Non dimenticherò mai quando te ne sei
andato la prima volta. Io non capivo, giuro non capivo come tu
potessi lasciarmi, eppure facevo tutto per te. Non stavamo forse bene insieme? Non
eravamo felici?
Senza
dirmi nulla, avvolto da una nuvola di intenzioni, ti sei allontanato seguendo il
miraggio di una felicità borghese. Non dimenticherò
mai i tuoi silenzi, i non detti e poi tutte le recriminazioni e le frasi
sconnesse a seguire.
Ti
ricordi quella volta quando tu camminavi davanti, a passo svelto e feroce,
mentre io dietro, a capo chino, fingevo che non fosse accaduto nulla? Avevo
insistito per fare una passeggiata in centro. Io avevo osato prendere un’iniziativa.!Che sciocca presuntuosa. Tu, come
punizione, mi hai tolto la parola così che, ogni tentativo di comprendere, iniziava
a infrangersi contro un muro di non detti.
Cosa mi
è restato come consolazione ad un amore severo e autoritario? Consumare le
suole delle scarpe nel ripercorrere i luoghi del passato. La giovinezza fatica a diventare
adulta quando qualcuno ti ha scippato per tanto tempo il desiderio di vivere.
Non dimenticherò mai il giorno in cui tu
te ne sei andato per la seconda volta: eravamo in autunno e, dopo qualche
mesi di finzione, hai deciso trionfante per altre donne. Più avvenenti e più
disinibite di quanto fossi io piccola cornacchia gracidante.
Avevi
ragione: ero troppo brava. E dovevo sembrare veramente una ragazzina irritante,
di quelle che alzano il mento orgogliose, ogni volta in cui disegnavo i punti
sulle I con ostinazione. Ti comprendo: non potevi certo sentirti a tuo agio in
mia compagnia.
Cosa
farsene di una che non capisce come va il mondo o non ride mai alle battute degli
amici? Come consolazione ad un amore leggero e insincero mi resta l’illusione di
un romanzo. Le parole silenziose di Margerite
Duras salvano più di mille pastiglie di Prozac.
Non dimenticherò mai il giorno in cui te
ne sei andato per la terza volta: avevo deciso che era giunta
ora di fidarsi di un uomo. Mi ero messa d’impegno: basta viaggi tra un
fidanzato turistico e l’altro. La tratta Roma- Milano iniziava a essere
percorsa da treni ad alta velocità e i continui ritardi sembravano inviti a
mettere radici.
Ti
aspettavo sai? Tu giovane e promettente intellettuale, cresciuto tra cortei e
manifestazioni, eri quello che avevo sempre sognato: l’eroe giunto a cambiare
il mio mondo.
Purtroppo
non ero mai abbastanza per te. La grande città mi opprimeva e mi intristiva; la
nebbia soffocava il mio singhiozzo confuso con il fischio di un treno.
Come consolazione
ad un amore in carriera e troppo breve per definirsi tale mi restava la voglia
di ripartire da Rimini. All’epoca scoprivo l’opera di Pier Vittorio Tondelli e il
sesso iniziava a farsi cannibale.
Non dimenticherò mai il giorno in cui te
ne se andato per la quarta volta: ma questa volta non ti ho
permesso di strapparmi il cuore e di farne briciole. Allora ero forte! Sapevo
il fatto mio: studiavo e i risultati arrivavano in voti e riconoscimenti. Ero
libera insieme a quel mio cane giallo dal nome della birra irlandese. Io e lei,
due randagie senza catene.
Il nostro
inutile incontro poteva anche non avvenire. Non credo che la tua presenza nella
mia vita sia stata poi così importante.
Mi hai
affiancata un pomeriggio e, con un visino da scugnizzo, hai cercato il mio
sguardo. “non parlo con uomini del segno dei pesci e che votano Berlusconi” mi
pare di averti detto. Ebbene, poco dopo eravamo in un letto avvinti. Tutto
sommato, nonostante le nostre diversità, con te mi sono divertita. Mi hai
insegnato cosa significa fare l’amore con tenerezza dopo tanti graffi. Te ne
sei andato un mattino d’estate, sbattendo la porta. Il sud ha sempre il sole
caldo, ma io preferisco le nebbie della mia terra. Come consolazione ad un amore che aspirava ad
entrare nei salotti buoni dalla porta principale mi restava solo una cavigliera
e un nuovo tatuaggio. La mia salvezza? È stata fidarmi completamente delle
pagine di Valerio Varesi. In compagnia
del commissario Soneri finalmente ero a casa.
