Consigli per una vita di coppia felice e per una singlitudine serena, senza troppi sensi di colpa.

mercoledì 27 settembre 2017

Quando l’amore lascia segni

Sono sempre stata attratta dalla letteratura erotica, fin dai tempi del liceo. E ho pure due libri che adoro, che ho sfogliato fino alla consunzione delle pagine. Del Delta di Venere, mi piacevano le atmosfere conturbanti, spesso capaci di imporsi alla stessa trama delle storie; di Histoire d’O mi affascina il turbamento vischioso e nero che il racconto lascia in me. Entrambe parlano di sottomissione e di violenza, di ingiustificabili eccessi e di segni crudelmente lasciati sulla pelle. Tutto ciò, perché nasconderselo, è tremendamente sensuale.
Quel che un tempo sarebbe stato frettolosamente etichettato come “perversione”, oggi possiede invece un pedegree ed un nome che fa decisamente chic. Perché il bondage è ormai sulla bocca di molti, sdoganato da libri campioni d’incasso e conseguenti filmetti per pubblico di bocca buona. Ma il bondage è una filosofia, non una questione di tecniche di annodamento (manco si trattasse di una specialità per “Giovani Marmotte”); è un affare serio, che mette in gioco emozioni potenti (la paura, il sadismo, il possesso, l’abbandono) e squaderna intimità fin lì ben nascoste. Farsi domande sul bondage vuole quindi dire non limitarsi ad un articoletto di costume, buono per solleticare il risolino imbarazzato della signora dalla parrucchiera, ma ci costringe ad una riflessione preliminare scomoda. 
E se tutto questo, che la morale comune etichetta come “robe da malati”, in fondo mi piacesse? 
Forse che la predisposizione per i corsetti, i velluti e le mascherine mi parla di un desiderio latente, che magari aspetta solo il momento giusto di palesarsi? 
Del resto la mia curiosità ha derivazioni nobili, che non sembrano legate alla semplice soddisfazione della libido. Parte dalle tante letture, intrufolandosi nei territori dell’arte pittorica e della fotografica; campi dove il sesso pare potere essere finalmente rappresentato senza falsi pudori borghesi, per la sua ancestrale capacità di fungere da chiave di lettura, ora e sempre, dei moti inconsulti dell’anima. Si pensi ai tanti artisti che hanno rappresentato corpi costretti, torsi ed arti avvinghiati da cinghie e da lacci, pose oscene e sante, capaci di evocare il vizio come la santità. Anche il BDSM, a dispetto della lettura parodistica prodotta da giornaletti e scandalismo d’accatto, nella sua teatralità esasperata rimanda al desiderio artistico, surrealista quasi, di rappresentare la realtà contemporanea. Cosa allora meglio di un dipinto del pittore Saturno Buttò (https://www.facebook.com/Saturno-Butto-60953827784/), o negli scatti del fotografo siciliano Turi Avola (https://turiavola.carbonmade.com/)?  



Come prima lezione, propedeutica, si può dire che questo è un mondo dove non sentirete mai pronunciare la rituale frase: vorrei tanto fare sesso stasera, purtroppo ho un terribile mal di testa (oddio, potrebbe anche… probabilmente finirebbe però per essere interpretata da partner come un invito ad utilizzare sull’arto dolorante, in maniera letterale, una terapia d’urto). 

Come seconda lezione, d’introduzione, si potrebbe aggiungere che, contrariamente al quel che normalmente si pensa, non si tratta di un mondo di bieca violenza e cieca sottomissione. Basterebbe fare un giro sulle pagine di moltissimi sex blogger, che spiegano tecniche ed illustrano risultati, raccontano storie e insegnano come aggiungere pepe alle vite ingrigite dalla sciapa “missionaria”.


Ma di cosa parliamo quando diciamo amore alternativo? Dell’amore costretto dalle corde e della bellezza disegnata dal frustino sulla natica nuda? Oppure dei segni interiori che rimangono dopo avere avuto un tale tipo di rapporto? Per capirci qualcosa non si può dunque non partire da noi stesse, senza farci condizionare dai tabù che ci autoimponiamo. Allora, come l’acolista anonima che si autodenuncia in apertura di riunione, anche io posso affermare: 
Salve, sono Ilaria e anche io amo l’amore che mi lascia qualche traccia sul corpo! 
E, parlando molto colle amiche, posso assicurare che quel gruppo conterebbe davvero tante e tante persone…Ma cosa ci piace di quella mortificazione? Forse quel che ci piace sono proprio i segni che rimangono, che ci ricordano l’essere state possedute, lacerate, strappate…. Insomma, che ci ricorda come ci siamo concesse interamente, mente, corpo ed orgoglio, all’uomo che amiamo. Ecco, le sento le voci che si alzano, le vedo le dita rabbiosamente spinte verso l’alto per domandare parola… Vi capisco, se fossi in voi anche io nel pubblico pagante mi inalbererei: ma come? Dopo tanti anni di femminismo, di discussioni furiose e di costose sedute dagli psicanalisti, siamo ancora qui a fremere per un uomo dominatore? Un maschio che impartisce ordini umilianti? Si tratta di una domandona, ne convengo. Perché rimane difficilissimo capire come possiamo sentirci attratte, ancora più che da un uomo, da un siffatto meccanismo.
Il cinema può aiutare, per meglio completare il percorso di autoanalisi, se non proprio per darci le risposte cercate. Come non ricordare le conturbanti scene del Portiere di notte? Come non andare a quel gioiellino bondage di Segretary (altro che Trenta sfumature…)? Per non dire del Tokio decadence, o del trasgressivo e urticante Elle. E dopo tante immagini sullo schermo mi ritrovo a pensare al mio passato, rendendomi conto che il ruolo della slave (colla minuscola, perché in questo mondo tutto ha una sua logica) probabilmente mi si addice assai più che quello della Mistress. Volendo fare una piccola concessione al mio Ego scosso potrei dire che sarei comunque una slave imperfetta, immediatamente pronta a scatenare una ribellione per rivendicare il diritto alla consensualità.
Dopo il cinema, si passa alla lettura del bloggers, davvero illuminanti e didattici assai più dell’Enciclopedia Treccani. Mi sono ad esempio imbattuta nei 10 consigli per “la sottomessa novizia e eterosessuale”, che ha il merito di mettere in guardia dal pericolo di affidarsi ad un Master manipolatore (anche chiamato Master “Incubo”). Altre volte l’incontro è stato più divertente. Come considerare il sito che ti rende edotta sull’uso alternativo di tanti comodi oggetti per cucinare? Com’altro potresti usare il frullino per montare le uova? Suvvia, un po’ di creatività! Ed il cucchiaio di legno della padella?    
Una cosa però l’ho capita: qui non si scherza, ed è meglio affidarsi al sapere di un Master vero e proprio, uno di quelli che, da anni e anni, si applica a ridare dignità da epoca del libertinaggio a questa particolare forma di passione.        
 
11 domande al Master Alcor Le Catene

Cosa significa BDSM e quando ha iniziato a diffondersi in Italia? 
Con l’acronimo BDSM si individua che stiamo parlando di: “Bondage-Disciplina” (BD), “Dominazione-Sottomissione” (DS) e “Sadismo-Masochismo” (SM). Personalmente sono 30 anni che concepisco e vivo questa potente forma di Erotismo… in Italia saranno almeno 40 anni o forse qual cosina di più durante i quali si è cominciato a “codificare” questo “movimento erotico”.

