Consigli per una vita di coppia felice e per una singlitudine serena, senza troppi sensi di colpa.

domenica 22 ottobre 2017

Recensione per un amico: Poesie ritrovate



Poesia ritrovata? Sì, poesia ritrovata; perché in questi ultimi anni, così pragmatici e rozzi, ci siamo un po’ dimenticati dell’esistenza della poesia, definita dall’armonia e dalla bellezza. Forse perché irrimediabilmente distratti dal “logorio della vita moderna” (per citare una nota réclame liquorosa); forse perché chiusa in un qualche cassetto della memoria, tra le pagine di un’antologia scolastica ed i bigliettini inviati un tempo dai primi spasimanti. Si tratta però solamente di un’impressione, perché, in realtà, la poesia, quella vera ed appena sussurrata, ci è sempre stata accanto; avvolgendoci, muta ed immobile, in supplice e paziente attesa che il nostro sguardo distratto decidesse una buona volta a soffermarsi su di lei.
No, la poesia non se ne è mai andata: siamo noi che, ad un certo punto della nostra vita, abbiamo preferito volgere lo sguardo altrove. E, pieni di presunzione, abbiamo deciso di proseguire il nostro viaggio senza più curarci del melodioso ed indispensabile canto delle sirene. Quale che sia il motivo è difficile da dire, perché spesso non ce n’è mai uno solo. I più smaliziati potrebbero imputare il tradimento consumato nei confronti del verso lirico ad un orecchio pigro, disposto ad ignorare la voce della grazia piuttosto che impegnarsi nel conservarla e difenderla. Altri fanno la stessa scelta perché convinti che, nell’età adulta, non ci si possa permettere di concedere spazio al sogno. Qualcun altro infine decide di ignorare la poesia semplicemente per paura (di amare troppo, di svelarsi al prossimo o di lasciarsi sopraffare dalle emozioni). Sembra dunque meglio “evitarsi” ora ai sentimenti intensi, per non rischiare di soffrire poi.

In Poesie ritrovate (Monetti Editore) Luigi Genghi torna alla presenza della poesia. Coraggiosa e semplice, recuperata dalla memoria ed afferrata nell’istante stesso in cui prorompe. Trascritta per essere assaporata e ricordata, in un angolo protetto del cuore. Abbiamo a che fare con un romantico artista, cantore della poetica della strada, capace di scovare i significati reconditi all’interno di ogni più piccolo frammento di quotidianità. Poesia diventa così un volto appena intravisto, i segnali dell’arrivo della nuova stagione, coi suoi profumi ed i suoi colori, le orme lasciate su d’una spiaggia calpestata d’inverno, l’assenza di presenze vive, i vicoli silenziosi percorsi dal vento o dal sole, che posa sulla montagna “inerme”. Si tratta di versi semplici, ma ricolmi di nascosta intensità; sono parole di chi ha vissuto una vita piena, dove l’attesa non fa – in fondo – più così male. Ci chiediamo così, assolutamente stupiti, quanto duri la felicità; soprattutto per chi ha già visto le primavere sbocciare, l’una dopo l’altra, come grani di un rosso rosario. La risposta per Genchi è disarmante, al limite del banale per quanto affonda nell’essenza immutabile delle cose. La felicità? Dura tanto quanto dura l’Amore.  
Tra le righe emerge infatti, a poco a poco, l’oggetto primo di tanta passione: la figura di una donna, sensuale e raffinata, dalla pelle liscia e profumata. Un’immagine femminile tratteggiata appena, con delicate e veloci pennellate impressioniste. In questi versi, essenziali e liberi da qualsiasi costrizione metrica, dove quel che rimane pare essere solo un infinito richiamarsi di assonanze e consonanze, pare non sia necessaria la descrizione di una sessualità esplicita e sfacciata. Sarebbe un di più, effettivamente. Perché è sufficiente una spalla nuda, ed il lettore potrà correre immediatamente col pensiero alla dolcezza di un letto sfatto e caldo. I settanta componimenti di Luigi Genghi si compongono dunque di versi sereni e delicati, trasparenti come il cielo che segue il temporale. E la luce che domina tutto è quella dell’estate. Non a caso le parole più ricorrenti sono quelle ariose e limpide, che alludono ad una dimensione di infinito possibile; dove tutto può trovare un nuovo inizio, basta che lo voglia. Così il sogno, il silenzio, il vento e il mare ci accolgono nel suo paesaggio poetico, fatto di giochi dei bambini sulla spiaggia, di fila di ombrelloni chiusi al crepuscolo, di salmastro odore di marina fuori stagione, quando l’aria rinfresca ed il turista non è più che un vago ricordo. Per usare le parole dell’autore:     
Il poeta vive in un mondo sommerso nei sentimenti. Un mondo caleidoscopico, ha un’anima leggera, trasparente ed opaca allo stesso tempo.




