un certo punto più interessata alle mie relazioni che all’arte contemporanea, contribuiva fattivamente, con consigli e suggerimenti, a far sì che l’atmosfera a casa degli ex si riscaldasse fino al limite dell’incendio; e i messaggi erano così assidui da non avere tempo di passare da una chat all’altra. Insomma mi trovavo in una narrazione continua, quasi un flusso di coscienza erotico.

Stanca di digitare risposte, e un po’ annoiata dalla banalità del loro sexting, ho quindi deciso di applicare con costanza la funzione copia e incolla: insomma, a tutti la stessa risposta. Arrivati al momento del Big Bang, insomma dello Spannung narrativo (e non solo di quello…), proprio sul più bello mi arriva la telefonata del mio compagno. Il quale mi fa: ciao, cosa fai di bello questa sera?

E io a rispondergli: Scusa, scusa… sono di fretta: ho in corso un’orgia virtuale. Ti richiamo poi.. , l’epilogo pare vicino…      

# sextingfrasidausare 
#sextingexfidanzati
#amorepersempreancheno
#spannunginnarrativa


     

lunedì 10 settembre 2018

Quella volta che non dimenticherò mai Episodio n. 4: è tutta una questione di tette




Breve premessa: ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti non è puramente casuale!

Durante gli appuntamenti di Evulvendo (rassegna di incontri che organizzo con l’aiuto di Donatella Tarozzi, counselor esperta in materia di coppia e Francesca Viola Mazzoni cara amica e brava attrice) ho raccolto la testimonianza di molte donne che vivono con difficoltà il sesso.

Quando domandavo loro del perché di tanta resistenza al piacere, le risposte che ricevevo erano diverse: chi non si sente più in sintonia con il proprio compagno, chi, invece con se stessa.

Alcune portano come scusa la fatica quotidiana, la noia e la mancanza di aspettative in un matrimonio diventato solida amicizia, altre ancora le trasformazioni che avvengono naturalmente nel corpo delle donne o con le gravidanze o con la menopausa.  

Sembra insomma che le donne rifuggano, in particolari momenti della loro vita, la possibilità di vivere pienamente e con soddisfazione la propria sessualità, fino a perdere il desiderio.

Talvolta, invece, è stata sufficiente che l’uomo pronunciasse una parola di troppo durante un rapporto, per far crollare l’autostima nella donna. Pertanto, senza scomodare Freud, è facile intuire che dietro al rifiuto del proprio corpo, può esserci un uomo disattento, superficiale e arrogante. Un uomo sciocco e narcisista, interessato a raccogliere trofei.

Qualche esempio? Una signora mi ha svelato che mentre era sul punto di fare sesso con l’uomo che amava, quel simpaticone le ha fatto notare che non era bella come la sua ex; ad un’altra, invece, è stata imposta una depilazione alle parti intime altrimenti poteva scordarsi un secondo appuntamento.

Per non parlare di amiche che hanno ricevuto critiche per come erano vestite o perché non erano mai abbastanza brave, belle, argute, spiritose, seducenti ecc…non tutte le donne hanno la prontezza di spirito di mandare a quel paese un coglione, qualcuna, ahimè, torna a casa ferita e delusa.  

Anche la sottoscritta lungo il percorso ha trovato qualche homo inutilis, un raro esemplare di cafone presuntuoso e ignorante. Mi ricordo di uno in particolare che ha avuto la pessima idea di farmi notare che il mio seno non corrispondeva ai suoi canoni estetici. Le mie tette erano troppo piccole e poco pronunciate.

Allora, per essere chiari: so bene di non essere una maggiorata e di essere costretta a sorreggere la ghiandola mammaria con ferretti e push up, ma in quel momento mi è sembrato così indelicato, e volgare da meritarsi una risposta immediata da parte mia. Così, con grande classe e voce ferma, gli ho intimato di riportare le mie tette immediatamente a casa aggiungendo che, mentre io potevo eventualmente migliorare la taglia di reggiseno, lui non avrebbe potuto più aggiungere centimetri né al pisello né al suo cervello sottosviluppato.  
#Intimissimipersempre
#IrinaShaykmodellaintimissimi
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#evulvendodonatellatarozzi
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lunedì 3 settembre 2018

Quella volta che non dimenticherò mai: episodio n. 3. Auto, ovvero “stamo a scarseggià de situazioni (cit.)”