Intorno al BDSM esiste molta confusione, spesso alimentata dal moralismo. Tuttavia il cattolicesimo ha la sua parte nell’alimentarlo, pensa ad esempio all’iconografia dei santini cattolici (che io trovo di grande sensualità, soprattutto le martiri). Che differenza c'è tra BDSM e Sado-Masochismo? Sono tra di loro in rapporto?
Il pregiudizio verso il BDSM è dilagante. Sicuramente il moralismo, in una società vessata dai dogmi religiosi, ne è la maggior causa. Interessante questa tua osservazione sui santini cattolici; una sensualità espressa e dipinta nel momento del martirio, come l’espressione anche erotica di una estasi mistica…
Non ritengo, però, ci siano affinità con l’iconografia dei santini cattolici…
È altresì vero che possiamo ritrovare riferimenti alla Sacra Inquisizione, in quanto il pensiero di “torturare” (eroticamente!) accende forti pulsioni; ci sono persone che si costruiscono macchinari evocativi di antichi strumenti medioevali di tormento. Ovviamente anche tipologie moderne di torture erotiche, supportate dalla tecnologia dirompente, avanzano sempre più in questo settore. Il Sado-Masochismo è un astro della galassia BDSM, quindi vi è uno stretto rapporto; questo connubio si esprime sempre in un rapporto tra una parte dominante ed una remissiva. Il Sado-Maso, come dicono le parole stesse, è il rapporto tra due forme erotiche estreme, tra due “Nature”. Il Sadico si eccita a dominare la controparte procurandogli dolore in qualsiasi forma; il Masochista si eccita a subire dolore, sia fisico che mentale.

Il BDSM ha come fine il raggiungimento del piacere sessuale o può avere anche un semplice valore artistico-culturale? Per parte mia penso che sia, dal punto di vista estetico, molto bello a vedersi. Che
cosa spinge una persona ad avvicinarsi al BDSM?
Il piacere sessuale è quasi sempre uno degli obiettivi, quando si tratta di erotismo. Nel BDSM il sesso lo vedo più che altro come una opzione, dipendente dalla visione e mentalità delle persone coinvolte. Ci tengo comunque ricordarti che questo “Mondo”, di elevato tenore erotico, pone le sue basi sulla complementarietà erotico-mentale tra due individui, oltre che l’attivazione del sistema erotico-emozionale. Nella Natura umana si possono individuare persone con caratteristiche erotiche dominanti e altre con caratteristiche remissive (oppure con caratteristiche miste di queste due componenti). Questi concetti sono assolutamente mentali, poiché è la Mente che tutto crea, soprattutto in termini erotici; la complementarietà delle pulsioni (ad esempio: il mio sadismo è complementarizzato dal tuo masochismo). L’espressione artistica è spesso esplicitata attraverso alcune forme facenti parte di questo movimento erotico, ad esempio nel Fetish ( cioè ispirato al feticismo, con particolare riferimento a capi di abbigliamento o ad accessori eroticamente aggressivi o all’esaltazione di dettagli) e nel Bondage (quella pratica che si basa sulla costrizione fisica del partner mediante legature, cappucci, bavagli, ecc.). Ciò che spinge una persona ad avvicinarsi al BDSM direi che è la propria “Natura”, la consapevolezza di rispondere a certe pulsioni ed emozioni nonché la curiosità di condividerle con un’anima complementare.

Chi pratica BDSM? Esistono categorie sociali? Ne sono più attratte le donne? O più gli uomini? 
Pratica BDSM chi è spinto dalla curiosità di dare una risposta alle proprie pulsioni-emozioni, una volta captate dalla propria sensibilità e spirito di osservazione… almeno per me è stato così… Non ho mai riscontrato diverse categorie sociali. Non saprei dirti se sono attratte più le donne o gli uomini e in quali ruoli maggiormente; una volta anch’io pensavo che gli uomini avessero maggiori pulsioni dominanti (visione egocentrica? J), ma invece mi sbagliavo… credo ci sia una equa distribuzione delle pulsioni e dei ruoli.

Si parla sempre di “consensualità”, non si rischia però, all’interno di un rapporto di coppia, di farsi prendere dal desiderio di “puntare sempre più in alto”, finendo per focalizzare l’intera sessualità sul concetto di "famolo strano"? Cioè, la location “letto di casa” non rischia di diventare alla fine troppo banale e troppo poco eccitante?
La differenza tra BDSM e “famolo-stranismo”, a mio avviso, è molto spiccata; nel BDSM vi è la ricerca di esprimersi mossi da un concetto estremamente erotico-mentale-emozionale, mentre nel “famolo-strano” vi è una espressione spiccatamente sessuale, pur nella ricerca di variare situazioni, eventualmente con l’ausilio di alcuni oggetti in comune con il BDSM. La Consensualità, nel BDSM, è necessaria, ed è uno dei principi che ne specifica il movimento erotico stesso; mancante la Consensualità parlerei di violenza.

Leggendo l'Histoire d'O ho notato come la donna sia spesso “oggettivizzata”; insomma finisca per perdere, a poco a poco, oltre che la sua indipendenza, anche la sua Anima. La cultura BDSM non alimenta la discriminazione di genere, non riduce i diritti delle donne?
Histoire d’O parla di una fortissima esperienza nella quale, nel ruolo di schiava, cioè la parte remissiva, vi si trova una donna. Ma nel BDSM il ruolo remissivo può essere inteso anche per un uomo. Ovviamente tali pulsioni vengono vissute parimenti nel pianeta Gay, Lesbo, Trav o Trans. Il BDSM non è legato a congetture filo social-politiche, ma esprime semplicemente, in modo “onesto”, la propria Natura erotica.
Quali danni ha fatto “Cinquanta sfumature di grigio”?
A mio avviso, ma non solo mio, questo film ha creato molta confusione. È un film paradossale che ha estremizzato alcuni concetti; un film-favola erotico.

È vero che il BDSM spesso finisce per sfociare nell’adozione di pratiche di scambismo?
Non mi risulta.

Che cosa spinge una persona a sottomettersi ad un'altra? Amore? Dedizione? Bisogno di compiacere?
Bella domanda… La mia Natura erotica è dominante ed alle volte ho chiesto alle mie partner remissive la tua stessa domanda. La risposta che ho sempre avuto è stata: “è la mia Natura e quando mi trovo in sintonia con una persona in cui sento la sua forza dominante verso di me, mi sento appagata, emozionata, viva e voglio donare tutta me stessa”. Diventa uno stile di vita che però non deve essere inteso come un segno di debolezza; anzi nella maggioranza dei casi è esattamente il contrario. Infatti per donarsi serve Consapevolezza, forza di Volontà, determinazione e Amore. L’Amore per me è un pilastro del BDSM, ma non inteso ineluttabilmente come il “classico” concetto che conosciamo nel sociale; ogni “Sessione” è sorretta dalla forza d’Amore. Altro pilastro fondamentale del BDSM, è la Fiducia… totale! Se non c’è Fiducia decade il concetto culturale di questo movimento erotico. Ovviamente succede anche nel BDSM che due persone possano innamorarsi e decidere di condividere la vita o parte di essa, come nella vita “normale” e formare una Famiglia.