Non dimenticherò mai il giorno in cui te
ne sei andato per la quinta volta: eravamo a Roma. Avevi appena
finito uno spettacolo. Ricordo di averti conosciuto casualmente una notte mentre
i nostri corpi si sfioravano in un sala piena di fumo e musica. Eravamo di schiena,
nessuno dei due vedeva l’altro. Abbiamo lasciato che le prime ad incontrarsi
fossero le nostre voci. Di te ho ricordi sbiaditi: passeggiate in una Roma
deserta; una notte davanti al golfo di Napoli con Novecento di Baricco e una
pastiera, ultimo dono di tua madre. Ti confido una cosa: ho distribuito fette
di quella torta di fiele e ricotta a tutti i miei compagni pendolari.
Quella
notte il mio viaggio è stato memorabile: grazie ad una torta e ad una chitarra
sbucata improvvisamente ho trasformato un addio in una festa. Come consolazione
di un amore inaffidabile mi restavano le ultime battute di un monologo.
Non dimenticherò mai il giorno in cui te
ne sei andato per la sesta volta: eravamo solo due vecchi amici,
ritrovati dopo anni. Due vite diverse e lontane, ad un certo punto unite per
salvare un amico fragile.
La
cosa buffa? Che l’amico fragile era più forte del previsto mentre io, l’amica
forte, iniziava a scoprire che non tutti vogliono essere salvati.
Mentre
si moltiplicavano le domande sulla qualità del nostro rapporto, io e te
ingenuamente trascorrevamo le notti d’autunno a parlare di musica e di cinema. Mi
guardavi sorpreso mentre andavo e tornavo da casa tua chiamandoti “amico mio”. Può
esistere l’amicizia tra un uomo e una donna? Noi ci abbiamo provato e per un po’
ha pure funzionato.
Come
consolazione di un’amicizia che non poteva indossare i panni dell’amore mi
resta oggi un concerto e il ricordo di sonni cullati dal rock.
Non dimenticherò mai il giorno in cui te
ne sei andato per la settima volta: dio, quanto ti ho odiato.
Neppure una spiegazione, non un perché. Sai cosa ti dico? Che hai fatto bene a sparire
dalla mia vita così, improvvisamente, perché in fondo non ho nulla da
condividerei. Nessun ricordo. Cosa resta di un’assenza? Alcune poesie ripetute
come mantra più volte al giorno: assumere Wislawa Szymborska prima e dopo i
pasti e ingoiare il rospo come una pillola indigesta. Fidatevi: prima o poi si
guarisce.
Non dimenticherò mai il giorno in cui te
ne sei andato per l’ottava volta: il tuo addio sapeva di
tabacco bruciato, di caffè freddo e polvere di un passato da troppo poco tempo
diventato memoria.
Ricordi
quel pomeriggio in cui mi hai inviato un messaggio disperato? Cosa potevo fare
se non smuovere per te le montagne? Un rapporto Karmico non è una passeggiata.
È come guadare un fiume in piena, schivando gorghi e mulinelli. Ci si aggrappa
a tutto: rami e arbusti pur di arrivare all’altra sponda. E a quella riva siamo
arrivati insieme, sputando fango e acqua.
In questo
caso non c’è consolazione ma solo gratitudine per quello che ho imparato.
Non dimenticherò mai il giorno in cui te
ne sei andato per la nona volta: sei un uomo buono. Sei un
gigante in un paese di nani, dove, ogni volta che torno, un obelisco mi avverte che ho un passato.
Il tuo
essere sincero e leale mi ha salvata: ricordi un pomeriggio cupo? Era uno di
quei giorni in cui volevo non essere nata e tu mi hai riportata alla vita.. con
tono perentorio hai urlato “Ilaria, resta nella luce! Non sei costretta a
scegliere il buio”.
Vedi,
tu continui a definirti inadatto al logos ma le tue parole, come sassolini sul
sentiero, mi hanno riportata a casa.
Non dimenticherò il giorno in cui te ne
andrai. Sarà la decima volta e, spero in cuor mio, neppure l’ultima.
Attendo
con curiosità anche questo epilogo. Non
ricordo quando abbiamo iniziato l’ultimo atto: forse subito dopo un breve
intervallo. La finzione scenica ha voluto che ci perdessimo il prologo per
strada.