lunedì 16 ottobre 2017

Un regalo inatteso



È mezzanotte: auguri! Ebbene sì, sono più vecchia di un anno. Ma in fondo chissenefrega, è da tempo ormai che non carico più la rotellina dell’orologio da taschino. Meglio così, perché il confondere tra loro i giorni e le stagioni consente di meglio affidarsi ai ricordi più belli; a quelli che sono ormai a tal punto trasfigurati da confondersi col presente.
Auguri piccola, è mezzanotte. Hai un anno in più, e sai che, quando domani mattina di sveglierai, ti guarderai allo specchio e ti ritroverai uguale a ieri. Perché non è capitato nulla di irreparabile, ed è solamente un compleanno. Al mondo c’è ben di peggio che un genetliaco da celebrare controvoglia! Eppure c’è qualcosa che ti scava dentro: che sia la paura di invecchiare?
Così ti spogli lentamente, distrattamente, come sempre in fondo. Stasera non hai però voglia di struccarti, perché a cena eri bellissima (e sai bene come il trucco aiuti a preservare quel precario equilibrio che hai saputo sfoggiare al ristorante, quando il signore affascinante non ha saputo resistere al desiderio di girarsi per rimirare il tuo ancheggiare). Indossi dunque il pigiama di seta blu, lasciando che la sottile stoffa scivoli per le gambe accarezzandoti le natiche. Togli il reggiseno, l’inutile orpello che ogni tanto indossi. Hai sempre preferito un seno piccolo, al punto da fasciartelo per non apparire troppo femminile al tempo dell’adolescenza. Non più; perché da tempo hai fatto pace con lo specchio e le tue paure sono a poco a poco svanite. Il seno cade un po’, e la pelle non è levigata come un tempo; i tagli cesarei si sommano come un confine impietoso appena sopra al pube. Come una sorta di monito, per tutti coloro che volessero avvicinarsi; un avvertimento: non sarai mai una delle tante o una scopata leggera, perché comunque vada, hai sempre una storia con cui fare i conti. Quella tracciata da tre bisturi anni fa.
Ti infili allora sotto le coperte, aspettando che lui chiuda le luci e ti raggiunga nel letto. Al momento non avete motivi per altri letti.  
«Buona notte», dici.
«Buona notte anche a te», risponde lui.
Ti giri sul fianco, come sempre rassicurata dalla sua presenza vicino.
Anais Nin
Non si parla moltissimo, perché da mesi si è impegnati nelle rispettive carriere; ma è comunque un periodo tranquillo, con l’ascia di guerra sotterrata e il sorriso pronto ad allargarsi. Qualche volta ci si incontra a metà strada, tra un appuntamento di lavoro ed un altro. Spesso non si parla proprio, per evitare di aprire vecchie ferite o per non infliggerne di nuove. Ma si beve insieme, e si progettano libri. Così, rassicurata dal momento positivo, lasci che le tue natiche si incollino al corpo di lui (un’esperienza naturale per due che si conoscono da così tanto tempo). Ti lasci abbracciare, e senti il suo respiro accarezzarti la nuca. Chiudi gli occhi e aspetti di prendere sonno, rilassata e addomesticata in quell’abbraccio. Quando senti la sua mano che ti spoglia, svelando delicate le tue natiche. Provi a dire una cosa del tipo «no, dai»; ma ti escono parole smorzate, col respiro che tradisce il desiderio. La mano prosegue decisa nel suo percorso sulla tua pelle, ed a poco valgono i tuoi tentativi di resistenza (perché sei già completamente in balia della sue carezze).
Il pigiama è ormai lontano, caduto ai piedi del letto. La sua mano scosta lo mutandine, incominciando a giocare con esso, spingendolo e tirandolo, avanti e indietro, come un tormentato e favoloso tiro alla fune. Poi lo senti infilare con decisione le sue dita, che forzano le cosce ancora serrate; e senti alle spalle la sua erezione che aumenta, e che ti preme nell’incavo, giusto tra la schiena e le natiche. Sei eccitata, molto; e strofini il tuo corpo contro il suo, chiedendogli di prenderti una buona volta. Anche perché sai che a lui piace introdursi con forza, come sai che opponendogli una qualche resistenza il suo desiderio aumenta. Non questa volta, però.
Inaspettatamente ti sussurra dietro l’orecchio di tacere, imponendoti di non dire più alcuna parola; comprendi allora che questa sera le carezze saranno tutte tue, e che non dovrai fare nulla. Assolutamente nulla. Che dovrai solamente ascoltare il ritmo del tuo orgasmo, che a poco a poco cresce e puntualmente arriverà. Dunque ti lasci andare, senza frapporre limiti e barriere, ringraziando per questo dono inaspettato. Perché non è abituale anteporre la felicità altrui alla ricerca della propria.                   