Cosa spinge una persona al desiderio di sottometterne un'altra? Desiderio di possesso? Narcisismo sfrenato?
Anche in questo caso sono le pulsioni e le emozioni della propria Natura erotica a delinearne il desiderio, complementariamente a quanto scritto sopra per il ruolo sottomesso. Scattano meccanismi di varia Natura: desiderio di possesso perché no, narcisismo forse, sadismo (a vari livelli), oggettivizzazione del soggetto remissivo, ma soprattutto il desiderio di scavare, da parte del Dominante, nella Mente del suo sottomesso, in particolare per espandere i confini mentali, andare oltre alla ricerca di più ampie emozioni, sempre seguendo i concetti più importanti del rapporto, che deve essere Sano, Sicuro e Consapevole.

Prima mi hai parlato di “torture” erotiche. Che cosa intendi per “Torture”? In pratica, cosa succede durante una “Sessione” tra il Dominante ed il remissivo?

Nel Mondo BDSM si usa effettivamente una dialettica non usuale tra i “normali” e vengono utilizzate parole “forti” che vanno ad imprimersi nella Mente di entrambi, in particolare quando tali parole vengono pronunciate, con preponderanza e perentoriamente, dalla parte dominante verso quella complementare. Le “Torture” erotiche partono sempre dall’imprinting mentale ed emozionale che il Dominante riesce a creare verso il sottomesso; una sorta di pathos codificato dal sistema endorfinico. Ma considerando che i confini devono essere estesi ulteriormente, al “preludio” mentale possono seguire azioni determinate sul corpo del sottomesso, che viene messo a dura prova. Importante è la conoscenza che ha il Padrone della psiche del suo complementare, in modo che intenda bene i limiti invalicabili del sottomesso o le possibilità di imprimere sempre più determinazione nelle sue azioni, per “usarlo” in modo impeccabile, per arrivare all’Anima. In gergo del BDSM, il luogo dove si svolgono le “Sessioni” viene chiamato “Dungeon”, immaginando e come se fosse una prigione medioevale. Tale luogo (che nella maggioranza dei casi è la camera da letto o lo scantinato di una delle due parti oppure una camera di albergo) ha in se una attrezzatura di base (portata in genere dal Dominante): corde, manette, frustini e fruste, clip o mollette, collare e guinzaglio, cinghia, dildi, catene, candele di cera, divaricatori, stimolatori elettrici ed altri oggetti. In genere i Dominanti sono definiti: Mistress o Padrona se donna, Master o Padrone se uomo. Mentre i sottomessi sono slave o schiavo/schiava a seconda del sesso. Le variabili possono essere veramente infinite.

martedì 26 settembre 2017

Separate alla nascita: the winner is...

Chi è che detesto maggiormente? Chi è che ritengo mi abbia a tal punto fatto male da rendermi tanto diffidente ed insicura nei confronti del mio prossimo? Ci ho pensato a lungo, perché dare la medaglia dello " stronzissimo o stronzissima" è un passo importante, che deve essere ben meditato.
Avrei potuto dare il meritato premio a tutte le presunte amiche che hanno girato lo sguardo altrove quando più ne avevo bisogno; oppure a qualche uomo generoso, al punto da accettare di smettere per qualche secondo di coltivare il proprio narcisismo per domandarmi di cambiare per lui la mia vita (che però facessi in fretta, che in caso di risposta negativa l’eventuale sostituta non poteva essere troppo tempo lasciata ad aspettare). Poveretta, quanto mi dispiace per lei: badante di un tale cretino!
Il SUPERVERME è però uno solo, ovvero lo stimato e irreprensibile professionista che mi propose lavori e fama imperitura in cambio di un semplice – e cosa vuoi che sia, se ne fanno tanti a tutte le ore… - POMPINO. Del resto, lui – il magnifico – era all’epoca abituato a prendersi anche la luna, e pensava che fosse del tutto normale che, ad un suo semplice ordine, io mi affrettassi a mostrargli di quale colore fosse la mia biancheria.
Ero giovane, imbarazzata e convinta che in fondo fosse colpa mia se l’avevo provocato. E questo mi tratteneva dal denunciare tutto ciò che era accaduto. Poi, quando infine ho preso il coraggio tra le mani, quel che mi ha fatto ancora più male è stato scoprire che attorno a me s’era creato un muro di omertà e di non troppo velate minacce. Sapete però quel’è stata la violenza più grande?  Ebbene, è stata la mancanza di solidarietà da parte delle stesse donne.
Qualcuna mise in dubbio la mia innocenza (“se l’è cercata, in fondo è quello che voleva…”), qualcun altra si è sentita offesa per il fatto che “il Magnifico” non avesse scelto lei quale oggetto delle sue pesanti attenzioni, qualcun’altra ancora ha semplicemente interrotto ogni rapporto con la sottoscritta.
Forse sto sbagliando, forse la palma del SUPERVERME dovrebbe essere condivisa da tutte queste persone, indistintamente. E dovrebbe essere assegnata a tutti coloro che pensano che una donna debba essere domata, comprata o limitata nella sua esuberanza. A chi tradisce le attese di un'amica, specie se quella le sta solo chiedendo di essere ascoltata.

È con questo ricordo, che per anni mi ha perseguitata, fonte di infiniti sensi di colpa (perché pensi sempre di essertela cercata, di non avere prestato abbastanza attenzione, che sei stata una stupida…), che termino la mia classifica. Tra suore carogne e preti bulli, vecchi fidanzati molto fantasiosi nel trovare scuse ed adescatori di ragazzine, credo di avere raccontato la storia dei tante donne come me. A volte siamo state forse un po' ingenue, troppo sensibili; oppure semplicemente troppo “noi stesse”. Ma non importa, perché noi che ci rifiutiamo di indossare un ruolo (fidanzata dell'anno, gnocca silenziosa e grata, moglie e madre perfetta) siamo oggi consapevoli di quali rischi affrontiamo giornalmente. E scusatemi il “pippone”: non chiedeteci più di cambiare, non provate più a domarci o istruirci; perché noi stiamo benissimo così.

Separate alla nascita 2: l'uomo nero

Questa non è una storia che fa ridere.
Anzi no, forse fa un po' sorridere perché io sono una buffona; e chi mi conosce sa bene come la mia intima natura surreale produca, invariabilmente, un effetto comico. Anche davanti ad un'esperienza come quella che mi accingo a raccontarvi.
Devo ammettere di avere avuto dei dubbi. Se per il primo posto non c’era storia, perché l’oro spetta di diritto al SUPERVERME (tanto per citare la splendida Holly in Colazione da Tiffany), più complesso è stato decidere l’attribuzione dell’argento. Poteva anche vincerlo il ragazzo che tanto mi piaceva al liceo, quello che ho beccato a scambiare saliva con una mia stretta parente, (tanto per rimanere in famiglia!). Poi però ho deciso che al secondo posto andava lo sconosciuto che, quando avevano appena nove anni, ha pensato bene di elargirmi una bella lezione di anatomia.
All'epoca io e mia sorella andavamo spesso dalla nonna da sole, facendo una lunga passeggiata di circa un chilometro. Non ci pesava, perché eravamo sveglie e all’epoca le preoccupazioni dei genitori erano differenti. Si sbagliavano, perché il lupo cattivo si può sempre improvvisamente presentare alla porta!
Chissà cosa è passato per la testa a quel signore che, fermata la macchina al lato della strada, ha cercato di adescarci. Eravamo entrambe ragazzine, un po' tonte e giustamente ingenue, quindi ci si siamo avvicinate per spiegare a quel signore dove fosse la Posta di Fidenza che diceva di non trovare. Peccato che al tipo interessava assai più mostrare a noi bambine la sua fantastica erezione.
Se ci penso ora mi scappa ancora da ridere per la domanda da lui fattaci: "sapete di cosa si tratta?" 
Se il cretino avesse saputo che eravamo state cresciute da due genitori giovani, un po' anticonformisti e perfino naturisti, avrebbe magari colto il portato grottesco della domanda. Noi sapevamo benissimo di cosa si stava disquisendo, il problema era piuttosto quello del senso di dare un nome al “coso” (perché i miei proprio non chiamavano mai per nome quegli attributi anatomici).
Pertanto, senza scomporci, abbiamo risposto: “si tratta del pisello, quindi?” Poi abbiamo ripreso la strada belle e tranquille, dopo avere cortesemente fornito le informazioni su dove fosse la Posta.
Al “poveretto" dall'orgogliosa erezione credo gli si sia smontato rapidamente tutto, come spero gli si sia stretto ben bene il buco del culo quando i carabinieri, avvisati dall’immediata denuncia, si sono presentati a casa sua.