Tutto quel che mi trasporta da un luogo all’altro evidentemente m’ispira; così, dopo il treno e l’aereo, non potevo non inserire nella mia top ten la cara e vecchia automobile. Del resto, ammetto candidamente di nutrire una particolare simpatia, da sempre, per il “sesso in viaggio”, rocambolesco e con quel tanto di pericolo da renderlo eccitante. C’è chi predilige un comodo letto, e chi come la sottoscritta per anni non ha potuto mai disporne. Vi ho già raccontato della mia vita precedente? Quando cioè mi aggiravo per l’Italia, tra uno scavo e l’altro, come una sorta di Indiana Jones della cazzuola? Si trattava di una vita affascinante, ma certo non semplice. Pala e piccone erano i miei strumenti di lavoro, e la carriola la cosa che maggiormente si avvicinava a un’autovettura; e se gli scarponi da cantiere facevano molto alternative, l’abbronzatura da muratore s’incaricava di ripristinare la triste realtà delle cose. Ammetto che c’è stato un periodo della mia vita in cui non solo avevo dimenticato l’esistenza di trucchi, di creme e di abiti carini, ma anche quella del caro e vecchio letto. Provate voi del resto a vivere decentemente in occasione di scavi in cui si deve stare tutti, a volte più di decina, all’interno di una stessa casa! Perché così tanti in un appartamento? Semplice, per ammortizzare le spese di affitto e sopravvivere fino al sospirato pagamento. Molte volte mi capitava quindi di dormire su brande o materassi di fortuna. Questo modo di vivere precario aveva evidentemente un’influenza sulla mia vita affettiva; e mi aveva rafforzato nella convinzione che fosse il caso di evitare ogni relazione stabile. Mi sarei dedicata solo allo studio, per diventare una donnina seria e ineccepibile. Tutti buoni propositi, puntualmente smentiti da qualche scivolata. Come ha sempre detto una mia cara amica: non ci si può negare ogni tanto un giro di giostra un po’ più lungo di altri. Ebbene raccontiamolo. Lui era qualche anno più grande di me, aveva un lavoro serio - non come la sottoscritta, sempre felicemente con il conto in rosso – e abitava in un appartamento opportunamente dotato di stanza da letto e vasca da bagno con acqua corrente. Non proprio come il mio tugurio, senza mobilio e con una doccia comune moooolto condivisa. Per non farsi mancare nulla era pure gentile, raffinato e di bell’aspetto. Dopo un po’ iniziavo però a sentire che la nostra storia era arrivata ai titoli di coda: troppo diversi, lui abituato ad avere più che a dare ed io… bhè io che non riuscivo più a sopportare le sue occhiate di riprovazione tutte le volte che indossavo i miei cari pantaloni da cantiere.  Lo sapevamo entrambi, stavamo soltanto decidendo a chi toccasse esplicitarlo. Così, per evitare il solito teatrino di lui che ti riporta a casa e poi ti lascia per sempre dicendoti le solite ovvietà, una sera ho deciso di uscire di scena lasciando una chiarissima traccia di me nella sua memoria. Una traccia indelebile, che avrebbe ricordato per tutta la vita.

La macchina sfrecciava sull’autostrada deserta e io inizio a sfilarmi un indumento dopo l’altro, seguendo il ritmo dettato dal rombo del motore. Ormai quasi nuda, arrivata cioè all’indumento dopo il quale nulla v’è più da sottrarre, ho scavallato il freno a mano e mi sono accomodata su di lui, il quale nel frattempo continuava a guidare. Attonito e stupito per la mia audacia. Con voce perentoria, iniziandogli a baciare il collo e leccare il lobo dell’orecchio, gli ordino di fermarsi alla prima piazzola libera. Bisognerà pure terminare quello che ho iniziato! Devo ammettere che a questo punto l’abitacolo s’era ormai trasformato in un forno, con i vetri completamenti appannati. Ansimando, il mio lui mi sussurra piano che vicino al finestrino pare essersi fermato un uomo interessato allo spettacolo, al che io mi giro e mi rendo conto che la piazzola nel frattempo s’era fatta molto affollata. Al nostro arrestarci, l’auto che ci seguiva aveva deciso di fermarsi anch’essa; ed ora il conducente, preso evidentemente da un sentimento di condivisione eucaristica, mimava quel che noi si faceva. Fuori e al freddo, poverino. Del soggetto in questione purtroppo non posso descrivervi il viso, che proprio non riesco a ricordare. Ma se volete, in privata sede,  vi racconto altre particolarità meno nobili. Alla fine possiamo dire che non solo il mio prossimo ex, ma anche altri abitanti del luogo, hanno potuto godere – e mai verbo fu più efficace – della mia ultima interpretazione quale fidanzata appassionata. Meglio di Eleonora Duse, da quelle parti sono ancora lì a domandare un bis…                                  
#CarloVerdone
#ClaudiaGerinifamolostrano

