Consigli per una vita di coppia felice e per una singlitudine serena, senza troppi sensi di colpa.

lunedì 12 marzo 2018

Al servizio del Cappellaio matto


Ho sempre saputo di non essere stata progettata per una vita tranquilla. 
Col tempo ho pure capito che, se proprio devo capitombolare, allora è molto meglio farlo atterrando sui tappeti della magione di Messer BianconiglioNo, non per evitare i lividi che sempre si stampano sulle natiche quando si cade, ma perché proprio da lì si accede al mondo fantastico dell’assoluta possibilità. Nel paese delle Meraviglie posso infatti mangiare e bere a mio piacimento, e sventolarmi col ventaglio, per diventare piccina o farmi gigante; soprattutto, però, nel paese delle Meraviglie mi aspetta il Cappellaio matto... e vi assicuro che non è per offrirmi una semplice tazza di tè. 
Di lui non so assolutamente nulla. Forse è sposato, forse ha figli. Null’altro che statistica però, perché la nostra è una non-relazione; che s’alimenta di puro presente e che si nutre di infinite torte di non-compleanno. Dunque, trattandosi di una non-festa, è d’uopo giocare. 
Io muovo la regina di cuori sulla scacchiera, sorvolando alfieri e scardinando torri. Eppure quell’antipatico del sovrano nero continua a sfuggirmi: con passo mi è addosso e con un passo – della stessa maledetta lunghezza, quasi insignificante – mi schiva. Questo mi fa impazzire, e sono talmente arrabbiata che, se lo avessi tra le mani, torcerei il collo al povero fante di cuore.
Il mio Cappellaio matto mi segue per strada furtivo, non riesco a vederlo ma ne percepisco la presenza. Poi mi manda un messaggio, col quale mi descrive (come sono vestita, quale fragranza abbia spruzzato sul collo, ...). Allora mi blocco, e come un faro impazzito scandaglio l’oceano in burrasca per ritrovare una minima sua traccia. Inutilmente, sempre. Mi vuole e me lo comunica, eppure sempre si sottrae. 
Sentenza prima, verdetto poi
Vado a teatro e mi ordina di fasciarmi nell’abito lungo che ha scelto per me, indossando la biancheria raffinata che un giorno ho trovato davanti all’uscio di casa (perfetta, per gusto e per taglia, come se mi conoscesse da sempre, meglio di quanto io stessa mi conosca). Sono anche consapevole che è nascosto tra il pubblico, perché è lui che mi ha prenotato il palco, buio e solitario, all’interno del quale finalmente mi abbandono. Nulla, nessun messaggio da parte sua. Il secondo atto s’incomincia che ecco lampeggiare il telefonino in modalità silenziosa. Sul display giunge il tanto atteso messaggio: Sei bellissima, come sempre. Non ti muovere, e gli occhi fissi al palco! Ubbidisco, come sempre. Alle mie spalle giunge una mano, che mi accarezza il collo. Il suo respiro è sulle mie orecchie, sa di buono (immagini di tende e di oriente, di deserto e di avventura; tutte si accavallano in un istante, miscelandosi con sentori di cannella e di bergamotto). Sono ormai nuda nel buio. Un secondo dopo quell’oscurità si fa ancora più fitta, accentuata da un nastro di raso che costringe ora gli occhi.
E se qualcuno dovesse vedermi? Sono nuda all’interno di un palco, eppure non mi interessa: quanto può essere feroce il desiderio…           
Non è più dolce il Cappellaio matto, e i capezzoli dolgono tra le sue dita cattive e perfide, assassine e redentrici. Vorrei girarmi e imporre il mio ritmo, il mio desiderio, il mio volere… ma questo gioco ha regole precise, e il Re sa sfuggire alla sua Regina, con un semplice e insignificante passo laterale.
Ruoto verso di lui, mi inginocchio e avverto la stoffa ruvida dei suoi pantaloni. So bene cosa vuole da me, lo capisco dall’ansimare suo sempre più veloce e lo comprendo dalla rigidità di quello stesso tessuto. Ho ragione, come sempre. Adesso mi accarezza infatti col pene, passandolo sul viso e sulle guance, come un pittore che assaggia sul muro la consistenza della vernice; poi lo muove sulle mie labbra serrate, disegnando suoi personali arabeschi. Gioca, e io con lui.
Mi fa mettere coricata a terra, colla schiena sul pavimento e coll’abito sollevato. Lo sento armeggiare con i bordi delle mie mutandine, poi mi intima perentorio nuovamente il silenzio e mi penetra. Vorrei gridare, ma attorno a me seicento persone si inquieterebbero se quel tragico finale venisse squartato dalle urla di una donna che gode. Siamo insieme, finalmente uniti. Alla fine ti ho catturato caro il mio Re, non sei più protetto da cavalli e pedoni, non sei più l’unico a schivare con un passo solamente l’assalto della tua Regina. Ti ho preso, e ora possa tornare alla mia dimensione abituale. 
In fondo, non siete altro che un mazzo di carte…

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