Caro il mio maniaco esibizionista, se sulla tua strada incontri una piccola femminista vedi bene di non provocarla: che magari poi ti tocca fare i conti col maniaco in carcere, e la cosa in fondo in fondo non mi dispiacerebbe!

lunedì 25 settembre 2017

Separate alla nascita: number 3: l'Otello dagli occhi verdi


Sono allergica ai fidanzamenti in casa, e pure agli scambi di regali a Natale tra parenti acquisiti; per questo ho sempre pensato che in un rapporto l’unica cosa che conti realmente sia l’essere “io e lui. Tutto il resto dovrebbe rimanere sullo sfondo, come la musica in filodiffusione nel lift di un grande albergo stellato; come quel ripetitivo motivetto che riconosci all’ingresso di un centro commerciale, lo stesso che non distingui ormai più una volta arrivata al reparto attrezzi da giardinaggio (confuso con mille altri rumori, vociare di donne e bambini). 

Spirito libero ed anarchico, assai ben disposto nei confronti dei legami a distanza, ho sempre considerato una barbarie dividere lo stesso letto. Una pratica sadomasochistica a cui non avrei mai e poi mai ceduto. 
Una fiera allieva di Simone de Beauvoir? 
Piuttosto una donna che non sopporta l’uomo che russa; perché l’essere maschile ha, purtroppo, assai spesso questo brutto vizio. Ed ammetto di avere ceduto spesso all’esasperazione, lasciandomi andare anche a gesti violenti con chi, vuoi per un banale raffreddore o per una cattiva conformazione tracheolaringofaringea, commetteva l’errore di destarmi nel cuore della notte. Aggiungiamo il fatto che sono una che ama leggere fino a tardi. Guai a quell’uomo che, standomi accanto, magari osasse prendere a rigirarsi nel letto come una trottola, magari lamentandosi perché non riesce a prendere sonno a causa della luce accesa! E completiamo il quadro rivelando che preferisco infine dormire da sola, in modo da poter occupare ogni angolo del letto. Magari anche in diagonale, magari avvolgendomi nelle coperte “come un pisello nel suo bacello”. Alla luce di tutte queste piccolissime paranoie potete ben capire quale tormento possa essere il condividere un letto colla sottoscritta: solo eroici combattenti, pronti a sfidare l’Erinni, possono dunque affrontare la tremenda prova!
Ma nonostante questo mio brutto carattere ogni tanto i begli occhi verdi di qualche fidanzato ha fatto breccia nella corazza, convincendomi a concedere qualche centimetro di spazio del letto a chi mi paresse sufficientemente maturo per affrontare quella prima prova tecnica di convivenza.
Nel caso specifico la persona di cui vi voglio raccontare, capace di fare breccia nel muro della mia indipendenza onirica, era un ragazzo molto simpatico e tanto carino, così sicuro di sé tanto da far capitolare la “ragazza con la valigia sempre pronta”. Un ragazzo che, dalle premesse, pareva in grado di fare funzionare la storia. Purtroppo non tutte le ciambelle riescono col buco, e avrei scoperto sulla mia pelle che quella persona aveva il piccolo difettuccio di volere avere il pieno controllo sulla mia vita. Ma vi rendete conto?!?!? Passi per la tavoletta del cesso perennemente alzata, passi pure per quella sfegata passione per la Juve (e per l’acqua Uliveto, come omaggio a Del Piero)… 
Sulla gelosia no, sulla gelosia proprio non transigo. Anche perché il soggetto, che ho già detto molto caruccio, e quindi da sempre abituato a spartire le sue grazie con più fanciulle inconsapevoli, aveva fatto l’errore di rivelarmi l’esistenza di una sua agenda segreta. Su quell’arnese diabolico, il tipo aveva avuto il cattivo gusto di annotare, come se si trattasse di una guida Michelin, una serie di stelline a fianco di ogni nome di donna. La diversa abilità nelle prestazioni erano poi dettagliatamente elencate e classificate, con nome e stelline a seconda delle prestazioni). Insomma, il playboy di provincia, il lupo cattivo tanto affascinante, l’uomo di mondo che si concede a multiple relazioni, si rivelava il più tradizionale dei conformisti. Al punto da arrivare a pedinarmi, tanto era diventato sospettoso. Non avendo una grande pratica nella gestione di questi Otello in salsa rusticana (per il semplice motivo che non ho mai maturato il concetto di proprietà), e non essendo neppure particolarmente capace nell’uso della tecnologia (e, anche se lo fossi stata, non avevo la minima intenzione di perdere tempo cancellando tutti i messaggi scambiati con amici ed amiche), succedeva che liti fossero all’ordine del giorno.
Robe dell’altro mondo, insomma. Anche perché, dopo l’ennesimo scontro, tanto per cambiare per il fatto di averlo trovato col mio cellulare in mano, intento a digitare numeri ed associare volti, egli mi guarda e a sorpresa, incurante di avermi fin lì scaricato addosso la solita valanga di insulti, mi chiede di andare a vivere con lui. Definitivamente, cioè – per chi non lo avesse capito – chiedendomi proprio di sposarlo. Il tutto, udite udite, perché mi amava e perché – BLA BLA BLA – in tal modo sarebbe riuscito ad educarmi e rimettermi una buona volta sulla giusta carreggiata. No ditemi, ma si può essere più stupidi? In quel preciso momento ho pensato che dovevo allontanarlo, possibilmente nel modo più doloroso possibile e dandogli una lezione che non avrebbe dimenticato. Mi sentivo pure una sorta di vendicatrice stile Avengers, perché grazie a me avrebbero trovato soddisfazione tutte quelle ragazze col nome associato ad una serie di stelline. Poi avevo anche il sangue agli occhi: cosa significava il fatto che “mi avrebbe educato alla normale vita di coppia?”. Che se fossimo convolati a nozze dopo un minuto mi sarei ritrovata chiusa in casa, magari a lavare i piatti del pranzo di nozze?  
Allora ho approfittato di una cena con un amico (ecco, non pensate male; era proprio un amico di quelli più cari, di quelli con cui si può partecipare alla gara di rutti della festa della birra). Ero dunque al ristorante con questo amico, quando giunge l’ennesima sua telefonata di controllo. Rispondo, saluto, BLA BLA BLA, risaluto e lascio volutamente il cellulare acceso sul tavolo. Con lui ancora in ascolto, pensandosi fortunato perché poteva spiarmi senza che me ne accorgessi, a chiare lettere, senza troppi giri di parole (come solo un’emiliana può fare), scandendo bene e sillabando pronuncio: “Dal momento che questa sera è stato più stronzo del solito, annuncio urbi et orbi che da questo momento la do' via come il pane!”.