giovedì 12 ottobre 2017

11 ottobre, tra giornata del Coming out e giorno delle ragazze

Qual è il mio personaggio preferito del Delta di Venere
Su questo non ho alcun dubbio, si tratta di Bijou: la donna più sensuale della letteratura (quanto meno per me); quella col fare da bambola arrendevole, dolce e plastica, impossibile da dimenticare per uomini che desiderano tanto raccontarsi come conquistatori. Una figura che Anaïs Nin ha disegnato in maniera indimenticabile, proprio per l'immediata e irriflessiva disponibilità al piacere, per il desiderio di offrirsi alle mani maschili quale pasta da modellare, per l'assoluta dedizione, santa ed al tempo stesso puttana. E Bijou si lascia attraversare dall’emozione, senza opporre alcuna resistenza; e senza commettere nessun tipo di peccato. Ecco, a mio parere Bijou è perfetta per assurgere a simbolo della giornata internazionale del coming out e delle ragazze.
Ma quale relazione può esservi tra questi due “memento”, che ieri affollavano le bacheche di mezzo mondo?
Forse non esiste relazione; oppure una relazione c'è, ed è quella data dall'esistenza in noi di una trama fatta di mille sottili fili rossi, che s’intrecciano e si stringono tra loro, fino a formare spesse gòmene. 
A volte ne riconosciamo la presenza, altre volte preferiamo fingere indifferenza. 
Per quel che conta entrambe le “ricorrenze” mi solleticano, e mi parlano al profondo. 
Giornata internazionale delle ragazze?  
Ce l'ho, indubbiamente; è la biologia a dirlo, oltre che l'appena superata maggiore età. 
Giornata internazionale del coming out
Ce l'ho! Da appartenente al genere femminile è del resto quasi inevitabile che mi senta coinvolta anche dal coming out
Perché dico questo? Perché da tanto tempo penso che l’amore non risponda ai confini, e che le distanze sono sempre percorribili (basta avere scarpe sufficientemente resistenti). Sono convinta pure che le carezze non abbiano sesso, e che le mani, che prendono e danno, siano sempre generose. Anche quando quelle mani sono femminili. Chi del resto, tra noi ragazze impertinenti, non ha mai provato attrazione per un’amica? Una forte passione che, improvvisamente, ti fa dubitare della tua appurata eterosesualità? 
A me è capitato, e questo mi ha convinto, in modo definitivo, che in amore non esistono confini, e che gli unici elementi architettonici degni di considerazione sono i ponti (quelli belli, a tante arcate, che uniscono rive tra loro anche molto lontane). 
Alla stazione di partenza del viaggio che si chiama amore il primo treno che mi attirò fu ad esempio un treno rosa, colle sembianze allegre di un'amica del tempo dell'infanzia. No, non fate quella faccia: il sesso proprio non c’entrava nulla, perché in quel caso il problema stava piuttosto nell'imparare a gestire quella materia incandescente che sono i sentimenti. 
A partire dalla gelosia soffocante che mi prendeva alla gola quando lei prestava attenzione ad altri, fermandosi all'intervallo a chiacchierare con altri e non con me. 
Perché con me, e solo con me, doveva stare!
