Ho sempre saputo di non
essere stata progettata per una vita tranquilla.
Col tempo ho pure capito che,
se proprio devo capitombolare, allora è molto meglio farlo atterrando sui
tappeti della magione di Messer Bianconiglio. No, non per evitare i lividi che sempre si stampano sulle natiche quando si
cade, ma perché proprio da lì si accede al mondo fantastico dell’assoluta
possibilità. Nel paese delle Meraviglie posso infatti mangiare e bere a mio
piacimento, e sventolarmi col ventaglio, per diventare piccina o farmi gigante;
soprattutto, però, nel paese delle Meraviglie mi aspetta il Cappellaio matto... e vi assicuro che non è per offrirmi una semplice tazza di tè.
Di
lui non so assolutamente nulla. Forse è sposato, forse ha figli. Null’altro che
statistica però, perché la nostra è una non-relazione;
che s’alimenta di puro presente e che si nutre di infinite torte di non-compleanno. Dunque, trattandosi di
una non-festa, è d’uopo giocare.
Io muovo
la regina di cuori sulla scacchiera, sorvolando alfieri e scardinando torri. Eppure quell’antipatico del sovrano nero continua a sfuggirmi: con passo mi è addosso e con un passo – della stessa maledetta lunghezza, quasi
insignificante – mi schiva. Questo mi fa impazzire, e sono talmente arrabbiata
che, se lo avessi tra le mani, torcerei il collo al povero fante di cuore.
Il mio Cappellaio matto mi
segue per strada furtivo, non riesco a vederlo ma ne percepisco la
presenza. Poi mi manda un messaggio, col quale mi descrive (come sono vestita, quale fragranza abbia spruzzato sul collo, ...). Allora mi blocco, e come un faro
impazzito scandaglio l’oceano in burrasca per ritrovare una minima sua traccia.
Inutilmente, sempre. Mi vuole e me lo comunica, eppure sempre si sottrae.
Sentenza prima, verdetto poi…
Sentenza prima, verdetto poi…
Vado a teatro e mi ordina di
fasciarmi nell’abito lungo che ha scelto per me, indossando la biancheria
raffinata che un giorno ho trovato davanti all’uscio di casa (perfetta, per
gusto e per taglia, come se mi conoscesse da sempre, meglio di quanto io stessa
mi conosca). Sono anche consapevole che è nascosto tra il pubblico, perché è
lui che mi ha prenotato il palco,
buio e solitario, all’interno del quale finalmente mi abbandono. Nulla, nessun
messaggio da parte sua. Il secondo atto s’incomincia che ecco lampeggiare il
telefonino in modalità silenziosa. Sul display giunge il tanto atteso
messaggio: Sei bellissima, come sempre.
Non ti muovere, e gli occhi fissi al palco! Ubbidisco, come sempre. Alle
mie spalle giunge una mano, che mi accarezza il collo. Il suo respiro è sulle mie
orecchie, sa di buono (immagini di tende e di oriente, di deserto e di
avventura; tutte si accavallano in un istante, miscelandosi con sentori di
cannella e di bergamotto). Sono ormai nuda nel buio. Un secondo dopo
quell’oscurità si fa ancora più fitta, accentuata da un nastro di raso che costringe ora gli occhi.
E
se qualcuno dovesse vedermi? Sono nuda all’interno di un
palco, eppure non mi interessa: quanto può essere feroce il desiderio…
Non è più dolce il
Cappellaio matto, e i capezzoli dolgono tra le sue dita cattive e perfide,
assassine e redentrici. Vorrei girarmi e imporre il mio ritmo, il mio
desiderio, il mio volere… ma questo gioco ha regole precise, e il Re sa
sfuggire alla sua Regina, con un semplice e insignificante passo laterale.
Ruoto verso di lui, mi
inginocchio e avverto la stoffa ruvida dei suoi pantaloni. So bene cosa vuole
da me, lo capisco dall’ansimare suo sempre più veloce e lo comprendo dalla
rigidità di quello stesso tessuto. Ho ragione, come sempre. Adesso mi accarezza
infatti col pene, passandolo sul viso e sulle guance, come un pittore che
assaggia sul muro la consistenza della vernice; poi lo muove sulle mie labbra
serrate, disegnando suoi personali arabeschi. Gioca, e io con lui.
Mi fa mettere coricata a
terra, colla schiena sul pavimento e coll’abito sollevato. Lo sento armeggiare
con i bordi delle mie mutandine, poi mi intima perentorio nuovamente il
silenzio e mi penetra. Vorrei gridare, ma attorno a me seicento persone si
inquieterebbero se quel tragico finale venisse squartato dalle urla di una
donna che gode. Siamo insieme, finalmente uniti. Alla fine ti ho catturato caro
il mio Re, non sei più protetto da cavalli e pedoni, non sei più l’unico a
schivare con un passo solamente l’assalto della tua Regina. Ti ho preso, e ora
possa tornare alla mia dimensione abituale.
In fondo, non siete altro che un mazzo di carte…
#wonderland #palcorovente #aituoiordini #cappellaiomatto #alicenelpaesedellemeraviglie
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