Dall’altro capo della cornetta non ho sentito più nulla, che si sia indispettito?

sabato 23 settembre 2017

Separate alla nascita. Number 4: la madre del mio ex

Dovete sapere che, quando abitavo a Santa Maria Capua Vetere, ho sperimentato la verità dei racconti di Saviano (i versamenti illeciti, gli atti mafiosi di diversa natura, i sarti che fanno abiti a bassissimo prezzo per le firme più costose del mondo, la vendita abusiva di sigarette, ecc..). Però io posso vantarmi di essere andata ancora più in là del Roberto nazionale, perché per un certo periodo sono entrata a fare parte - Gabanelli, tze tze... impara - di una famiglia casertana benestante.
Più per noia che per passione iniziai infatti una storia con un ragazzo del posto. Molto simpatico, molto bello e molto sveglio. Un bronzo di Riace in salsa partenopea che, dopo alcuni mesi di sola polvere di scavo, mi ha fatto riporre gli scarponi per ricordarmi d'indossare pizzi e completi ben abbinati. Era del resto davvero carino, gestiva un locale alla moda ed aveva una fidanzata bellissima, Soprattutto, sapeva dove mangiare la pizza migliore della provincia! E poi a me andava più che bene: avrebbe garantito il giusto, per un tempo più che accettabile. La classica storia "tanta resa poca spesa". Non sono gelosa, e non avevo alcuna intenzione di portarlo via alla modella bionda tanto amata dall'intero paese.
Purtroppo, che sia stato il mio fascino da disinibita settentrionale (un po' come le tedesche a Rimini negli anni '50), vuoi che la loro storia fosse in fondo già finita, com'è come non è, mi sono ritrovata invischiata nei pranzi di famiglia, Con annessi pomeriggi in compagnia della futura suocera.
Una descrizione veloce di Milady? Una stronza totale: ex insegnante di filosofia al liceo, comandante assoluto della casa, giudice di pace e dotata nel pedigree di ascendente nobiliari. Dico solo che aveva la cameriera con la divisa, il suo bagno personale e una certa propensione al rompermi i coglioni a proposito di  come vestivo, di cosa mangiavo e del lavoro che facevo. Con una smorfietta inimitabile ascoltava i disdicevoli racconti della futura nuora, che all'epoca viveva in promiscuità con ben dieci persone (tra cui anche alcuni uomini). A suo dire una donna avrebbe dovuto infatti avere come unica preoccupazione quella di fare un buon matrimonio e diventare insegnante. 
Per farla breve, durante l'ennesima discussione sull'abitudine casertana di abbandonare i rifiuti lungo la strada, con tanto di mio lamento lamento a proposito del degrado di alcune aree pubbliche della città, la signora s'inalbera, perché "da nordica" pretendo di giudicare la camorra, che fa tanto bene a gente altrimenti senza lavoro. Poi prende il posacenere e, con sguardo beffardo, rovescia dal balcone panoramico del suo bell'appartamento l'intero contenuto di sigarette e cenere. 
Era una sfida bella e buona, come a dirmi: fai, fai... tanto poi comando io...
L'ho odiata senza più alcuna speranza di tregua, ed è partito un barbarico e salvifico MAVAFFANCULO!.
Come è finita la storia? 
Che sono emigrata velocemente, prima a Roma e poi in Emilia. 
Il mio guaglione  napoletano? Disperato, mi ha inseguita; presentandosi pure dai miei genitori, ai quali ha teatralmente chiesto l'onore della mia mano (con tanto di fiori a me, a mia madre e alla cagnetta che avevo raccattato e portato con me da Napoli). I miei stanno ancora ridendo. 

Separate alla nascita: number 5: la commessa cinese

C'è stato un periodo della mia vita, penso sia successo a molte di noi, in cui stravedevo per tutto ciò che aveva un vago sentore di Oriente. Non solo mi ero divorata l’opera omnia della letteratura del Sol Levante, da Murakami a Mishima, nessuno escluso, ma adoravo vestirmi con abiti simili al kimono (lo so, lo so… quale differenza rispetto ad oggi?), Mi piaceva pure quell’abominio che è il pesce crudo, anche se, a ben pensarci, forse quel che mi piaceva era piuttosto l’atmosfera minimal chic, alla Giorgio Armani è appena stato qui, dei ristoranti nipponici milanesi. Mi truccavo poi come una geisha, stendendo chili di cipria di riso bianca sul viso, dipingendo gli occhi di nero e abbondando con il rossetto rigorosamente rosso fuoco. I capelli li raccoglievo infine utilizzando pettini d'osso. La mia era insomma la dedizione totale dell’ufficiale aviatore al suo Imperatore-Dio. Divenute sempre più rare le mie scorrerie milanesi, anche il mito del Giappone ha ceduto il passo al gusto della letteratura tedesca del Novecento, agli infiniti arzigogoli degli autori mediterranei, alle pagine inquiete delle scrittrici dell’universo mondo. Volendo tuttavia un giorno fare una bella sorpresa al mio fidanzato (fidanzato… parole grosse, anche se poi con quell’uomo continuo a stare da quasi vent’anni), ed avendo in mente un dopocena a base di massaggi con olii essenziali, con la mia amica Diletta mi presento in uno di quegli affollati negozi cinesi che si trovano sotto i portici di Bologna. 
Ferme! Lo so, bene: ma che c’azzecca la Cina col Giappone…? 
Brave, lo so anche io… Ma provateci voi, diciassette o diciotto anni fa, a scovare un negozio giapponese che non fosse una susheria... 
Si va dunque per approssimazione, e Pechino è indiscutibilmente più prossima a Tokio di Dakar, Cartagena o Toledo!
Dunque, dicevo che mi presento al negozio cinese e provo il primo abito, Subito mi rendo conto che le taglie non corrispondo proprio a quelle di noi occidentali, al che la commessa cinese mi dice, con un disprezzo che non si confà alla millenaria tradizione commerciale di quel popolo: A te ploplio non stale bene! Pelché voi avete i fianchi lalghi lalghi
Stop, ferma tutto; riavvolgi il nastro… Noi avere i fianchi larghi larghi (traduzione a cura del Centro linguistico di Ateneo, ndr)?
Io e Diletta ci si guarda negli occhi, i suoi mi mandano chiara una preghiera: Ti prego Ilaria, evita la strage perché in fondo nei pressi ci sono dei bambini (e loro, poverelli, non sono del tutto responsabili).  
Una vocina in fondo allo stomaco timidamente mi richiama all’ordine: Fermati, ricordati che sei di sinistra, mangi sushi, sei cittadina del mondo...e rifiuti di piegarti alla logica degli stereotipi...
Troppo tardi, purtroppo. 
Con calma, grazia e signorilità rispondo alla cinese: Ciccia, io avrò i fianchi larghi ma tu sei bassa, tarchiata, col culo che spazza il pavimento e per lo più sei cinese… Secondo te chi delle due è messa meglio?