Non è forse questo un amore fortissimo? Cos’altro può far decidere di condividere i vestiti, le canzoni, gli interessi, i desideri e le paure? Io volevo essere lei, e lei – ne sono sicura – voleva essere me. Il tempo ci è amico, e oggi tutto ciò ci pare meno strano e morboso. Siamo più abituate a riconoscere questi sentimenti, anche grazie alle pagine scritte da autrici come Elena Ferrante (che trovo geniale, per la capacità nel cogliere, nella tetralogia dell'Amica geniale, la complessità di queste arabescate dinamiche femminili).
No, astenetevi dallo scuotere la gravemente testa; e non dite che le mie parole rischiano di aggiungere confusione nelle menti delle giovani fanciulle. Perché noi donne sappiamo bene, anche quando ci rifiutiamo di ammetterlo pubblicamente, che è tutto, davvero tutto, tremendamente vero; e conosciamo la terribile costrizione del sentimento dell'esclusività, anche quando si tratta di scegliere la migliore amica in prima elementare (e da quel momento riversiamo su di lei dolcezza e sadismo, in personalissimo blend che proprio impariamo allora a creare). Ci sono inoltre terribilmente abituali i tormenti vergati in mille pagine di diario, le confidenze ed i giuramenti, magari stretti nelle lunghe notti dei pigiama party, ed i malumori improvvisi e le odiose ripicche. 
Tuttavia ogni cosa serve, ed ogni cosa ti fa alla fine comprendere come l’amore altro non sia che amore; e come vi sia una dannata, enorme, clamorosa differenza tra quel magnifico sentimento ed il terribile desiderio di “possedere”. 
Quanta fatica però, che devi scontare goccia a goccia. A partire dai corridoi della scuola, quando in una frazione di secondo interpreti il tono di un saluto (e da quella traduzione dipende il resto della tua giornata). Per fortuna arrivano alla fine i ragazzi, e quel mondo assolutamente binario inizia a frantumarsi, travolto da un richiamo decisamente più brutale (quasi ancestrale, si potrebbe dire). Sei ad una svolta; alla svolta (vale forse la pena di dire che ho sempre pensato a quel preciso momento, quando cioè la curiosità di sperimentare le emozioni “lette” su giornaletti prevale sulle emozioni fin lì direttamente vissute, che si decida dell'orientamento che avrai in futuro).
Ma torniamo a me. 
La mia cara amica d'infanzia trovò il suo primo ragazzo, ed improvvisamente prese il largo da me, come un gommone improvvisamente trasportato via dalla corrente; ed io avrei seguito dopo qualche anno, combattuta tra ripulsione per rospi che non si desiderava baciare e desiderio di principi che proprio non parevano avere intenzione di palesarsi. E la vita fece il suo corso, con le fasi sempre uguali e sempre differenti che tutte noi viviamo.
L’intensità di quegli anni di iniziazione li porto tuttavia sempre con me, nel profondo del mio cuore; ed è proprio nel loro ricordo che mi sono col tempo convinta della giustezza di quel che oggi credo. A cosa credo? Che l’amore non è mai uno scontro tra due opposti, bensì una palestra che consente di imparare sempre cose nuove; che l’amore è un donarsi l'uno all’altro, con rispetto e con riconoscenza, smussando qualche angolo ed accettando tanti compromessi, senza mai tradire noi stessi e quello che siamo.
Ah, un'altra cosa credo di avere imparato bene; e cioè che non si deve mai avere paura delle emozioni, e non si deve mai rinunciare ad amare chi ci pare. Uomo o donna che sia.