domenica 2 settembre 2018

Asilo per adulti: a Torino la prima nursery






Vuoi vedere che Pascoli, scrivendo del celeberrimo fanciullino, intendeva gli Adult Baby? Quegli adulti cioè che amano indossare pannolini, rompere giocattoli e ciucciare la tettarella del biberon? Ultimamente mi sono imbattuta spesso in articoli sugli AB, spesso legati a notizie relative all’apertura, in varie città italiane, di spazi dedicati a tale pratica. Ho quindi pensato che fosse opportuno sviluppare meglio l’argomento. Gli AB, come i Diaper Lovers – coloro che amano indossare i pannolini –, diventano bambini o bambine, con tanto di pannolini e di pigiamini colorati, facendo i capricci e giocando con sonaglini. Molti sono iscritti a community dedicate. Spulciando nei loro gruppi mi meravigliano le foto, soprattutto di giovani ragazze in pose provocanti. Attenzione, attenzione: il tutto avviene non con l’aiuto di calze a rete e di perizomi, ma indossando i pampers! A prima vista si potrebbe pensare a una pratica a pagamento, simile all’adescamento in rete con ragazze pronte a masturbarsi compiacendo il desiderio di chi sta al di là del video. Non è escluso che possa esserlo, ma la questione è che in questo caso l’aspetto erotico esplicito non sembra interessare i clienti (nella maggioranza uomini): nei regolamenti delle nursery per adulti, che stanno aprendo in diverse città, tra cui la più recente a Torino, traspare una sua assenza. Capiamoli meglio. Pare che il desiderio di vivere un’esperienza di questo tipo appartenga alla categoria dell’infantilismo parafilico, cioè una pulsione erotica caratterizzata dal desiderio di indossare il pannolone e di essere trattato come un neonato o un infante. A Torino, come a Roma, come a Milano o a Verona e a Napoli è data infatti la possibilità di dormire in una maxi culla, di essere cambiati su un fasciatoio (ovviamente rinforzato) e di giocare con altri adulti bambini. Proprio come in un nido (Il Messaggero, lunedì 6 marzo 2017).

Ma cosa si fa in una nursery di questo tipo?

Qui un adulto si sveste dei panni del perfetto manager, dell’architetto famoso, dell’irreprensibile padre di famiglia o dell’abile idraulico per indossare le tutone, le felpine, il pigiamone colorato e le calze antiscivolo. Una volta che si è così trasformato, ecco che il tipo ritorna il bimbetto di pochi anni che è stato tanto tempo prima, dalla giornata scandita dagli orari e dai riti degli asili veri e propri: l’accoglienza, la pappa, i cartoni animati, i lavoretti con le tate, il riposino e la merenda. E poiché si tratta di asili seri, chiaramente non viene servito alcun cibo-spazzatura o bicchiere di birra, Solo ed esclusivamente frutta e frullati. Si guardano poi i cartoni animati, e si disegna; si gioca infine con la plastilina. Si possono addirittura organizzare feste di compleanno con gli amichetti dove tutti applaudono allo spegnersi delle candeline. Le maestre e le tate hanno il compito di coccolarli, imboccarli e cambiare loro il pannolino. Su quest’ultimo punto gli organizzatori del nido ci tengono però ad essere molto precisi, sottolineando come, durante il cambio, non ci sia mai contatto tra le mani delle operatrici e le parti genitali degli adorabili bebé.

A questo punto qualcosa mi sfugge. Mi chiedo in particolare per quale strano motivo si debba pagare per giocare all’infante, specie se a ciò non è abbinata una soddisfazione di una qualche pulsione sessuale. Anche perché chi ama questo genere di pratica ovviamente lo fa per avere una gratificazione sessuale, anche se priva del coito. Del resto l’infantilismo parafilico appartiene alla classe di pratiche comprese nel BDSM, in quanto l’adulto in pannolino riceve piacere dall’essere sottomesso e diretto dalle proprie maestre, le quali, pur definendosi esperte, non credo proprio possano pretendere di essere inserite nella famigerata graduatoria scolastica della terza fascia! Spesso sono invece Mistress, che al gessetto di solito preferiscono il frustino. In ogni caso continuo a rimanere perplessa, chiedendomi perché alcuni uomini debbano pagare, pare anche profumatamente, per vivere un’esperienza di questo tipo. Basterebbe attendere qualche anno e gli stessi si ritroveranno a vivere tale regressione in tutta naturalezza, e pure con pannolini gratis perché mutuabili, e magari godendo dei servizi offerti da una nerboruta e vera badante. Basta solo attendere…     

Per maggiori informazioni:

www.thesocialpost.it (28 agosto 2018)

www.affaritaliani.it (21 marzo 2018)

www.abnursery.it (dove trovare le date e le location degli eventi)

Barbara Costa, Pornage, edizione Il Saggiatore, pp. 189- 196