La faccio breve. Ho comunque acquistato il vestito, indossandolo alla sera con tacchi vertiginosi che minimizzassero la presenza di un fianco generoso. E la sua porca figura l’ho fatta… Ah..., come l’ho fatta… 
Sayonara

giovedì 21 settembre 2017

Separate alla nascita. Number 6: il ruspista calabro

Ripensando ai fetenti incontrati nella mia vita avrei anche potuto proseguire nel racconto delle mille piccole angherie subite negli anni della scuola. 
Come non soffermarsi sul professore di storia misogino, che in terza liceo mi rimandò dicendomi, col sorriso sulle labbra, che avevo bisogno di una lezione che mi insegnasse il valore dell’umiltà; come non andare col pensiero alla preside nostalgica del ventennio, che mi strappò di mano i manifesti contro l’aborrita fusione tra i licei della mia città
Studiare storia durante l’estate non mi ha però fatto poi così male, e anche la preside – dopo qualche anno nel fantastico mondo della scuola – in fondo qualche ragione poteva anche averla. 
Dunque no, non vi parlerò di un altro fetente incontrato nel mondo della scuola; bensì del periodo in cui facevo l'archeologa, e mi aggiravo in un cantiere sperduto nella campagna parmense. Moi e la ruspa col suo conducente, cioè. Soli e dimenticati da Dio, a tracciare una trincea sotto il sole cocente dell’estate padana. Dicevo del ruspista, che era giovane e simpatico. Ebbene, egli m’invita un giorno sulla sua cabina. Per farmi vedere quale meraviglia… Figuriamoci, io sono letteralmente entusiasta. Non è forse il mio sogno di bambina, abituata a giocare anche coi giochi degli amichetti maschi? E poi azionare la benna, per un’archeologa adusa alle brugole, ai fili a piombo e ai badili, rappresenta un vero e proprio frutto proibito. Ve lo immaginate? Potere vedere dall’alto di una benna la trincea che si sta scavando… (lasciate stare, compatitemi… ero giovane, poi mi è passata…).
Allora, ingenuamente accetto con trasporto l'invito. Del resto il ruspista è gentile, mi parla di moglie e dei figli piccoli; è basico, ma non è un problema. E poi in quel contesto io sono il suo capo. Godo dunque di un’indiscussa autorità! Qualche cosa tuttavia non deve avere funzionato benissimo, perché non appena salita in cabina, percepisco che c’è qualcosa che non funziona. E lo capisco dal tono con cui esclama: Focu meu… Ecché, vuoi per caso azionare il mio cambio?
Ha forse un improvviso attacco d' asma? (nel qual caso forse è il caso che corra in farmacia per acquistargli un provvidenziale Ventolin!)
Non è che sta per eiaculare? (nel qual caso la cosa mi farebbe un tantino impressione!)
Non capendo il calabrese stretto, ed essendo un pochino tonta, mi ritrovo pure a domandargli di ripetermi l’ultima aspirazione… magari scandendo bene il singulto… Poi abbasso lo sguardo e intercetto i pantaloncini del ruspista. A quel punto finalmente capisco il metaforico significato della parola cambio, senza neppure bisogno di ricorrere a google traduttore.
Gli anni di cantieri insegnano. Specie se ti tocca stare sola tra muratori che hanno frequentato Poggio Reale assai più della scuola, che scrivono "putana" sui tubi Snam o che sono stati sponsorizzati per il lavoro dal noto filantropo Sandokan o’macellaio
Senza scompormi troppo, e senza alzare la voce, allora rispondo:la ringrazio infinitamente della spumeggiante esperienza, tuttavia ora la prego di farmi scendere. Così mi eviterà di denunciarla per molestia, rendendo noto l'accaduto alla sua gentile consorte, alla Soprintendenza e all’avvocato.
Sono convinta che della Soprintendenza e dell’avvocato al ruspista fregasse zero, ma al sentir pronunciare la parola “gentile consorte” il bollente spirito del calabro operaio si è spento. Io le conosco bene le donne de Sud, mica ci si può troppo scherzare con loro… Il poveruomo deve avere visto passare la morte in faccia!

E così non ho potuto ammirare dall’alto di una benna lo scavo della trincea, che peccato… 
Nessuno che mi inviti ancora? Please, senza optional inclusi…

Separate alla nascita. Number 7: il fidanzato natalizio

Ci sono momenti che vorresti cancellare i tuoi ricordi, soprattutto se questi aprono il triste libro dei sentimenti traditi e della fiducia calpestata. La mia storia amorosa, per la gioia delle amiche che sono state sempre molto partecipi (oltre che assai divertite dai miei racconti), è un percorso accidentato. Decisamente più simile all’attraversata del deserto dell’Atacama a piedi che non ad una crociera di lusso. Ogni nuova relazione, prima di passare alla fase della progettazione del futuro mutuo, era infatti foriera di lacrime e sofferenza, notti insonni e lunghe telefonate. Il tutto coronato da recuperi affannosi, pieni di passione e di piatti rotti da spazzare da terra. 
Avete ragione: avrei potuto scegliere meglio i miei fidanzati! 
Tuttavia, se sei solita frequentare universitari dallo spirito bohémien, scrittori frustrati, attori da opera prima (preferibilmente di documentari autoprodotti), archeologi coi pantaloni col tascone, pittori concettuali e di body painting …. qualche rischio, purtroppo, te lo devi anche assumere. 
Tra questi individui, vari ed assortiti, uno mi ha veramente ferita; tanto – udite udite – da farmi votare per anni alla castità. Perché io posso perdonare tutto. Posso perdonare il tradimento, i regali sbagliati e le battute infelici a proposito della mia seconda scarsa. Ma non posso però perdonare la scorrettezza immane di essere lasciata a pochi giorni dalla vigilia di Natale. Vi rendete conto, care amiche, di quale tipo di bastardo stiamo parlando? Ma mollami per la Festa dei morti, perdio! In modo che, se dovessi piangere, io possa spergiurare al mondo che ciò avviene a causa dell’intenso dolore nei confronti dei cari estinti! Alla vigilia di Natale, invece … Piangere davanti al presepe, guardando i pastorelli con gli agnelli sulle spalle, mi costringe a trovare improbabili giustificazioni. Madonnina quanto ho odiato quel ragazzo. Sostanzialmente per due motivi:
1.   perché è stato il secondo uomo di cui sono stata innamorata (ho solo tre grandi amori, tutto il resto è noia);
2.   perché doveva portarmi a NY (hai visto mai un biglietto aereo accompagnato da un bacio Perugina con su scritto “Ti amo”?).
Adesso che fine ha fatto?