E questo Bijou ce l’ha insegnato molto, ma molto bene. 

lunedì 9 ottobre 2017

Anatomia del triangolo. Istruzioni per l'uso

Giulio Perrone, Consigli pratici per uccidere mia suocera (Rizzoli, 2017)


Con l’età che avanza ritenevo d’essere diventata finalmente saggia; invece eccomi qui a raffigurarmi come una “simpatica canaglia” quel gran fetente di Leo, il protagonista del romanzo di Giulio Perrone. 
Film già visto, il mio. E mi chiedo: sarà mai possibile che debba venire come al solito attratta da questi uomini-bambini, incorreggibili Peter Pan che proprio nulla paiono poter fare contro il richiamo del testosterone? Perché questo è Leo, un fascinoso scrittore, perennemente indeciso tra l’amore per due donne, insopportabile eppure accattivante. Insomma, avete capito benissimo del soggetto di cui stiamo parlando: del simpatico stronzo. Sì, proprio dell’uomo che ti conquista col suo occhio da triglia; e che, nell’istante stesso dell’ottenuta vittoria, inizia già a pianificare le mosse per raggiungere la nuova preda.
Conosco il soggetto, anche perché ho sperimentato entrambi i ruoli, sia quello della “seconda donna in campo”, costretta ad occultare le tracce (ma con la quale, ovviamente, ci si diverte parecchio), sia quella che finisce per essere inevitabilmente abbandonata, sostituita dalla più giovane sciacquetta (ma tanto cara, praticamente per la badante a cui non devi neppure pagare i contributi…). Mi ripeto quindi che un libro siffatto non dovrei neppure aprirlo, in quanto troppo simile ad una fotografia della mia vita; e perché so già che, se dovessi anche solo sfogliare la prima pagina, finirei di sicuro per trovare giustificazioni anche per la condotta di Leo. 
Come direbbe Ben Volpeliere-Pierrot, Curiosity killed the cat… 
E la curiosità ha finito per far lasciare lo zampino anche alla sottoscritta. Quindi, nonostante la bile che montava, paragrafo dopo paragrafo, borbottando come una vecchia – no, vecchia proprio no… diciamo vintage – pentola a pressione, mi sono fatta prendere dalla vita rocambolesca del Leo protagonista. Un tombeur des femmes navigato, eppure incasinato come pochi altri, stretto tra una giovane compagna, fresca come una limonata ghiacciata in pieno agosto, ed una ex moglie ammaliante, strega di bellezza e d’incandescente erotismo. E sia! Alla fine ho letto tutto d’un fiato, curiosa di comprendere come si sarebbe alla fine conclusa questa storia di amori triangolari, sgarrupato come pochi altri, vissuta con lo sfondo bohémien del quartiere di San Lorenzo a Roma.
Partiamo dai fondamentali, ovvero il protagonista. Leo è uno scrittore quarantenne, che si lascia vivere surfando con leggerezza sull’onda degli eventi che gli capitano Il grande fatto della sua vita è la separazione da Marta, donna affascinante e sensuale, che lo ha sbattuto fuori di casa dopo averne scoperto il tradimento; così, quasi per necessità, Leo inizia una convivenza poco coinvolgente con la giovane e bellissima Annalisa. 
Nulla di nuovo sotto il sole, sapeste voi care amiche quanti ne ho incontrati nella mia vita di questi narcisisti senza speranza, molto più attratti dall’autocommiserazione che dallo spirito d’azione…. Il profilo di Leo è del resto tracciato dalla la sua psicologa, la quale afferma che lui «sembra proiettare le sue emozioni solo sulle persone che non potrà vivere veramente, lasciandosi andare a quello che accade con l’inconsapevolezza di uno sciocco che in realtà non è».
Ma lasciamo perdere Leo, perché forse le vere protagoniste del romanzo sono le due donne, figure antitetiche come più non si potrebbe. Da un certo punto di vista, poli alternativi della femminilità. Da una parte c’è la donna matura, forse troppo cinica e disincantata, ma dal fascino forgiato dall’estrema sicurezza in se stessa (a partire dal cospicuo conto in banca posseduto); dall’altra c’è la giovane, di grande avvenenza ma incapace di operare la muta da quell’esoscheletro irritante della sua perfetta bellezza. Insomma, troppi sorrisi e troppi “ti amo”, troppa poca cellulite sulle chiappe e troppe poche rughe in viso (proprio non si può reggere!). Leo finisce per fungere da metronomo, perennemente in bilico tra l’una e l’altra; tra una storia appagante in virtù di un sesso veramente ben fatto e una storia tranquilla che vezzeggia l’ego assai più che il membro.
Ah sì, dimenticavo che Leo è uno scrittore, e, tra un amplesso e l’altro, deve anche lavorare… Tra le pagine più spassose vi sono sicuramente quelle in cui si racconta la vita di redazione, squadernando un repertorio di bozzetti umani senza pari, dal Leopardi che ha salvato la casa editrice grazie al romanzo colla casalinga veneziana sessualmente disinibita come protagonista; al Cristiano vegano, oltranzista e ipocondriaco. Tutti quanti, nessuno escluso, si sforzano di compiacere il capo presuntuoso, inconsapevolmente privo di doti artistiche, assecondandone il tentativo di trovare sempre nuovi e surreali modi per eliminare una suocera (questo dovrebbe essere il soggetto del romanzo giallo che si vuole mettere in produzione). Alla base di tutto pare esserci il desiderio di Leo di non decidere, di mantenere la dolce e comoda ambiguità della relazione a tre, fatta di sesso pirotecnico con l’ex moglie e di sereni abbracci colla giovane di lui adorante. Accanto alla trama divertente e spumeggiante, colpisce infine il ritmo incalzante e la spontaneità del linguaggio. E nonostante il tema pruriginoso, che parla di relazioni amorose complesse, di crescita personale, voluta o imposta, di perdono tra consanguinei e di infinite possibilità di riappacificazione tra generazioni, la sensazione che ci pervade, dall’inizio alla fine, è quella di avere a che fare un romanzo garbato e in cui prevalgono i buoni sentimenti. La conclusione? Io certo, care amiche, non ve la dirò… ma sappiate che la conquista dell’uomo Peter Pan è sempre effimera, e nonostante tutti i vostri sforzi il lupo perderà sempre il pelo ma certo non il vizio!