È diventato scrittore, anche bravo. Oggi ha una certa notorietà, è felice e finalmente realizzato. Ed io sono felice per lui, anche perché ho sempre ritenuto poco raffinato (oltre che un’insopportabile perdita di tempo) il provare rancore. Allo stesso modo in cui mi appare inutile accanirsi cercando sottili vendette neo confronti degli ex amanti… Inutile, dal momento che l’umanità è sempre prodiga di esemplari pronti da essere testati… Dunque, anche per questo motivo non ho alcuna intenzione di rivelare il nome del mio "ora amico bastardo".

martedì 19 settembre 2017

separate alla nascita. Number 8: il prof di religione delle medie

Prima che lo Stato offrisse agli studenti la possibilità di essere esentati dall'ora di religione, questa non si poteva assolutamente evitare. Del resto non esisteva proprio che un ragazzo, o una ragazza, non ricevesse tutti i sacramenti, non fosse presente all'ora di dottrina o non frequentasse le compagnie dell'oratorio. Per le famiglie era spesso motivo di vanto avere un chierichetto che servisse messa, per non parlare della figlia animatrice dei pulcini della parrocchia.
Tutti, credenti o meno, comunisti o no, come tanti Pepponi dovevamo ricevere le benedizioni ed i rimproveri dai Don Camillo di turno (magari i preti avessero avuto la grandezza del personaggio uscito dalla penna di Guareschi). Ebbene, io alle medie avevo il prete più imbarazzante della provincia. Quello che cercava senza tregua di fare il piacione, l'amicone degli studenti e soprattutto delle studentesse. Insomma, quello che non perdeva occasione per elargire sorrisi e sfoderare battute che neanche nel peggior bar di Caracas… 
E non è tutto. Il canonico aveva anche l'abitudine di bullizzare i più deboli ed i più timidi, sostenendo che lo faceva per il loro bene perché così avrebbero ricevuto una bella scossa. E questo, per un nostalgico del regime, abituato al nero delle vesti e dell’anima, era un perfetto sinonimo di buona salute. Insomma, si diceva convinto che gli scapaccioni alla base del collo e le grasse battute sull’aspetto fisico delle persone avrebbe aiutato a formato il carattere dei più somari, dei più "stravaganti" e pure degli effemminati. 
Date le premesse una bambina filosofica qual ero io, molto riservata con i coetanei, ma pure capace di esprimersi in maniera ostinatamente contraria al pensiero comune (sul modello di Bartleby lo scrivano, avete presente quello col suo solito “preferirei di no”; perché se venivo chiamata interrogata in matematica quella era sempre la mia invariabile risposta…), finivo per diventare la sua vittima naturale. 
Ricordo in particolare un episodio, legato ad un abito giallo che mi stava effettivamente malissimo (avevo solo 13 anni, e quel vestito mi infagottava al punto da farmi sembrare un enorme girasole). Quel giorno il prof, che tanto più bello di me certo non era, e che ricordo tutto orgoglioso della capigliatura resa corvina da una tintura fatta in casa, si ferma davanti a me. Mi squadra bene, poi si mette a raccontare alla classe la famosa battuta di Celentano:

“Sapete cosa fa un passero di 20 chili su un albero?”.
Silenzio tra i presenti, al che il religioso prorompe in un barbarico: “Ciooooop!” 
Per poi così concludere: “Ilaria oggi sembri proprio un passerone” (ebbene sì, proprio questa parola ha detto…).
Tra le risate della classe, il darsi di gomito generale e le lacrime a stento trattenute posso giurarvi di averlo odiato, e di avergli augurato di crepare tra i più atroci dolori. Ebbene, forse sarò che sono una fattucchiera; oppure sarà che qualcun altro lassù si era alla fine rotto i coglioni (perché il prete era davvero un pessimo rappresentante della ditta), fatto sta che il religioso in questione è stato da lì a poco richiamato alla casa madre.

 Ahimè, caro il mio prete bello, cenere eravamo e cenere diventeremo.

domenica 17 settembre 2017

Separate alla nascita. Number 9, la professoressa d'italiano

Al nono posto della mia personalissima classifica troviamo una professoressa di italiano, già suora laica, che alle medie era convinta di avere a che fare con una ragazzina un po' tonta. Come darle torto, del resto. All'epoca nessuno nemmeno sapeva cosa fossero i disturbi di apprendimento (DSA). A ben pensarci, effettivamente potevo dare l'impressione d’essere un’adolescente disturbata: mentre le mie coetanee giocavano a pallavolo, si contendevano i primi fidanzati o litigavano colle madri per uscire a ballare, io me ne stavo chiusa in casa a leggere e ad ascoltare dischi d'opera. A scuola ero poi buttata sempre fuori dalla classe, perché non tacevo e parlavo a difesa dei più disgraziati e deboli. Così quella vecchia megera di italiano, dopo svariate angherie, mi annunciò, davanti alla classe riunita e in adorante ascolto, che non solo mi aveva abbassato il voto di ammissione all'esame di terza media, ma che lo aveva fatto – udite, udite – per darmi una lezione di vita. Perché ero una ribelle presuntuosa, che mai avrebbe potuto farcela come studentessa del liceo classico; se proprio mi fossi impegnata – mi disse – avrei potuto completare gli studi alle "Piccole figlie" di Parma (noto professionale di taglio e cucito). 
Cara la mia nona stronza, non solo sono uscita dal liceo Classico divertendomi un sacco a tradurre il greco ed il latino, ma oggi ho pure una laurea in lettere classiche (con lode, per inciso!). Ci crederesti? Sono diventata archeologa, proprio come dicevo avrei fatto allora, quando frequentavo la tua classe. Insomma, ho qualche titolo. E, per inciso, mi occupo di ragazzi DSA. 
Dimenticavo: continuo a essere una ribelle, una grandissima presuntuosa e, soprattutto, sono sempre dalla parte dei più deboli...
Tu? 
Peccato..., tu sei ormai solo cenere ...

Separate alla nascita. Number 10, la pinguina

Number 10: la pinguina



Al decimo posto della mia personalissima classifica troviamo una suora, quella cioè che mi fece dono, in quarta elementare, di una bella sberla. La mia colpa? Avere sbagliato a dipingere una rosa su una tovaglietta, che noi tutte dovevamo preparare come dono per la Festa del papà. Alla sberla seguì una pubblica umiliazione. Credo sia stato proprio allora che capii come la storia d’amore tra me ed il cattolicesimo si fosse rotta, finita sul binario morto dell’incomprensione.

Separate alla nascita: le scrittrici vicine a me

Dieci piccoli infami, Selvaggia Lucarelli

Gli sciagurati incontri che ci rendono persone peggiori

Non appena ho visto, sullo scaffale della mia libreria di fiducia, l’ultima fatica di Selvaggia Lucarelli devo ammettere di essermi un poco meravigliata. Folgorando con gli occhi la commessa, mi sono adombrata perché quella tanto amata vetrina delle meraviglie stava pubblicizzando, al posto dell’usuale romanzo russo con tanto di apparato filologico scritto da premio Nobel, un prodotto di massa messo in commercio dalla grande “Rizzoli”. Gentile come sempre, conoscendo i miei gusti letterari e ben contenta di viziarmi un po’ (anche perché, grazie al mio modo compulsivo di acquistare, ha potuto mettere da parte quel tanto che serve per rifare il guardaroba…), Lei mi suggerisce di non fermarmi alle apparenze. Senza troppo impegno, e con la giusta dose di senso critico, anche il nuovo libro della mitica Selvaggia – mi dice – finirà per ottenere il tuo “like”. Ho vacillato, lo ammetto; perché a me piace Nabokov, Zola e Dostoevskij… Cosa c’azzecca una Lucarelli, per di più Selvaggia, all’interno di questo personalissimo Pantheon? Tuttavia, mi sento attratta da questo agile manufatto; e sono pure colpita dal titolo, quel Dieci piccoli infami, che trovo al limite del geniale.
Così cedo.
Del resto, come ci ricorda sempre Wilde, si può resistere davvero a tutto, tranne che alle tentazioni e al superfluo. Allora, nascondendolo bene tra altri volumi, così come faceva il Woody Allen con la rivista Orgasmo nel Dittatore dello stato libero di Bananas, porto a casa il libro della Lucarelli. Volete sapere l’effetto? Bene, ho passato un’intera serata a sghignazzare leggendo le pagine del libro di Selvaggia! Uno dopo l’altro sono passati sotto ai miei occhi, descritti con lucida e disincantata ironia, una serie di personaggi negativi. Uomini e donne che hanno, negli anni, avvelenato la sua esistenza. Così, leggendo dell’amica del cuore carogna e della suora dalla mano pesante, del viscido maniaco e del parrucchiere anarchico, ho finito per ripensare alla mia vita; e ai miei personali “dieci piccoli stronzi”. Come nella Coscienza di Zeno l’ironia di Selvaggia (che tra l’altro scrive benissimo!) mi ha condotto a scoprire altro, dando l’avvio a un processo di ricostruzione – “a spot” – di quelli che sono stati i peggiori incontri della mia vita.
Partiamo allora colla mia personale Top ten dei dieci piccoli stronzi, di quelli cioè che "mi hanno reso un po' più cattiva"; di quelli che mi hanno pure resa assai più consapevole di come non si possa sempre prendere alla lettera la massima evangelica dell’ama il prossimo tuo.