Pertanto, care amiche una volta che vi siete liberate di un ex, perché riprenderselo? Lasciamolo pure alla giovane badante tanto motivata che, a differenza nostra, sembra decisamente più portata per una vita davanti all’asse da stiro. 

lunedì 2 ottobre 2017

L’insostenibile leggerezza della vagina, Due libri a confronto.

L’Enciclopedia della donna. Aggiornamento (Valeria Parrella, Einaudi) e Il frutto della conoscenza (Liv Strömquist e S. K. Milton Knowles, Fandango)  

Di quello che preferiscono gli uomini non me ne frega niente

Si tratta di una citazione del libro di Valeria Parrella, un libro talmente irriverente e liberatorio che bisognerebbe prescriverlo come farmaco a tutte le donne, prima e dopo i pasti, specie quando si percepisca un iniziale sintomo di senso di colpa o vittimismo; un libro, insomma, che ammetto tranquillamente avrei tanto voluto scrivere io. Che sia un segnale di svolta? Mi scopro infatti a pensare che, se tra i banchi della libreria posso oggi trovare un libro come questo, allora ciò significa una cosa solo: che le donne hanno finalmente imparato, dopo le pionieristiche sollecitazioni date da Paura di volare, a farsi beffa dei pregiudizi e dei divieti morali. Magari scoprendo il piacere di non provare alcun rimorso ripensando alla notte prima, quando, novelle Emanuelle, ci si è allungate feline sulle poltrone alla ricerca di un qualche sconosciuto viaggiatore a cui dedicarsi. Iniziamo così col dire che si tratta di un libro divertente, che non infiocchetta la realtà delle cose e che parla molto semplicemente di sesso. Ferme lì, vi sento mugugnare a bassa voce; so bene come possa sembrare impossibile, nell’epoca di Pornhub, potere parlare in modo realmente innovativo di questo tema. Eppure è così, credetemi. Ad esempio, nella Enciclopedia della donna non troverete mai l’idealizzazione dell’atto sessuale, magari latamente associato all’immagine della felicità a due. Perché nel libro si tratta solo del piacere declinato al singolare, e neppure di quello “olistico” (che coinvolge e fa bene a tutto il corpo). Qui il fuoco dell’attenzione è unicamente centrato sulla F***. Si, avete proprio letto bene; e non fate quelle faccette allibite. Valeria Parrella ci svela infatti l’esistenza dell’acqua calda, ovvero che l’interesse della F*** non ha sostanzialmente nulla a che fare colle ragioni del cuore o del cervello. Del resto non è così che funziona per il collega maschile, quello cioè che condivide con la F*** sia la latitudine che la longitudine? Se al C**** non viene richiesto di farsi guidare dal sentimento, perché mai alla F*** non dovrebbe essere consentito di fare altrettanto? La cosa evidentemente un po’ ci turba, anche perché noi donne siamo le prime a sostituire questa incriminata parola col più accettabile e ginecologico lemma di “vagina”. Quindi riappropriamoci della parola F***, che spazza via tante ambiguità; perché il termine in questione è fisicità pura, con un valore denotativo che non ammette confusione, uso di vezzeggiativi o di immagini romantiche. Anche grazie a questa parola, così semplice e così immediata, il romanzo di Valeria Parrella si candida apertamente quale sfrontato aggiornamento della famigerata Enciclopedia della donna. Quel vecchio testo, largamente diffuso negli anni Sessanta, regalato dalle madri alle figlie con l’obiettivo esplicito di fornire loro un manuale che si potesse usare per impostare una sana familiare, condita di consigli per imparare a bene rammendare e a ben cucinare, per dimostrare di sapere accudire il prezioso maritino e gli ancor più favolosi pargoletti, aveva bisogno infatti di una bella spolveratina. Allora l’aggiornamento scritto da Valeria Parrella dovrebbe essere scaricato da tutte le donne, esattamente come si fa per l’ultima versione di Windows o di Android. Anzi, dirò di più: l’aggiornamento scritto da Valeria Parrella dovrebbe essere regalato e fatto leggere agli amici maschi, perché in realtà le donne da tempo sanno che l’immagine di loro proposta dalla pubblicità non esiste più. Toccherebbe allora all’altra metà del mondo rendersi conto di come noi donne non crediamo più da tempo alle storie proposte da Liala, e se pure quei romanzetti leggiamo è solo perché speriamo sempre che dopo il bacio appassionato con l’aviatore in divisa bianca leggeremo del momento in cui la protagonista gli toglierà di dosso tutti i vestiti. La notiziona che dunque mi sento di dare è che, alle donne, la “scopata senza cerniera” di Erica Jong piace solitamente assai più che il romantico abbraccio tra gli innamorati del Titanic. Stavo leggendo questo simpatico inno all’erotismo ironico e leggiadro, quando mi è venuto spontaneo associare tale testo ad un altro libro: Il frutto della conoscenza di della fumettista svedese Liv Strömquist. Cosa li accomuna? Anzitutto il fatto che entrambe le autrici, la Parrella attraverso il romanzo, la Strömquist usando il linguaggio della graphic novel, rivendicano il diritto della donna a non provare vergogna rispetto al desiderio di godere di una vita sessualmente attiva e spregiudicata. Al pari della Parrella, anche Liv non si fa dunque distrarre dalle voci esterne. Punta così il fascio di luce direttamente sull’organo femminile, quello che da sempre è l’oggetto morboso del desiderio maschile (e che, paradossalmente, le donne finiscono invece assai spesso per dimenticare; come se non appartenesse al loro corpo, per sbaglio dislocato alla congiunzione delle due cosce). Così, ripercorrendo le diverse fasi storiche dell’umanità, l’autrice denuncia le credenze popolari e le opinioni malsane; così come rimprovera le costrizioni che soffocano il naturale rapporto tra la donna e la sua vulva, le limitazioni che impongono divieti castranti e pratiche mediche ingiuriose. Come quella che considerava l’orgasmo alla stregua di una malattia che la donna doveva assolutamente evitare. E così la storia è purtroppo costellata di uomini in camice, che dall’alto del loro stetoscopio propongono l’asportazione del clitoride come mezzo necessario per calmare il “naturale” isterismo delle donne. L’obiettivo di entrambe le autrici è dunque il medesimo: fare tornare la donna ad essere pienamente consapevole del suo diritto di essere padrona del proprio corpo. Si veda allora la figura urticante proposta nel romanzo della Parrella, perché la cinquantenne Amanda è una donna in carriera, madre di due gemelli adolescenti, che non ha alcun problema col proprio corpo. Non teme gli anni che passano, anzi si sente sempre più libera e gestisce con abilità la sua vita privata. Per lei il sesso è continua sperimentazione, fonte di conoscenza di sé e dell’altro. Così Amanda decide di bandire la parola amore, preferendovi un sesso vissuto come «sempre e solo un presente», una cosa che «esiste finché c'è, poi svanisce, che meraviglia, come l'alcol di un profumo, e lascia solo una vaga essenza sul corpo». Amanda rifiuta qualsiasi svenevolezza femminea, concedendosi al completo appagamento dei sensi; non prova alcun tipo di gelosia, e pretende di non essere limitata nel suo desiderio di libertà e ricerca sessuale. Usando moltissima ironia, in un profluvio di battute rapide ed incisive, Valeria Parrella ci rende più consapevoli, sicure e dotte; esattamente come fa Liv Strömquist, che, sdoganando il ciclo mestruale, denuncia l’ipocrisia del linguaggio usato nelle pubblicità per gli assorbenti. Insomma, si tratta di due libri che ci ricordano come si forse giunto il momento di rispolverare i gonnelloni, ritrovarci tutte assieme in una piazza ed urlare felici ancora una volta: l’utero è mio e lo gestisco io!

Ops, credo che serva l’aggiornamento… forse si dovrebbe urlare, con coraggio e spudoratezza, la F*** è mia è come io voglio la do’ via!