          

domenica 10 settembre 2017

Questa sera a casa di Luca…



Ma la sera a casa di Luca  che musica c’è, poiché la sera a casa di Luca ognuno è nient’altro che se’…




Luca è tra le persone più vere che io abbia mai incontrato, un esempio di quanto sia per me pieno di sorprese questo strano, stranissimo, 2017. Siamo seduti ad un tavolo di caffè, che pare tanto un bistrot della rive gauche, a parlare come se assieme rincorressimo le nuvole in cielo. Perché le nuvole non sono altro che figurine candide ed eteree, che sfilano eleganti lassù nel cielo azzurro.


Ci vuole del resto stile, molto e parecchio, per uscire un giorno allo scoperto, e dichiarare al mondo da che parte si sta.Per dire a tutti – non gridare, no… quello lasciamolo ai tanti benpensanti che intasano bacheche e prime pagine – che non si è solo figli di Adamo o di Eva, ma anche di Lilith (oltre che, potenzialmente, di un’altra mezza dozzina di angeli ribelli). 
Ci vuole tanto stile per fare un passo avanti, uscendo dal coro, e fare notare al maestro che al cantare l’alleluja si preferirebbe il ben più licenzioso happy birthday Mr President.

Luca ha inseguito quel che era fin da piccolo, quando c’era chi si preoccupava perché al calcio preferiva i giochi con le bambine, senza adombrarsi più di tanto se nella gita scolastica delle superiori i coetanei lo rifiutavano come compagno di camera. Tante altre volte basta poco per stroncare una piantina, farla seccare e morire. Fortunatamente questo non è il caso di Luca, che è cresciuto all’interno di una famiglia straordinaria, capace di accogliere un ragazzo un poco ribelle e molto artista, preferendo la prospettiva di avere un figlio felice a uno triste, anche se vestito dei panni grigi di un ragioniere dell’estrema provincia meccanica. Poi quel ragazzo, seguendo un’inclinazione che non è stata uccisa, si scopre appassionato di piume di struzzo, boa e trucchi. Si apre un nuovo mondo, una vita fatta di lustrini e paillettes.

E Luca rinasce a nuova vita.

Il primo passo sul cammino del travestitismo è quello fatto inseguendo la carovana magica del cosplay, agghindandosi come il Pokemon preferito. E, tra raduni di Super Saiyan e starship troopers, dopo alcuni premi vinti per l’originalità del travestimento, si compie il passo che porta ad indossare le vesti di questa o quella icona cinematografica del passato ... happy birthday Mr President.
Luca è bravo a cantare, e sul palcoscenico si muove benissimo. Ha del resto fatto sue le lezioni della Non Scuola alle superiori; così decide di compiere il grande passo, e diventa Star per una notte nello spettacolo di Nerico, star dell’underground ravennate. Solo per una notte? Ma siamo proprio così sicuri? La verità è che, da quel momento, Luca non è più sceso dal palco. Come Drag queen ha vinto poi premi ai concorsi, sempre cercando forme di comunicazione artistica che fossero completamente sue.

Adesso siamo qui, seduti ad un tavolino che potrebbe essere il Cafè de Flore di Jean Paul Sartre e di Simone de Beauvoir, e che, solo per una sbagliata piega spazio-temporale, si trova a Ravenna nel 2017. Siamo qui seduti, e Luca mi spiega come ci siano vari stili nel travestimento: da quello più tradizionale (avete presente Priscilla regina del deserto?), che basa tutto sulla parodia dell’ibrido, fino a quello più originale, dove è l’arte a prevalere. Ma poiché io sono di coccio, Luca decide di prendermi per mano in modo da farmi comprendere le tante distinzioni esistenti. Perché il transessuale non è semplicemente un “travestito”, bensì un en travesti. Ha quindi una tradizione artistica consolidata, che risale alla scena berlinese della Repubblica di Weimar, quando austeri padri di famiglia si esibivano nel famoso locale “Eldorado” (cfr. Vladimir Luxuria, Eldorado, Bompiani, 2001) per arrotondare lo stipendio falcidiato dalla grande crisi del ‘29. E poi via in una sfilza di sottocategorie, accomunate dal solo fatto di condividere, come prefisso, la parola “trans”.

Insomma, vi assicuro che muoversi nel mondo della varietà dei genere è veramente un’impresa; mi sono cioè sentita come Teseo, alle prese con l’ennesima scelta all’interno del labirinto costruito da quel genio BSDM di Dedalo. Una cosa però l’ho capita, e bene: essere Drag rappresenta una vocazione complicata, perché necessita di tanto tempo ed assorbe moltissimo denaro (pensate solo a quanto occorre per elaborare i costumi, tutti fantastici, ed “indossare” tutto quel trucco). Anche perché una Drag queen che si rispetti non può certo sfoggiare le orrende scope di saggina esposte nei negozi cinesi, ed un paio di zeppe numero 46 non possono che essere trovate nell’unico, specializzatissimo e costosissimo, negozio nel capoluogo.

Ora Luca è Aurora Perla Madonna, un nome d’arte che è nato accostando quello delle due principesse Disney con Madonna Ciccone. A mio parere si tratta di un nome perfetto per Luca, anche considerando che questi deve piantarsi come un chiodo nella memoria di chi frequenta gli spettacoli. E quello scelto da Luca, anche in virtù di una sottile e spassosa ironia, si ricorda molto bene.

Ma qual è la vita di una Drag? Vi assicuro che non è per nulla banale. Deve anzitutto sapersi vestire, truccare e muovere esattamente come una donna; anzi no, come “LA” donna (intesa come quintessenza della femminilità). Del resto ci vogliono giorni di preparazione, intessuti di un’infinita pazienza, per nascondere le fattezze maschili; come occorre una non comune perizia per stendere un buon fondotinta e nello scegliere la parrucca più adatta. Ma alla fine, come per incanto, esiste solo Aurora; e non importa a quanti possa dispiacere, perché lei è autentica. Esattamente quanto Luca. Perché, per dirla come Agrado nel film di Pedro Almovodar, una è più autentica quanto più somiglia all’idea che ha sognato di se stessa.

Ps: Ringrazio vivamente il mio amico (o amica del cuore) dott. archeologo Simone Barbieri per la consulenza storica; come ringrazio Gabriele che mi ha permesso di conoscere Luca, a cui vanno tutto il mio affetto e stima.